Blog di Marco Castellani

Mese: Ottobre 2017

Lame di ghiaccio… per Plutone

Ed ecco come appare la superficie di Plutone, vista dalla sonda New Horizons, nel luglio di due anni fa. E’ ancora impressionante il grandissimo dettaglio che la sonda è riuscita ad ottenere: dopotutto, parliamo di un “piccolo mondo” la cui distanza da noi – a seconda delle rispettive orbite – si aggira intorno al mezzo miliardo di chilometri. 

Vale la pena ricordare come, prima del passaggio della sonda, quando si pensava a questo peculiare quasi pianeta, ci si dovesse sostanzialmente accontentare di immagini di fantasia.

Crediti: NASA, Johns Hopkins Univ./APL, Southwest Research Institute

La particolarità di questa superficie, così ben evidenziata dai nuovi dati, è che sembra popolata da bizzarre configurazioni, rassomiglianti a gigantesche lame di ghiaccio, la cui origine ha rappresentato un bel rompicapo per gli scienziati. Le interpretazioni più recenti, portano a pensare che queste lame ghiacciate siano composte di metano. Questo gas viene rilasciato in atmosfera, durante i momenti geologici più caldi, tramite processi di sublimazione.

Di fatto, stiamo imparando un bel po’ di cose di questo ambiente così lontano e così inospitale. E tutto si deve a lei, la prima sonda mai puntata espressamente verso Plutone. In realtà la storia dell’esplorazione di questo mondo remoto, è una storia soprattutto di appuntamenti mancati, missioni deviate o addirittura cancellate.

Insomma è stato necessario aspettare il 2003 perché fosse approvata – e nemmeno troppo facilmente – questa missione New Horizons che poi partì nel 2006, e arrivò nei dintorni di Plutone a metà del 2015.

I dati che abbiamo preso da questa missione resteranno molto a lungo come lo stato dell’arte per quanto possiamo sapere sul pianeta nano. Correrà diverso tempo prima che un’altra missione possa esplorare questi posti così lontani da casa nostra, con ogni probabilità.

Ma il caso si presta benissimo a mostrare come l’esplorazione del Sistema Solare sia – unico caso nell’astronomia, forse – una questione soprattutto di andare a vedere. E quello che si può vedere dopo nove anni di viaggio, è incomparabilmente più efficace di quello che si può vedere, o si potrà mai vedere, da Terra.

Per convincersi, basta guardare Plutone (se ci si riesce) nell’immagine qui sotto. Sempre dalla New Horizons. Ma – piccolo particolare – all’inizio del viaggio.

Crediti: NASA

New Horizons ce lo insegna. A volte vale la pena, viaggiare. Ci sono cose che non possiamo immaginare, non possiamo comprendere, se non muovendoci, togliendoci dal nostro sistema di posizione e di certezze acquisite, scrollandoci tutto di dosso, affrontando il cambiamento. Anche a costo di vedercela con lame di ghiaccio, o altre cose non immediatamente gradevoli.

Il cambiamento, dunque. Anche e soprattutto, di posizione: fisica e mentale.

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Un Nobel… gravitazionale

Il Nobel per la fisica, l’avrete saputo, va ai fondatori e costruttori di LIGO, lo strumento che ha reso possibile per la prima volta la rilevazione delle onde gravitazionali, queste elusive increspature dello spazio, predette dalla teoria della relatività generale di Einstein, ma mai viste fino ai tempi più recenti.  E che ci costringono, come molta parte della scienza moderna, a ripensare l’Universo in termini forse un po’ diversi da quelli un po’ meccanicistici,  ai quali siamo abituati.

Sappiamo che si deve alla coppia di interferometri LIGO, se il 14 settebre dell’anno 2015, siamo stati in grado per la prima volta di rilevare queste infinitesimali deformazioni dello spazio tempo, aprendo finalmente una nuova finestra di indagine sull’Universo.

Il Nobel in questo senso, è altamente significativo. Sancisce indelebilmente il trionfo completo, prima di tutto, della teoria della relatività generale, corroborandone le previsioni con una precisione veramente encomiabile. E allo stesso tempo, donando inaspettata forza sia al nostro modello scientifico di Universo (fortemente plasmato sulla teoria di Einstein, appunto) sia alle ricerche più attuali su oggetti così esoterici e bizzarri come i buchi neri di massa intermedia.

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Dalla turbolenza, alla quiete…

Cos’è mai questo esteso anello di ghiaccio, tutto intorno alla stella Fomalhaut? Questa stella piuttosto interessante, visibile con relativa facilità nel cielo notturno, si trova ad appena venticinque anni luce da noi. Sappiamo che gli orbita attorno almeno un pianeta, chiamato Dagon, e sappiamo anche che è circondata da diversi anelli di polvere. Ma la cosa più intrigante è sicuramente questo anello ancora più esterno, la cui scoperta risale a circa una ventina di anni fa, che mostra un bordo sorprendentemente ben definito.

Crediti: ALMA, M. MacGregor; NASA/ESA Hubble, P. Kalas; B. Saxton (NRAO/AUI/NSF)

Vogliamo subito sottolinearlo: anche questa splendida immagine è frutto di un approccio “collaborativo” all’indagine astronomica, del quale parlavamo proprio ieri. In questo caso non parliamo certo di onde gravitazionali, ma di una riuscitissima composizione dei dati di ALMA (Atacama Large Millimeter Array)  con una immagine di Hubble. Qui i dati di ALMA sono in rosa, quelli di Hubble in blu. Insieme fanno una immagine veramente suggestiva, ma ciò che conta è che ci restituiscono, insieme, un quadro più completo e variegato di quello che succede intorno a questa stella così vicina e così particolare.

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Note sulla quarta onda…

La neonata astrofisica gravitazionale sta facendo rapidissimi passi avanti. E’ una scienza ancora bambina, lo sappiamo: ma vuol crescere in fretta. E riesce a farlo bene, dovremmo dire.

Lo sapete, siamo alla quarta rilevazione di un’onda gravitazionale, ormai. Correrebbe quasi il rischio di non fare notizia. Se non fosse per questi passi avanti, veramente giganteschi. Questa volta, per l’evento denominato GW170814, rilevato il giorno prima di Ferragosto, si è “mosso” anche il rilevatore Virgo, a Pisa. Cambiando radicalmente le carte in tavola, rispetto ai tre eventi precedenti a questo.

Per capirlo, una sola figura è forse più efficace di tante parole.

La zona di cielo da dove arriva l’onda.

La zona di cielo dove localizzare l’evento (nella fattispecie, la fusione di due buchi neri di massa circa pari a 35 e 25 volte il Sole, distanti circa 1,8 miliardi di anni luce) – proprio grazie all’entrata in funzione di Virgo – è decisamente più piccola, rispetto ai primi tre eventi. Iniziamo in altre parole a vederci meglio, a capire da dove vengono queste onde, a rendere possibile un aggancio e una correlazione con dati di altri strumenti, aprendo finalmente la strada alla identificazione in cielo delle sorgenti di queste onde così elusive.

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