Non possiamo negarlo. Chi crede e chi non crede sono accomunati da molte più cose di quanto comunemente si pensi. Tra queste direi che c’è una grande voglia di resurrezione. Una resurrezione che non riguardi solo il nostro destino ultimo, ma una resurrezione che si innesti potente e tonificante nella vita di ogni giorno. 
 
Intendiamoci, però. Una resurrezione seria, è una resurrezione che implica e anzi comporta la vera possibilità di ripartire, davvero. Partire freschi, nuovi. 
 
 
Una resurrezione interessante è, peraltro, quella che implica una liberazione. Liberazione da tutti i legacci che frenano la nostra creatività, legacci che in vario modo sono una derivazione dalla paura. Ecco, così sentiamo forte un anelito di resurrezione, quasi ogni giorno. Come ci ricorda Anselm Grun,

La trasformazione della paure è il primo aspetto della resurrezione 

Ebbene, la Pasqua ci dice che in forza di una sola Resurrezione, ogni altra resurrezione è possibile. Che l’ultima parola sui nostri casi non è mai detta, non è mai nell’orbita del nostro ragionamento, del nostro fare e del nostro comprendere. Può essere invece un frutto imprevisto del nostro arrendersi, del nostro cedere.
 
Un momento: non si pensi qui ad un discorso valido esclusivamente dentro ambiti religiosi. Non mi interessa metter giù un discorso di quelli che si fanno tra credenti. No, affatto. E’ un discorso più ampiamente psichico,  come mostra efficacemente una frase di Raffaele Morelli,

Quanto più entriamo in un altro regno della mente, tanto più si attivano le forze della nostra rinascita. Bisogna uscire dal cerchio dei ragionamenti, dai pensieri sulle cause e le colpe, per diventare capaci di abbandonarci…

E’ dunque a mio avviso un anelito assolutamente trasversale a credenti e non credenti (o diversamente credenti), questo di una vera resurrezione. Le cui implicazioni psicologiche sono fin troppo evidenti: per citare ancora Anselm Grun,

Risurrezione è liberarsi dalle catene (psichiche) e vivere senza blocchi (interiori)

Che poi queste nostre resurrezioni di cui abbiamo a volte un fortissimo bisogno, si appoggino e si innestino in una Resurrezione (quella Pasqua cardine delle feste cristiane, che celebriamo oggi) la quale  sovverte in modo salutare l’implacabile impalcatura cartesiana del pensiero “che pensa sé stesso” senza aspettarsi alcuna sorpresa – che questo sia vero, è certo cosa che implica un salto, un rischio, un atto di fede. D’altra parte, non si evade da una gabbia senza accettare dei rischi, non si intraprende un viaggio come quello del significato (da qualsiasi parte possa portare) avendo in anticipo tutti i dati, conoscendo già tutto il percorso.  
 
Il viaggio per il significato è intrinsecamente iniziatico, ovvero un viaggio che si chiarisce  soltanto percorrendolo. E questo è già un rischio per un pensiero che vuole sapere tutto in anticipo, per un pensiero che vuole vanificare l’esperienza, come fattore che tendenzialmente sfugge al suo controllo.
 
E la Resurrezione è qualcosa di profondamente unitivo, anche. Nel senso che – a prescindere da quanto pensiamo di credere o di non credere – è qualcosa che non può non essere il più profondo desiderio di ogni essere umano. Potremo anche decidere di considerarla una favola, ma non possiamo sfuggire al fatto che comunque è la cosa in assoluto più desiderabile che possiamo pensare.
 
E nell’assenso dinamico alla verità di questo, il pensiero curiosamente si riallinea e si riequilibra. E la liberazione dalle catene sembra una cosa già più possibile. Tanto che a volte – con grande sorpresa! – se ne assaggia perfino un anticipo, un anticipo di gusto.
 
Buona Pasqua.

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