Blog di Marco Castellani

Mese: Gennaio 2018 Page 1 of 2

Le strane meraviglie di NGC 3201

Questa bella immagine di Hubble dell’ammasso globulare NGC 3201 ci consente di tornare su questi straordinari agglomerati di stelle, importantissimi per la comprensione dell’Universo e dell’evoluzione delle galassie.

L’ammasso globulare NGC 3201 (Crediti: ESA/Hubble & NASA, Ringraziamenti: Sarajedini e collaboratori)

Questi ammassi sono agglomerati molto densi di stelle (centinaia di migliaia, in alcuni casi anche milioni), tanto che (più o meno) solo il Telescopio Spaziale Hubble riesce a cavarsela egregiamente nel mappare le zone centrale, grazie al suo grande potere risolutivo. Loro, gli ammassi, si trovano praticamente in tutte le grandi galassie, anche se il loro ruolo nella formazione delle stesse rimane ancora non completamente chiarito.

Ma NGC 3201 peraltro ha delle peculiarità importanti, che lo rendono unico tra i circa 150 ammassi globulari che impreziosiscono la nostra Galassia. Intanto, possiede una velocità molto alta rispetto al nostro Sole, e la sua orbita è retrograda (si muove ad alta velocità allontanandosi dal centro galattico). Inoltre il moto delle stelle più interne fa pensare alla presenza di un buco nero centrale.

Le peculiarità del suo moto suggeriscono, per questo strano ammasso, una sua probabile origine extragalattica. Insomma, potrebbe essere nato altrove, e ad un certo punto catturato nella nostra Via Lattea. Niente di strano, in questo: noi abitiamo una galassia molto grande, con un “potere di attrazione” non indifferente.

Se non fosse che la storia, in realtà, è più complessa di così! Le abbondanze chimiche delle stelle in NGC3201 ci racconterebbero una storia differente: infatti, sono simili a quelle di vari altri ammassi della Galassia, cosa che fa comunque pensare ad un ambiente di formazione comune.

Qual è la soluzione del rebus? Non è chiaro, e la maggior conoscenza della Galassia (a cui si sta lavorando alacremente, anche con missioni come Gaia) sicuramente potrà aiutare a ricostruire un quadro coerente.

C’è insomma molto ancora da capire di questi intriganti oggetti. Ma già ora possiamo gustare la innegabile bellezza di questi impareggiabili scrigni di stelle. Gelosi custodi – ancora oggi – di molte informazioni sull’Universo che dovremo imparare a leggere, e comprendere.

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Il turbolento polo nord di Giove

Questa nuova vista acquisita dalla sonda Juno della NASA, che sta gironzolando da tempo attorno a Giove, appare davvero straordinaria per bellezza e qualità del dettaglio. Ormai queste sonde moderne, possiamo dirlo, ci stanno abituando assai bene.

Crediti: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS/Björn Jónsson

L’immagine, a colori esaltati, è stata acquisita il 16 dicembre dello scorso anno, quando Juno era impegnata nel decimo passaggio ravvicinato al pianeta gigante. Nel momento dello scatto, la sonda si trovava a poco più di ottomila chilometri sopra le nubi che ricoprono Giove.

La bellezza che potete ammirare (cliccate sulla foto e vi ci potete facilmente perdere…) è dovuta in buona parte all’eccellente lavoro del citizen scientist Björn Jónsson: uno dei tanti appassionati, “non addetti ai lavori”, che ha scaricato i dati grezzi dal sito NASA, ha sottratto gli effetti dell’illuminazione globale, ha aumentato il contrasto e rinforzato i colori, e ha esaltato i particolari su piccola scala.

Nel complesso, un lavoro davvero egregio, che a sua volta premia ed esalta lo sforzo fatto dagli scienziati di mestiere (per quanto questa definizione vada forse sfumando, come vediamo): tutto quel lavoro che c’è dietro una moderna impresa scientifica e tecnologica come la sonda Juno, appunto.

La regione è quella del polo nord di Giove: non ci si confonda dall’orientazione della foto, che in effetti potrebbe trarre in inganno. Le foto di Juno non “abbellite” sono disponibili al sito https://www.missionjuno.swri.edu/junocam  per chiunque voglia cimentarsi in una riproposizione creative, che può essere – come in questo caso – estremamente efficace.

Il cielo è di tutti – scienziati e non. Tutti lo rendiamo migliore, con questo lavoro comune. Come probabilmente deve essere.

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Lo splendore cosmico di NGC 1398

E’ davvero una stupenda galassia a spirale quella che ci appare nella foto presa all’Osservatorio del Paranal, in Cile. NGC 1398 non solo ha dei bracci di spirale molto ben definiti, ma è visibile in essa una ampia “barra” di gas e polvere, che attraversa la zona del nucleo da parte a parte.

La galassia NGC 1398. Crediti: European Southern Observatory

In questa fantastica immagine, la galassia è risolta in un dettaglio veramente stupefacente (consiglio di allargarla a pieno schermo, io ho provato e letteralmente mi ci perdo dentro). NGC 1398 si trova a circa 65 milioni di anni luce da noi, il che vuol dire che la luce che ora vediamo è partita quando sulla Terra stava tramontando l’epoca dei dinosauri.

