L’astronomia è decisamente una scienza strana. Eh sì, perché contrariamente a quello che si potrebbe pensare, non è vero che gli oggetti a noi più vicini siano sempre i più esplorati. Prendiamo il Sole, ad esempio. Ad appena otto minuti luce da noi, potremmo supporre che ormai sia completamente conosciuto. E invece no: di fatto, la nostra stessa stella è ancora contornata – potremmo dire – da una serie di piccoli e grandi misteri scientifici, che attendono ancora compiuta articolazione, e convincente soluzione.

Crediti: NASA/GSFC/Solar Dynamics Observatory

Osservate questa sequenza di immagini del nostro amato Sole. Tutte le istantanee sono state acquisite nella stessa giornata, il giorno 27 del mese di ottobre, per la precisione. Ma mentre la prima “fettina” di Sole ci viene restituita in luce “bianca” (ovvero, nel modo in cui lo vedrebbe un occhio umano), tutte le altre sono acquisite in bande ultraviolette estreme, ovvero nella regione più energetica dello spettro, rispetto alla banda ottica. Sono anche disposte in bell’ordine secondo una scala di temperatura, crescente verso destra : la prima è su una temperatura di circa 6000 gradi, mentre l’ultima arriva a ben 10 milioni di gradi.

Una prima cosa che si può notare, ad un esame abbastanza puntuale, è che ogni immagine ci regala in realtà dei particolari diversi. Possiamo dire che ogni intervallo in lunghezza d’onda trasporta e rivela informazioni relative a diversi processi che stanno avvenendo sulla superficie solare (e al di sotto). E’ appena un accenno in scala ridotta dell’astronomia cosiddetta multi-messenger che si sta rivelando come approccio estremamente fecondo nella comprensione “a tutto campo” dei fenomeni celesti. Potremmo dire, in parole semplici, che occorre avere “occhi” per ogni specifica radiazione, sensori per ogni specifico “segnale”, per sperare di ricostruire un quadro completo e compiuto, di quanto stiamo osservando.

L’altra cosa, naturalmente, è l’ampio intervallo di temperatura in cui è capace di “splendere” il Sole. Arriviamo a dieci milioni di gradi, come abbiamo visto. E questo, per di più, accade nell’alta atmosfera solare, dunque molto più calda dei circa seimila gradi della base della fotosfera (da dove si originano i fotoni che arrivano fino a noi). Sì, avete letto bene: da seimila a dieci milioni di gradi, procedendo dalla “superficie” all’atmosfera solare! E’ una faccenda che ha dato ben più di qualche grattacapo ai fisici solari, per diversi anni, ma forse proprio adesso – grazie anche a dati precisi e dettagliati come questi – sta arrivando verso una sua piena comprensione.

Pubblicato originariamente su EDU INAF

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