Sembra un quadro. Sembra assolutamente un quadro astratto. Lo immagino a grande formato, incorniciato a giorno, con una cornicetta sottile nera, molto moderna.

Ivan mi chiama, Vieni a vedere che ho fatto

Ivan è il mio collega di stanza, qui in Osservatorio. Lavoriamo su cose di stelle, è noto. Ognuno ha i suoi compiti, a volte ci confrontiamo, ragioniamo insieme sulle questioni di astronomia che ci sembrano più intriganti.

Mi alzo, vado a vedere e rimango basito. Mi aspettavo una cosa tecnica, cifre, dati, o un grafico asciutto, in bianco e nero. Pensavo ad un problema scientifico.

E invece no.

Sembra un quadro, Ma non lo è. O perlomeno, la sua genesi è diversa. Se è arte, potremmo chiamarla arte casuale. O potremmo ragionare – anche parecchio – sugli intrecci tra arte e scienza, sul fatto (mirabile) che la scienza produce quasi “naturalmente” dei pattern, delle configurazioni, assolutamente simili a quelle espresse dal percorso della ricerca artistica. E questo accade, credo, in ogni epoca.

Come se avessimo delle modalità percettive aperte verso una certa specifica modalità di ricezione del reale, anzi oserei dire di (ri)creazione di quella realtà che è resa possibile dalla consapevolezza raggiunta gradualmente e faticosamente, nel tempo. Tramite l’arte, la scienza, ma anche la cultura più vasta, la spiritualità.

Il reale è complesso, lo sappiamo, ed è leggibile secondo una infinità di codici. Anche la scienza scopre codici sempre più raffinati di interrogare il reale, e di riceverne le risposta. C’è probabilmente un modo di vedere il reale, scorgerne le segrete connessioni interne, che è proprio di ogni epoca. E produce delle figurazioni scientifiche, poetiche, artistiche, riconducibili – si direbbe – ad un denominatore comune.

E questo succede anche (o soprattutto?) negli errori, come già abbiamo visto. Perché anche negli errori c’è un tesoro, c’è qualcosa che brilla: c’è un valore.

“Arrossamento”, studio su dati di Omega Centauri (Crediti: Ivan Ferraro)

Nel dettaglio, questo quadro non è appunto un quadro, ma uno studio sull’ammasso globulare Omega Centauri (il più grande della nostra Galassia), dove è stato assegnato un certo colore ad ogni zona, a seconda del grado di arrossamento rilevato dai dati scientifici.

L’arrossamento peraltro è semplicemente quel fenomeno che rende la luce più “calda” a seconda dello strato di polvere che attraversa (lo stesso fenomeno per cui il Sole al tramonto è più rosso, perché lo vediamo attraverso uno strato di atmosfera più esteso).

L’arrossamento delle stelle di un ammasso globulare è decisamente importante perché ci indica proprio la distribuzione del gas e della polvere all’interno dell’ammasso, e questo a sua volta ci aiuta a capire meglio la genesi e l’evoluzione di questi ambiente stellare così particolari.

Fin qui, tutto bene. Dove sarebbe l’errore, allora? Semplicemente il valore di arrossamento – per questa indagine – viene mediato su una zona circolare (quei cerchi di cui si compone lo studio) e per l’analisi scientifica, quei cerchi sono stati scelti troppo grandi. Niente di male, il lavoro dello scienziato è un rifinimento continuo. Si guarda, si analizzano le cose, e si riprova raffinando le impostazioni. Si va avanti per sbagli e rilanci.

Questo quadro sarebbe dovuto andar cancellato, facendo posto a nuovi plot.

Solo che qui la prova l’abbiamo voluta conservare. Troppo bella per dimenticarla. Perché a volte – molte volte – nei tentativi non riusciti c’è una bellezza che è sconosciuta perfino all’impresa più “riuscita”.

Nella scienza, e nella vita.

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