Blog di Marco Castellani

Mese: Aprile 2016

Perfetti sconosciuti, questa imperfetta bellezza dell’umano…

Lo dico subito: a me è piaciuto.
Certo è un film molto parlato. Un film dove la sceneggiatura è di importanza chiave, ed altrettanto la recitazione degli attore. E’ davvero un film teatrale, nel senso che sembra pensato espressamente per una rappresentazione in palcoscenico.
Ed è, a mio avviso, un film che svela la bellezza dell’imperfezione umana al di là di ogni possibile esitazione, di qualsiasi parvenza di residuo dubbio. Di questa bellezza dell’imperfezione voglio parlare qui, rinunciando a seguire tante altre considerazioni che pure si potrebbero utilmente condurre.
Perché gli amici che si radunano tutti insieme a cena, e per un bizzarro giochetto condividono i flussi informatici che passano attraverso i loro cellulari — elidendo temporaneamente ogni barriera conoscitiva — azzerando ogni password, alla fine questo mettono in comune: la loro umanità.

Umanità tenera, scabrosa, povera e sfolgorante insieme.
Così si palesano e si condividono tutti i trucchi, i piccoli intrighi, le traballanti e perfino risibili strategie di compensazione ad un vivere senza meraviglia (perché proprio non ci si rassegna ad un vivere senza meraviglia, non venite a dirmi il contrario).
Poiché non si tratta appena (o soltanto) di tradimenti o grandi decisioni, di epiche svolte di vita o saldi proponimenti, ma di tutte le piccole fughe dal viver quotidiano (che sono oggi rese possibili attraverso la Rete, ad esempio): dall’invio di foto osé per sfuggire al vuoto della sera, al gioco di seduzione a distanza, gioco che vibra continuamente su una molteplicità di stati tra il provocatorio, l’equivoco e la richiesta di contatto, di calore.
Ecco, in questo vedo la grandezza del film. Nel portare sotto i nostri occhi, tramite l’artificio narrativo della condivisione totale degli smartphone, che l’uomo — ogni uomo — è molto molto di più complesso ed irregolare e dolorosamente slabbrato rispetto ad ogni immagine idealizzata (e dunque ultimamente violenta) al quale vogliamo ridurlo (o vuole ridurre sé stesso).
Sì. L’uomo è irrequieto, incongruente, dolorosamente aperto, arrabbiato, lieto, triste, in ricerca, deluso, divertito, disperato, dolce. E questo viene fuori bene dal film, che in questo senso non fa sconti. E se la retorica fa capolino qua e là (come il personaggio gay trattato in chiave un po’ inutilmente buonista, a scapito forse di un maggiore realismo), non lo fa tanto — grazie al cielo — da intorbidire questa cifra stilistica.
Così che ritorniamo a pensare a questo, a cosa possiamo fare per un uomo così. Così perso tra ideali mancati, compensazioni quotidiane, equilibrismi sentimentali e morali. Cosa possiamo fare?

Cosa possiamo fare, se non amarlo?
Amarlo, sì. Perché è un uomo così che è amato, non l’uomo ideale. Un uomo carico di tutti questi difetti, è amato tantissimo.

Quando entriamo nel mistero di Dio di “questo amore senza limiti”, ha detto il papa , rimaniamo “meravigliati” e, forse, “preferiamo non capirlo”.

Nessuno dei personaggi esce da quella serata, da quella cena, pensando di diventare migliore (ecco un’altra cosa che mi piace, del film, il suo candido realismo). Ma noi che guardiamo, noi impariamo forse qualcosa. A sorridere appena, a stemperare la tristezza sempre aperta sulle nostre compensazioni, ad aprirci ad una diversa possibilità.
Di essere salvati (cioè di avere un senso di vita) dentro tutto questo: di essere, per dire, salvati dentro la nostra stessa incapacità di cambiare.
Esattamente. Cosa rimane dunque, di quest’uomo, se non amarlo?
Amarlo, perché un uomo così è amato. Un uomo come tutti noi.
Sì, io sono amato così, come sono. Questo è l’inizio e il compimento di ogni possibile rivoluzione del mondo e di me stesso, di ogni ipotizzabile dinamica trasformativa psicologica/politica.
Solo questo: capire, sentire, che sì, sono amato così.

Loading

Due milioni per Hubble…

Sarebbe impresa difficilissima, quella di chi volesse esagerare sulla portata che ha avuto – e sta ancora avendo – il Telescopio Spaziale Hubble per la moderna visione del cosmo. Sono veramente innumerevoli, infatti, le cose che Hubble ci ha aiutato a comprendere, in tutti questi anni di onorato servizio: un insieme di ricadute scientifiche che spaziano dalle stelle a noi più prossime fino ai più remoti quasar, in una mole di dati che ancora attendono per buona parte di essere compiutamente ed accuratamente esaminati, e che ancora aspettano pazientemente l’estrazione di tutte le informazioni ivi contenute.

