Sono d’accordo con Marco Guzzi, che propone una lettura significativa e profonda del recente risultato elettorale. Sono d’accordo nel senso che sembra  anche a me di poter cogliere un segno dei tempi, in quello che succede. Ed anche, sì, in quello che esce dalle urne.
 
Proprio ieri pomeriggio, mentre ero in giro accompagnando la consorte in alcune commissioni dopo aver votato, mi capitava di pensare questo, che l’atto più significativo a livello politico che possiamo fare, e da subito, è esattamente quello di darci pace. Questo è un atto sia psichico/interiore che politico/esteriore, veramente significativo, veramente suscettibile di incidere nel reale.

 

Banalmente, se riesco ad acquietare i miei moti interiori, se riesco a darmi pace, almeno un pochino, torno immediatamente soggetto attivo del vivere sociale e dunque dell’agone politico. Soggetto attivo, che non è sballottato qua e là da una catena di necessità interne/esterne, ma che – parallelamente al lavoro di liberazione interiore – guadagna margini di ponderatezza, per diventare finalmente una presenza nel reale. Per agire e non reagire. 


Oggi più che mai, la politica ha bisogno di soggetti così, di persone in cammino.

Oggi più che mai, l’unica vera novità è accogliere questa ipotesi, porre mano a questa opera di lenta e progressiva lavorazione che va portata avanti a molti livelli contemporaneamente. Già nel post riguardante il comunicato di CL in effetti mi sembrava di poter rilevare una simile attenzione allargata, possiamo dire, a comprendere le più intime istanze dell’umano insieme ai più urgenti e necessari orientamenti nell’ambito del sociale e del politico. 
 
Stante così le cose, va anche compreso che ci vuole tempo. E’ un processo lungo di riconversione quello a cui siamo chiamati. In fin dei conti, ci stiamo ancora disintossicando da un’epoca in cui si pensava che dalla rivoluzione sarebbe seguita la pacificazione e l’appianamento anche dei problemi più interiori, la cui causa ultima era del tutto ricondotta ad una sofferenza sociale. 
 
Ora iniziamo a comprendere che la strada più autentica – quella che non deve rinnegare nulla – corre semmai nel verso opposto, ovvero dalla pacificazione di sé arriva la vera rivoluzione (anche) sociale e politica. A legare di un nuovo patto di amicizia, la parte più interna dell’uomo, con le istanze più apparentemente “esteriori” del vivere sociale, e – come dicevamo l’altra volta – del bene comune. 
 
Quello a cui anche questi risultati elettorali ci chiamano (senza nulla togliere al loro significato più schiettamente politico, la cui analisi lascio ad altri ambiti) non può essere ignorato, ed è davvero un richiamo ad un nuovo modo di essere umani. Un modo più relazionale, dove la politica è una conseguenza inevitabile di un approccio più liberato e più gratificante verso il mondo interno ed esterno, cioè verso l’universo intero del nostro essere uomini. 

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