Rosa la incontro la mattina del mio secondo giorno, subito dopo la Messa. Sono arrivato sabato pomeriggio, in compagnia di altri amici ciellini (così si apostrofano, anche tra loro, le persone vicine al movimento di Comunione e Liberazione): Daniela, Loredana e Michele. Il mio equipaggio, in poche parole.

Da qualche anno, da quando ho riscoperto con più chiarezza l’attrattiva della sequela nel movimento, cerco di non mancare un passaggio al Meeting di Rimini, almeno per un paio di giorni. Lo sento parte del mio cammino, uno dei punti forti dell’anno, qualcosa che innerva di senso e significato lo stesso procedere.
Quest’anno però ci si era messo proprio tutto, inclusa — in prossimità della partenza — perfino la rottura della macchina in autostrada. Ero quasi certo di dover rinunciare. Invece eccomi, sabato verso le cinque sono ormai quasi alla Fiera, con la fretta di arrivare in tempo per l’incontro introdotto da Marco Bersanelli, quello sulle onde gravitazionali. Quello — mi dico — lo “devo” proprio prendere.
Rosa poi mi avrebbe scritto (o come si dice oggi, messaggiato).

Al Meeting 2016 mi ci ha portato Alice, mia cognata. Lei, che ci va da quando aveva sedici anni, tutti gli anni, ad ogni angolo incontrava qualcuno da salutare. Io la seguivo docile, accettando le mostre o i convegni che mi proponeva, in qualche caso aggregandomi a sue amiche, se la proposta mi convinceva maggiormente e se il gruppo si scindeva.

L’incontro condotto da Bersanelli — che ospita Roberto Battiston, Presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana e Laura Cadonati, Professore Associato presso la Scuola di Fisica del Georgian Institute of Technology, è denso e molto valido, per tutti. Per me è anche un anticipo regalato di questa “altra” idea di scienza, che tentiamo di sviluppare anche dentro il movimento Darsi Pace: una idea di scienza, in poche parole, aperta alle istanze della cultura e della spiritualità. Dunque, un incontro subito e pienamente darsipacista, appena arrivato. È certo un buon inizio.
Ma è così, ormai. L’avrei confidato a Rosa il giorno dopo: ho perfino smesso di contare le concordanze, non distinguo più se un pensiero, una citazione, uno spunto, mi vengono da Comunione e Liberazione oppure da Darsi Pace (molte volte perfino le fonti delle citazioni sono le stesse). Io la vedo così: al di là delle sigle, delle declinazioni organizzative, c’è l’unificazione delle forze. Come insegna la fisica, ad alti livelli di energia tutto è uno, la diversità si ricompone, si integra: è la strada, la strada dove sono stato posto. Io, di mio, non ho deciso proprio nulla, di mio non decido mai niente: l’unica cosa che posso decidere, l’unica cosa che mi è richiesta, è il mio assenso a seguire, a rimanere — e a ritornare — sul cammino.
Ma non dovrei stupirmi. In Darsi Pace faccio questa strada in compagnia di ex anarchici, di suore, di persone della più varia estrazione e storia. Ognuno integra il percorso, con la sua specifica formazione, e per ognuno — mi pare — accade questo miracolo di integrazione.
Una strada che si snoda ormai dall’ottobre di due anni fa, e che mi ha regalato tanto, e soprattutto una grande ricchezza umana, articolata in incontri, sorrisi, incoraggiamenti, intese. Capisci finalmente il conforto di tante persone che camminano insieme con te: attraverso di loro vedi che le tue debolezze non sono obiezione a niente, ma proprio a niente. Una cosa che da solo, probabilmente, non capiresti mai.
Sì, l’avrei detto a Rosa la mattina dopo, tutto si integra. Se la incontro è poi colpa di Facebook (ma in fondo se sono nel percorso Darsi Pace è sempre ed ancora “colpa” di Facebook, per quel post che intercettò il mio interesse, qualche anno fa). È lui che, alquanto impiccione, mi avverte che ho un amico nelle vicinanze. Avverte anche Rosa, ovvio. E così ci mettiamo in contatto.

È stata una gioia per me incontrare due “insorti”, due persone conosciute al Seminario di Trevi: uno, è un Astrofisico e l’altro un Parroco.

D’accordo (a proposito, io sono l’astrofisico, ovviamente). Ci si vede la domenica mattina, subito dopo Messa.

Bellissima la Santa Messa di domenica 21, Spettacolare il flusso ordinato con cui i ciellini si muovono per l’eucarestia.

La sera del sabato, sono allo spettacolo di Paolo Cevoli, “Perché non parli”. Bello, certo un pelino forse richiede attenzione e concentrazione, perché fa tutto da solo. Non hai il conforto di un dialogo, che magari alleggerisce. Ma è bravo, e soprattutto si respira una buona aria. Quella buona aria di misericordia, che si sente un po’ dovunque, qui in Fiera.
E certo, di bella allegria.
L’allegria totalmente non forzata dei volontari al meeting — è questo spettacolo che mi si rinnova ogni volta che vengo, che dissolve gli strati di cinismo che la vita distratta mi mette addosso. D’altra parte, l’allegria non forzata di qualcuno, la letizia anche solo come accenno, è qualcosa con cui comunque fare i conti, qualcosa che non ti lascia tranquillo, ti spinge a cercare, a capire. Qualcosa che si ripercuote in ogni angolo, agli shop, ai bar, alle mostre. Quello che riescono meglio, quelli che patiscono l’affollarsi delle persone. Tutti.

Le mostre che ho visto mi hanno emozionata. Più di tutte “L’Abbraccio Misericordioso” che anche nei testi del catalogo ho trovato molto affine al pensiero di DP; la mostra su “Madre Teresa” mi ha straziata e anche “American Dream” un viaggio tra i Santi Americani, è stata di grande impatto emotivo. Ho trovato poco piacevole, ma per la disorganizzazione che ha visto far accavallare i gruppi facendo perdere ogni senso, “Restaurare il Cielo”