In diverse occasioni in questo blog ci siamo occupati delle scoperte di Hubble, alcune davvero mirabolanti. Stavolta perciò vorrei tentare un discorso più generale: Invece di parlare di cosa ha trovato Hubble, vorrei volgere un attimo lo sguardo su di lui, su questo fantastico telescopio spaziale. E mentre lui lassù impiegava sapientemente il tempo ad osservare altri mondi, su come intanto sia cambiato il nostro. E profondamente.

Nebulosa Carina

Una suggestiva immagine della Nebulosa Carina vista da Hubble (Crediti: NASA, ESA, and the Hubble SM4 ERO Team)

Consideriamo soltanto che Hubble viene lanciato nel 1990 (con un ritardo sulla data prevista di diversi anni, anche in seguito al terribile disastro del Challenger). E’ interessante analizzare questa storia dal punto di vista delle comunicazioni: il lancio infatti precede di pochissimo la nascita di quella innovazione relazionale che avrebbe cambiato completamente il nostro mondo: la nascita di Internet possiamo infatti datarla al 1991, anno in cui Tim Berners-Lee definisce il protocollo HTTP. Questa è la base teorica di partenza per lo sviluppo di sistemi testuali distribuiti, ovvero, quello che ci voleva per riempire le nuove connessioni di rete di contenuti. In poche parole, nasce il web, anche se all’inizio avrà diffusione lenta e ci vorrà molto tempo prima che le persone comuni si accorgano che qualcosa è cambiato.

Ma ci siamo, qualcosa ormai sta cambiando. Così, mentre Hubble osserva le più lontane galassie (sopratutto dopo aver risolto il problema dell’aberrazione sferica di cui soffriva all’inizio), il mondo sotto di lui, il nostro mondo, inizia a sperimentare un nuovo ed inedito modo di sentirsi connesso, un nuovo modo di far circolare le informazioni. Una nuova umanità si trova affacciata su uno strato di bit che piano piano ricopre il pianeta, lo percorre da parte a parte.

Oso dirlo, una umanità nuova, perché lo stesso strumento – con le sue potenzialità – chiama ad una evoluzione della specie che lo ha inventato. La capacità estrema di comunicare richiede sia un nuovo atteggiamento relazionale, che contenuti validi e condivisi che possano essere trasmessi efficacemente e con profitto. L’evoluzione dell’uomo è più lenta di quella delle macchine, lo sappiamo. Ma i tempi forse sono maturi perché veramente si possa piano piano far germogliare un modello di uomo anch’esso davvero proficuamente inserito in una rete di relazioni.

E tra queste relazioni c’è sicuramente la comunicazione scientifica. Ma non si pensi qui a semplice divulgazione. La rete che è cresciuta mentre Hubble volava, quella rete che usiamo tutti tanto che ci sembra quasi più preziosa dell’acqua, ci consente di rendere finalmente la scienza una avventura partecipata da un ampissimo numero di persone, a volte (come nei progetti ZooUniverse, di cui ci siamo occupati diverse volte), stemperando perfino il confine – un tempo drasticamente netto – tra chi fa scienza e chi ne viene semplicemente informato. Quel confine prima così deterministicamente tracciato, ora si fa invece morbido, labile, quantisticamente indistinto: non c’è un vero confine, il confine dipende dall’osservatore. Dipende da come tu ti poni davanti a questo mare di potenzialità.

Non è una visione romantica, è la pura realtà. Ormai basta un computer connesso a rete, per seguire, a volte in tempo reale, le esplorazioni di ambienti tra i più remoti ed inaccessibili. Esaminare accuratamente immagini di Marte, o infilarsi tra gli anelli di Saturno. Le risorse alle quali poter accedere – alcune di grandissima qualità – sono ormai sterminate, lo sappiamo: ed è sufficiente coltivare un poco di curiosità per cadere facilmente in tragitti di scoperta impensabili quando Hubble iniziò il suo volo.

ann1605a

Ed è da pochissimo che la pagina Facebook ufficiale di Hubble si è trovata a festeggiare il superamento dei due milioni di iscritti (mentre scrivo siamo a quota 2.005.015 per la precisione, quando leggerete sarà certo di più). Un risultato che, per un satellite lanciato prima che qualsiasi persona si immaginasse appena qualcosa come un social network, è assolutamente lusinghiero e anche testimone di come – pur da lassù – si sia inserito proficuamente nella grande rete. Diffondendo così un po’ della magia di quello che ha osservato per anni, e sta osservando, ponendolo delicatamente sotto i nostri occhi.

Auguri Hubble! Ti dobbiamo proprio tantissimo, lo sai.

Loading

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén