Qualcuno se la ricorderà, o ne avrà sentito parlare: la base lunare Alpha, un insediamento scientifico umano costruito sul suolo lunare. No, non (ancora) nella realtà, ma nella celeberrima serie televisiva Spazio 1999. Per quanto sia una ipotesi suggestiva e ricorrente, questa della edificazione di una colonia lunare, forse non è però l’ipotesi più semplice, al fine di colonizzare il nostro unico satellite naturale.
Potremmo mai formare delle colonie, ad esempio, sotto la superficie lunare?
Fare casa, scegliere un posto che ti piace. Iniziare ad arredarlo come preferisci. Ecco, qui ci sei tu, ci sei solo tu. Cioè, la scelta è tua. Tu devi solo dire se ti ci trovi bene, se ti piace. Se ti va di portarti i tuoi libri (Jung, Joyce, Davide Rondoni, e tutto Andrea de Carlo, a prima botta direi), i tuoi dischi (ci mettiamo, intanto, tutto quanto Battisti, ovviamente: primo e soprattutto secondo periodo), i tuoi film (Stregata dalla Luna, Jerry Maguire, Love Actually, ma subito subito, poi vediamo), insomma le tue cose più care. Quello che definisce chi sei, quello che ritaglia un tuo contorno, di fronte al mondo.
Se definisci un contorno, definisci un ambiente in cui ti riconosci e ti ritrovi, arrivi a considerare che tutto sommato sei unico, non sei appena una fotocopia di mille altri. E allora, finalmente, puoi iniziare a rilassarti. Senti che c’è un motivo per cui sei qui. Senti che questo ambiente è così irresistibilmente tuo che nessun altro lo avrebbe mai costruito così.
Senti, all’inizio un po’ timidamente, che ti puoi rilassare, ti puoi un po’ sdraiare in questa tua unicità.
Del resto, pensaci: quand’è che non respiri, che ti senti soffocare? Quando ti senti preso in un ingranaggio per il quale tu sei un’unità impersonale, sei un numero, sei alienato da te stesso, corri e lavori e produci ma non sai più perché. Quando il tuo sapore unico si stempera, si slava. Tenti di essere così pulito e stereotipato che non sai più di niente.
Pulito, sì. Perché avere un ambiente, una casa, è fare anche pace con le tue granulosità, le tue imperfezioni. Perché comunque riverberano i tuoi colori, sono così tue che nemmeno te ne rendi conto, di quanto di meraviglioso trattengono. I tuoi colori, i tuoi odori, il fatto che sei tu, passa attraverso di queste, in modo non trascurabile.
Tu devi tornare tu, unico al mondo. Adesso.
A volte non sono necessarie svolte decisive, drastiche. A volte basta iniziare a fare casa. O meglio, riprendere a fare casa. Perché secondo me è una cosa spontanea, è un movimento costruttivo e creativo della mente, che può avvenire se appena c’è calma abbastanza.
D’accordo, può servire una tecnica, un’ordine, un cammino. Magari fa bene un po’ di meditazione, qualche respiro profondo. Ogni tanto sì, ogni tanto ci vuole: meglio se con regolarità (ma senza perfezionismi). Magari anche cinque minuti al giorno, appena. Come un gioco, un gioco di casa.
Ah sì, quasi dimenticavo: nella mia casa ci va un cuscino da meditazione e un tappetino. Giusto.
L’idea, insomma, è ritornare a coltivare i propri pensieri tranquilli. Che inevitabilmente pescano in quella zona sacra costituita dalle nostre più vere passioni, delle nostre inclinazioni creative. Da ciò per cui siamo qui al mondo, potremmo anche argomentare (volendo scomodare tematiche “alte”).
Ma torno alla casa, al piccolo e al riparato.
Fare casa è anche (e forse soprattutto) allestire un angolino immaginario dentro di sé. Niente muove il sentimento e il cuore più che una cosa immaginata con la massima libertà e niente coinvolge più di un gioco.
Niente è più serio e con più conseguenze dei pensieri che lasciamo circolare nella nostra testa. I pensieri esistono, cambiano le cose, colorano la realtà. Coltivare un buon rapporto con i pensieri è un atto di amore personale altissimo (ed anche di grande altruismo).
Uhm. Vengono fuori temi alti, di nuovo qui. Ma voglio cercare di riportarmi al piccolo, al riparato, a ciò che scalda nel nascondimento, nel riparo caldo mentre fuori è freddo. Insomma voglio articolare variazioni su un tema deliziosamente autunnale.
Ecco. Fare casa è — appunto— anche e soprattutto un esperimento mentale, è allestire un angolino della mente con le cose più tue, più personali. Ho scoperto che ti ci puoi rifugiare, quando fuori sembra freddo. Non serve mica muoversi fisicamente. Basta tornarci con la mente, volerlo fare, volersi bene tanto da rinunciare per un po’ alle immagini negative e di autosvalutazione, e permettersi di coccolare quei riverberi buoni, tranquilli, calmi. Di qualcosa o di qualche progetto che possiamo far crescere lentamente, magari. Di quel momento bello vissuto, che ci riscalda ancora. Di quel sorriso imprevisto, di quella ragazza incrociata in metropolitana, o magari di quella vecchina un po’ acciaccata ma con quegli occhi luminosi, aperti, buoni. Un sorriso gratis, di pura cordialità umana.
Con le mie cose più tranquille nella testa, come direbbe Alex Britti, insomma (canzone che, sia detto di passaggio, trovo decisamente terapeutica).
Io credo che oggi c’è un grande bisogno di fare casa, di rilassarsi, prima di tutto. Come poi nella canzone di Alex (il cui testo meriterebbe peraltro una esegesi minuziosa), potresti scoprire che in atto in primo (superficie) moto d’animo avresti detto egoistico, è invece il principio fondante del vero altruismo.
Insomma. Come vuoi essere utile agli altri se sei perennemente fuori da te stesso, se sei perennemente fuori casa?
Costruisci casa. Tornaci quando ti capita d’esserti perso, e farai un favore a tutti. Ma proprio a tutti (e te ne accorgerai). Perché emetti delle onde buone, da qui fino alle stelle.
E inizi perfino a cambiare il mondo, con tuo grandissimo stupore.
C’è qualcosa che si muove, nell’educazione. C’è qualcosa che non accetta la stasi, che rifiuta un modello di universo stazionario come ambito in cui tutto rimane uguale, niente cambia. C’è qualcosa che scommette sul cambiamento e sull’educazione. E che investe su progetti, anche di lungo respiro, anche rischiosi. Tutto per esporre gli studenti ad una prospettiva nuova, dove si possano sentire accolti come persone e non semplicemente come oggetti, numeri, entità disincarnate, destinate al mero assorbimento di un flusso più o meno articolato di nozioni.
C’è qualcosa. Ci sono molte cose. Molte persone, molti insegnanti, che si rischiano in questo ruolo. Lo fanno quotidianamente, silenziosamente. Per qualcosa su cui non è sbagliato, una volta tanto, spendere la parola vocazione.
Il pericolo per noi, è non accorgerci. E’ farci prendere dall’idea che tanto non cambia niente. Idea pericolosa, falsa e pericolosa. Perché rafforza la stasi, la permanenza in stati di bassa energia, di scarsa creatività, di speranza ridotta. Di vita a freno a mano tirato. Quando l’alternativa, invece, esiste.
Questo che segue è appena un appunto (altri post seguiranno, qui o in altra sede) su un esperimento che rientra in questo filone virtuoso, significativamente chiamato La Scuola Visionaria. L’esperimento è pilotato dalla Prof.ssa Carla Ribichini (coautrice del libro omonimo, insieme con Palma Mirella Iannucci).
Come recita il progetto stesso
L’educazione visionaria è quella che sperimenta nuove pratiche, progetta e crea percorsi in cui gli aspetti cognitivi e quelli educativi non sono mai vissuti separatamente, ma si intrecciano continuamente.
L’esperimento ha un tempo e un luogo, come ogni esperimento che si rispetti. Il tempo è quello presente (ma non solo, le radici sono ben sviluppate e si estendono felicemente indietro), il luogo è l’Istituto Comprensivo Corradini (Vermicino, comune di Roma).
In tale ambito, sono intervenuto due volte nel loro pregevole laboratorio, per parlare di scienza e poesia, a maggio di quest’anno. Gli incontri hanno registrato una presenza di un gran numero di ragazzi ed anche di insegnanti. Devo confessare con stupore che l’attenzione e il coinvolgimento, sia dei ragazzi che degli insegnanti, sono stati realmente gratificanti.
Si parla dell’universo: lo spicchio conosciuto, e la gran parte ancora da comprendere…
Lo sguardo attento e partecipe dei ragazzi, sempre sul pezzo anche quando si entra nel regno della fisica non conosciuta, della necessità di un sapere globale e olistico, per la crescita della persone. Capisco che c’è del materiale umano formidabile, che non possiamo perdere, disperdere. Ma non è solo quello.
E’ come se capitassi in un campo che è già stato sapientemente coltivato, pazientemente arato, sistemato. Capisco che c’è un lavoro degli insegnanti, dietro tutto questo, un lavoro non di oggi, ma di tanti giorni, tante occasioni. E certi insegnanti, sono eroi: lottare contro lo scoraggiamento, le difficoltà personali, le condizioni della scuola. Lottare per donare ai ragazzi qualcosa, una speranza, un riposo nuovo. Eroi, senza retorica.
Ma lo dicono anche i ragazzi (cito dal libro La scuola visionaria)
Gli insegnanti sono eroi perché ci trasmettono la sapienza del mondo.Ci insegnano la poesia letteraria e quella corporea che colma il vuoto interiore riempiendolo di gioia. Sono eroi, ma non quel tipo di eroi con la calzamaglia e i super poteri… il loro potere è quello di incantare gli alunni con la voce del cuore. (Ivan)
Ed ancora
Lo studente cerca negli occhi degli insegnanti la certezza che la sua vita sarà perfetta o quasi. Gli insegnati sono balsamo quando nei nostri cuori c’è aria di tempesta, sono gentiluomini che custodiscono la nostra vita e si dedicano a noi con amore (Elisabetta)
Tanto altro si potrebbe estrapolare, ma questo, nel candore delicatissimo e commovente di cui sono capaci solo i ragazzi (e chi realmente torna bambino, facendo proprio il monito evangelico), è già sufficiente per definire uno spazio di azione, ed insieme un senso compiuto a questa opera.
Che è un’opera grandissima, da condurre dunque con grandissima umiltà. Perché si tratta appena di questo, di mettersi a servizio di qualcosa, di un’idea presente, di una presenza, di una bellezza che investe l’uomo e lo rende sempre irriducibile a qualsiasi logica di mercato. Gli regala una rinnovata dignità.
Qui, solo qui, scienza e letteratura si possono incontrare, nella declinazione — anche balbettante — di un nuovo universo, dove l’uomo torna al centro di tutto. E dunque tutto torna, può tornare, più umano.
Qualcosa di così bello, per cui vale la pena affrontare il rischio. Per cui vale la pena, dedicare ogni sforzo. Per cui vale la pena, sopportare ogni pena.
Così recita infatti il libro, nella quarta di copertina:
Una scuola animata da idealismo ed amore visionario esercita un potere che rimane per tutta la vita e la trasforma.
A quale ideale più bello, più santo, potremmo mai pensare di dedicarci?
Possiamo dirlo subito, senza tema di smentita. Siamo fatti di cielo, di polvere di stelle, nella gran parte. Anche se non ce lo ricordiamo quasi mai. Fate caso, chi si sofferma mai la mattina (tra caffè, libri, ragazzi da portare a scuola, traffico, ricerca di parcheggio…) , anche solo un momento, a pensare al fatto che siamo totalmente impastati di cielo?
E non appena in senso poetico, o metafisico (che già sarebbe tanto, beninteso). Ma in senso veramente strutturale. Siamo fatti cioè di materia che è stata elaborata e prodotta nello spazio. E viviamo grazie a ciò che è accaduto – ed accade – nello spazio.
Per rendersene conto in modo molto diretto e concreto, basta guardare questa particolare tavola degli elementi.
Crediti & Licenza: Wikipedia: Cmglee; Data: Jennifer Johnson (OSU)
L’avrete riconosciuta: non è altro che la classica tavola periodica di Mendeleev con la piccola accortezza di aver aggiunto l’indicazione – per ogni singolo elemento – della sua sede probabile di produzione.
E si scoprono cose interessanti: cose che non sappiamo (o alle quali, appunto, non pensiamo quasi mai) ma che ci riguardano direttamente, cose che evidenziano e rinsaldano il nostro rapporto costitutivo con lo spazio. Lo spazio, infatti – così ci dice inequivocabilmente questa tabella – non è altro da noi, non è sopra la nostra testa. E’ molto più vicino, perché in qualche modo, ne siamo costituiti.
Prendiamo l’idrogeno, presente nel nostro corpo in ogni sua molecola d’acqua, ad esempio. Sapevate che tale elemento è tra le cose più antiche di cui possiamo fare esperienza? Viene infatti direttamente dal Big Bang: non si dà, a nostra conoscenza, alcuna altra modalità apprezzabile per la produzione di idrogeno nell’intero universo. Il carbonio, così come l’ossigeno, è invece prodotto dall’interno delle stelle. Gran parte del ferro nel nostro corpo è stato poi prodotto durante lo scoppio a supernova di stelle (di massa più grande del Sole) che “abitarono” questa parte di spazio, molto tempo fa. L’oro – lo abbiamo visto di recente – è stato in gran parte prodotto da stelle di neutroni durante drammatiche collisioni, che hanno prodotto (è proprio notizia di questi giorni) impulsi gamma “a vita breve” ed anche eventi di onde gravitazionali.
Capiamoci, non è sempre tutto chiarissimo: per esempio ci sono elementi essenziali, come il rame, di cui ancora non si conosce bene la specifica modalità di produzione. Tematiche aperte, tanto da essere ancora oggetto della ricerca attuale, tramite osservazioni e investigazioni al computer.
Ma la faccenda resta intatta. Siamo fatti di stelle (in gran parte). E siamo comunque totalmente fatti di materia del cielo.
Potrebbe forse bastare, per la ricorrente domanda (lecita, per carità) sull’opportunità di investire soldi nello studio del cielo. In fondo, studiare il cielo è studiare noi stessi. Ci potremmo infatti quasi domandare – a questo punto, invertendo totalmente la questione – cosa ci possa mai essere, di più importante…
E’ normale. Dopo l’entusiasmante scoperta di cui abbiamo debitamente dato notizia qualche giorno fa, tutti i media, dalle tv ai giornali, parlano diffusamente di queste onde gravitazionali: sono veramente un tema nuovo capace di ridestare interesse verso lo studio del cielo e dei fenomeni che vi avvengono. Un tema, a nostro modesto avviso, che ci può portare anche ad una sostanziale ridefinizione di come pensiamo al cosmo sconfinato, ed al nostro ruolo in esso.
E’ dunque una scoperta che ha una tale portata culturale che interessa di fatto una cerchia di persone ben più vasta dei classici addetti ai lavori, e riteniamo che meriti di essere compresa dal pubblico più vasto, almeno nei suoi tratti fondamentali.
D’accordo: ma ora che avete letto tutti questi approfondimenti, che li avete (anche) pazientemente digeriti, avete davvero capito che cos’è che oscilla in un’onda gravitazionale? Se ve lo chiedessero, sapreste rispondere?
Vero: ci hanno fatto l’esempio delle onde d’acqua in uno stagno, ma queste nuove onde si propagano pure nel vuoto assoluto, perciò – propriamente parlando – non c’è un mezzo che viene ondulato. Come la mettiamo?
Come onde nell’acqua? Ma se l’acqua non ci fosse…? C’è qualcosa da capire, più in profondità….
Giusto: ci hanno anche detto, in varie occasioni, che sono “oscillazioni dello spazio” che accorciano e allargano lo spazio tra due masse distanti, dunque noi le vediamo perché misuriamo la variazione di questa distanza. Ma, un momento: se si accorcia “lo spazio” si accorcia pure il metro che fa la misura, perciò (a rigore) non ce ne potremmo mai accorgere e misureremmo sempre la stessa distanza. Oppure non è così?
Infine, qualcuno ha detto, più correttamente, che l’onda gravitazionale è un’oscillazione della “curvatura” dello spazio-tempo… belle parole, anche abbastanza roboanti, ma che cosa vogliono dire davvero? Insomma, è possibile formarsi un quadro comprensibile e al tempo stesso corretto?
Dunque con piacere vi invitiamo ad ascoltare la puntata (anche su YouTube o iTunes) che guadagna una nuova attualità proprio alla luce degli ultimi risultati scientifici! Se aveste domande, potete commentare qui oppure direttamente sul sito di Fisicast. Troverete persone ben disposte a trattare amichevolmente questi argomenti così fuori dall’esperienza comune. Per poter finalmente arrivare ad un po’ di chiarezza, ad una comprensione che (sperabilmente!) si muova oltre la superficie un po’ approssimativa della notizia di agenzia, ma affondi la sua consistenza nel terreno solido ed affascinante della fisica di base.
Quella fisica che portò un certo Albert Einstein proprio alla predizione di queste elusive ondulazioni, esattamente un secolo fa.
Stavolta sono state viste tutte e due: le onde gravitazionali e quelle elettromagnetiche (insomma, quelle a noi decisamente più congeniali). Per la prima volta nella storia dell’astronomia. Ma l’astrofisica gravitazionale, non ci sta risparmiando sorprese. Come a dirci, è un campo nuovo, un campo eccitante. Non lo vedete? Non mi vedete?
I dati che abbiamo, ormai lo sapete, si spiegano benissimo con la faccenda di due stelle di neutroni avviluppate in una danza inestricabile, che le porta a fondersi l’una con l’altra, in breve tempo.
Va appena ricordato che le stelle di neutroni sono già di loro cose parecchio strane, e ben poco hanno a che fare con le stelle “normali” di cui ci siamo occupati spesso. Sono fatte di materia così “pigiata” da essere pesantissima, usualmente dovute al collasso gravitazionale di una stella di massa molto elevata (dieci volte il Sole o giù di lì). La materia – in stato “degenere” è così densa che una stella di neutroni di poche decine di chilometri di diametro, può benissimo avere una massa superiore a quella del nostro Sole.
L’episodio di cui parliamo è stato registrato il giorno 17 agosto nella galassia vicina NGC 4993, una gigante ellittica distante da Terra “appena” 130 milioni di anni luce. E qui c’è qualcosa che ha cambiato le carte in tavola, facendo fare un balzo in avanti sorprendente alla neonata astrofisica gravitazionale. C’è – se vogliamo metterla così – che lo sconosciuto è venuto incontro a ciò che invece è già ben conosciuto, gli ha teso la mano, gli ha fornito nuovo valore. E hanno camminato insieme. Portandoci a scoprire nuove cose, a legare quel che si conosce con quello che si scopre, nell’evidenza solare del fatto che uno rafforza l’altro.
Detta in modo più scientifico, la cosa è questa: pochi secondi dopo la rilevazione delle onde gravitazionali da parte degli esperimenti LIGO e Virgo, il telescopio orbitante Fermi ha rilevato un treno di raggi gamma, e qualche ora dopo sia Hubble che altri osservatori hanno rilevato i fotoni dello spettro elettromagnetico, legati all’evento.
Questo video decisamente suggestivo mostra due stelle di neutroni molto calde, nei momenti finali in cui l’orbita stretta in cui sono avvinte le porta ad una cospicua emissione di onde gravitazionali, appunto quella rilevata da Terra. Nel momento della (inevitabile) completa fusione, si forma un jet assai potente che genera un lampo gamma (di quelli a durata breve). A breve distanza di tempo, si ha anche la formazione di una sorta di supernova, per la precisione chiamata kilonova.
Questa significativa coincidenza tra quel che si vede (radiazione in banda ottica) e quel che non si vede (onde gravitazionali, raggi gamma) conferma che gli eventi che “vede” LIGO possono essere associati con lampi gamma di breve durata. Gli scienziati sono portati a pensare che queste fusioni di stelle di neutroni possano aver disseminato nell’universo una buona quantità di elementi pesanti, compreso lo Iodio, necessario alla vita, ed uranio e plutonio.
E non solo. La cosa che ha molto colpito l’immaginario collettivo, in questi giorni, è che potrebbe verificarsi una produzione cospicua di un elemento ritenuto assai prezioso, ovvero l’oro. Insomma, in questo momento, proprio in questo momento, potreste portare al collo, o al dito, il risultati esatto di uno di questi eventi.
Così, tanto per arrivarci dentro, col corpo prima ancora che con il ragionamento: lo spazio profondo e il nostro cuore, il nostro esistere, i nostri stessi ornamenti con cui ci presentiamo nel mondo, sono legati a filo doppio. Siamo dunque in connessione, in mo(n)di inaspettati, con l’infinitamente energetico, con l’infinitamente lontano.
Durante l’ottavo flyby intorno al pianeta gigante, la sonda Juno ha inviato a Terra questa bella immagine, che racchiude in un solo evocativo scatto, una porzione del pianeta Giove e due delle sue lune, Io ed Europa.
L’immagine è stata presa il primo settembre di quest’anno, quando la sonda si trovava a circa 27.000 chilometri sopra lo strato di dense nuvole che copre il pianeta gigante. La sua latitudine, in quel momento, era di circa -49 gradi.
Più vicino al pianeta è la luna Io, mentre Europa appare sulla sinistra dell’immagine, decisamente più lontano dal pianeta.
Anche questa bella immagine si deve al lavoro appassionato di un citizen scientist di nome Roman Tkachenko: una persona che ha scaricato i dati grezzi – messi a disposizione dalla NASA – e ha processato la fotografia per restituirci questo delizioso quadretto di famiglia.
Sempre più l’esplorazione del Sistema Solare sta diventando una impresa comune. Se da una parte è vero che solo grandi istituzioni hanno la possibilità materiale di inviare queste sonde in giro per lo spazio (ma i privati stanno facendosi strada sempre di più… ne dovremo parlare), è altrettanto vero che per la politica di “apertura” nel rilascio dei dati, è possibile a molti intervenire in modo creativo restituendoci questi autentici “regali”, dove la bellezza del cosmo risulta in modo efficace e certamente evocativo.
Un modo per ritornare a pensare il cielo come patrimonio di tutti, in fondo.
Se i risultati scientifici finanziati con i soldi dei contribuenti sono “beni pubblici”, e’ utile o addirittura etico spendere miliardi per cercare una particella elementare? O per andare a visitare un satellite di Giove o cercare l’acqua su Marte? O per osservare una galassia ai confini dell’Universo?
In altre parole, e’ utile finanziare la ricerca di base? E se sì, con che risorse? E per fare quale tipo di ricerca? La competizione e’ diventata una delle maggiori forze trainanti per la ricerca. Ma siamo sicuri che il modello competition-driven science sia davvero quello migliore? Di più, sta cambiando il concetto stesso di conoscenza? Siamo sicuri che sia ancora valido e applicabile oggi il “metodo scientifico” introdotto da Galileo più di 400 anni fa?
Le risposte a tutte queste domande non sono scontate. Più volte ce ne siamo occupati in questo blog, e ci piace dunque rilanciarle in occasione di un evento di sicuro interesse, proprio per fare un po’ di chiarezza su questo tema, che coinvolge un ambito ben più ampio di chi è coinvolto direttamente nella ricerca scientifica, ma si allarga alla più vasta comunità che finanzia direttamente la ricerca stessa.
Martedì 10 ottobre alle ore 11.45 si terrà infatti un interessante seminario di Fabrizio Fiore, direttore dell’Osservatorio Astronomico di Roma. L’intervento potrà essere liberamente seguito in streaming collegandosi a questo indirizzo (dove rimarrà anche disponibile per la visione in tempi successivi).