La mattina di domenica dopo la Messa, mi trovo dunque con Rosa vicino alle piscine. Rosa sta per iniziare il primo anno in Darsi Pace, dopo essere stata a Trevi per la settimana “insurrezionale” (e avere visto una sbaraccata di video di Marco Guzzi, come mi dice). La incontro in compagnia di sua cognata Alice. Ha il mio stesso entusiasmo, Rosa: quello di trovare nel meeting mille cose che hanno un sapore darsipacista.
Parliamo un po’, ed è come se ci conoscessimo da sempre. Quando ti muovi su un territorio comune, sembra che il dialogo sia più efficace. Ci si comprende meglio, più rapidamente. Lo stupore comune di quello che si sta vedendo in opera, rende tutto più facile. Dobbiamo riportare Marco al meeting! ci diciamo — entusiasti come bimbi — e ci pare al momento un’idea di straordinaria importanza. L’aria che si respira qui è un’aria amica a Darsi Pace. Dobbiamo lavorarci. Farlo venire per un incontro. Già, gli incontri, appunto.
Dal punto di vista degli incontri ce n’erano tanti e in contemporanea. Di sicuro non era facile garantire per tutti la stessa qualità, Molti, molto belli, intensi. Mi limiterò a citare quello che mi è piaciuto di più. Il preferito, “Un abbraccio che cambia la storia” con Mons. Paolo Pezzi, Arcivescovo di Monza e Vladimir Legoyda, Presidente dei Rapporti Chiesa — MassMedia del Patriarcato di Monza, con moderatore Alberto Savorana.
Lascio le due donne, con una bella impressione per la loro serenità. Saprò dopo, con grande stupore, che hanno attraversato un dolore molto forte, una grande perdita. A volte, vedo che persone sottoposte dalla vita ad un forte scossone sono proprio quelle che cercano con più serietà, come avessero sfrondato il cammino da tante cose inutili, da tante preoccupazioni di superficie. E questo si riverbera intorno, non c’è dubbio.
Il pomeriggio di domenica è molto denso, con gli incontri di Luca Doninelli sul tema del meeting, Tu sei un bene per me (ovvero, esclamerebbe la mia parte darsipacista, la bellezza inesausta della vera modalità relazionale, del superamento dell’io ego-centrato!), e quello di Davide Rondoni, uno dei poeti contemporanei che ammiro di più, su Shakespeare ed il senso dell’altro in Amleto.
Tutto, tutto rimanda a questo rapporto con l’altro (e con l’Altro), e tutto acquista un senso più vero, più sanguigno, più reale, dopo che questi due anni in Darsi Pace mi hanno fatto comprendere quanto questo rapporto con l’altro, compreso come fonte di bene, non sia scontato ma sia come un termine di un cammino, un già e non ancora. Un cammino innanzitutto dentro di sé, di cui qui si ritrovano le ragioni. In mille incontri e mille diversi linguaggi, più o meno efficaci.
Ho apprezzato particolarmente il linguaggio chiaro e diretto di Vladimir Legoyda del quale ho annotato una frase in particolare sul mio taccuino “Il cristiano non ha altro modo di cambiare il mondo se non innanzi tutto cambiando sé stesso” (che ne dite?) Non mi è piaciuto ad esempio “Le città non possono morire” soprattutto per l’emersione di un linguaggio ancora troppo politichese e mi pare avulso da vere soluzioni operative.
Ma l’incontro che mi colpisce di più è senza dubbio quello che chiude il mio meeting. Ripartirò infatti lunedì a mezza giornata. E prima faccio in tempo ad assistere all’incontro condotto da Roberto Fontolan, “Quale Islam in Europa”, con Wael Farouq, Docente di Lingua e Letteratura Araba all’Università Cattolica di Milano, e con Aziz Hasanovic, Gran Muftì di Croazia.
Qui — proprio sul punto di lasciare la Fiera — accade un piccolo miracolo interiore.
Qui la commozione per la testimonianza anche di chi ha profondamente sofferto e ciononostante ha scelto la modalità relazionale come approccio con l’altro, con le persone di altra fede, diventa commozione di me che ascolto. E gratitudine, vera gratitudine per l’offerta di una chiave interpretativa non bellica e pienamente realistica del rapporto con l’Islam. E in ultima analisi, del rapporto con chi è differente da me per visione del mondo, ma fratello, pienamente fratello in umanità. È la gioia purissima di un abbraccio, di sentirsi finalmente abbracciati, che mi rimane addosso mentre mi avvio alla stazione del treno.
Se devo trarre una conclusione direi che “L’abbraccio” in congresso, in mostra, in verità è il simbolo della resa del cuore, della nostra guarigione, della guarigione del mondo. L’abbraccio, nella misericordia.
Tutto si può dire del Meeting, di tutto si può ragionare: e questo non intende essere un intervento apologetico, né del meeting né di CL. Ma ecco, la Misericordia si avverte. Una misericordia a tutto campo, che non sopporta etichette o sigle o tessere di appartenenza. Mentre mi porto dietro questo abbraccio, i volti, i visi di tante persone di buona volontà, mi accorgo che il cinismo che mi avvelena così spesso nell’ordinario, non è l’ultima possibilità, è solo una (pessima) scelta. Una scelta che si può rivoltare, come un calzino.
Si può sperare, infatti. Si può camminare, perché la strada esiste.
Una strada — ne sono certo — che si può per larghi tratti percorrere tutti insieme, ma tutti. Tutti quelli che non hanno rinunciato a sperare, qualsiasi cosa credano o non credano.
Tutti.
Per darsi pace, la strada c’è: passa per gli incontri, i volti. Passa per l’uomo, coinvolto da Qualcosa di grande: quel soffio che per un momento lo distrae perfino dal suo limite, lo lascia a bocca aperta. A ritrovarsi addosso l’accenno di questa illogica allegria (per dirla con Gaber), fonte e ragione del cammino della vita.

Gli interventi in corsivo e rientranti sono di Rosa, il resto del testo è del sottoscritto.
Versione rivista del post pubblicato sul blog DarsiPace il 15 settembre 2016.

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