L’anello che potete scorgere nella zona più centrale, è con ogni probabilità una sorta di onda di formazione stellare in espansione, che potrebbe essere stata causata dall’incontro gravitazionale con un’altra galassia.

E’ noto ormai da tempo come il destino evolutivo delle galassie, anche quelle che ora vediamo apparentemente isolate, appare molto spesso segnato dalle interazioni e dagli incontri, che possono stravolgere assai profondamente fattori come il tasso di formazione di nuove stelle, ed influenzare profondamente la morfologia della galassia stessa.

C’è insomma una rete di connessione che lega tra loro gli oggetti celesti,  ad ogni scala. Una rete che solo adesso iniziamo a comprendere adeguatamente, e della quale è necessario tener conto per comprenderne le loro stesse caratteristiche. Come ci insegna la fisica moderna, del resto, non possiamo più studiare un oggetto “isolandolo” dal contesto, senza falsare profondamente la natura dell’indagine, e le sue conclusioni.

E perfino la bellezza di una galassia, è spesso il frutto dei suoi incontri, delle sue relazioni. E’ la traccia della sua vita, è questa a rifulgere di una simile magnificenza. Qualcosa, forse, su cui riflettere.

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Le elezioni e la scienza: un problema di desiderio.

E’ un’occasione, che sarebbe bello non perdere. Ci lamentiamo spesso di quanto la scienza venga trascurata, bistrattata o più spesso fraintesa, dal mondo politico (ma non solo). E lamentiamo – non senza ragioni – quella strategia di piccolo cabotaggio che ci priva di una visione a lungo termine e di ampio respiro, anche e soprattutto quando si parla di investimenti in campo scientifico.

Dunque le prossime elezioni politiche sono anche questo, un’occasione. Un momento in cui si può scegliere, ci si può aiutare a scegliere, anche in base all’attitudine che le formazioni politiche mostrano di fronte ad un ragionato ventaglio di domande sulla politica della scienza.

Il gruppo dibattito scienza, come riporta Il Post, ha preparato una selezione ragionata di dieci semplici domande, per comprendere cosa pensano i candidati leader su questioni cruciali, come gli investimenti per la ricerca, il tema dei vaccini, la promozione attiva della cultura scientifica, gli OGM, oppure la produzione e distribuzione di energia. Potete leggere il dettaglio delle domande nel sito.

Sono domande – a nostro avviso – importanti, anche perché trascendono dall’ambito strettamente scientifico, e ci lasciano intuire (in maniera nemmeno troppo nascosta) quale reale respiro possa mostrare una certa formazione politica, quale attenzione e disponibilità ad articolare programmi e strategie di ampia articolazione, rischiando finalmente la navigazione in mare aperto e non più le piccole rotte sotto costa.

Quella navigazione dove si comprende anche la distanza tra la vera scienza  – la vera avventura, cioè – e ogni deriva pseudoscientifica che inquina i media e propaga informazioni fasulle, spesso con grande danno di chi ci cade dentro.

Insomma, bisogna buttarsi tra le stelle come antidoto al cinismo e alla rassegnazione, che è sempre una medicina dannosa alla stagnazione odierna: stagnazione che è ideale e culturale prima ancora che economica.

Siamo davvero ad un cambiamento d’epoca, dove un mondo nuovo chiede un nuovo pensiero. Anche, un nuovo pensiero scientifico. Bisogna puntare al futuro, farsi ispirare dallo sviluppo prepotente – ed accelerato! – dell’Universo, rileggendo la crisi presente come una opportunità. Solo così potremo lavorare e spenderci per il bene comune, come il nostro cuore intimamente desidera.

Noi qui a GruppoLocale abbiamo un semplice pensiero, per la politica: bisogna tornare a sognare, tornare a guardare le stelle. A de-siderare, insomma. E farlo davvero, farlo con tutta la propria umanità. Anche quando si vota.

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Quel ritmo delle cose

Di solito non mi piacciono molto le varie riedizioni “deluxe” dei dischi di qualche tempo fa. I dischi con i quali sono cresciuto, praticamente. Li conosco in un modo, li conosco così e non mi fa impazzire che tu, cara mia casa discografica — per simulare qualcosa di diverso, per farmi pensare che questo mi manca, lo compro — mi aggiunga un CD al CD che già ben conosco, rappezzando in studio tutte le prove lasciate (giustamente) come prove dagli stessi musicisti. Proprio quelli che, che grazie al cielo e alle sue stelle, hanno trovato una soluzione migliore per un pezzo, un arrangiamento, qualcosa insomma. E giustamente, sono andati avanti.
Questo è. E sicuramente non sono il solo a pensarla così. Però ammetto anche che ascoltare di queste “prove” a qualcosa serve. Ti fa capire molto. E ti fa capire molto oltre la musica, molto oltre le canzonette (qui con Bennato, proclamo con solennità che sì, che sono solo canzonette, metto platealmente le mani in avanti, in modo da sottrarmi fin da subito ad ogni ammuffito e prevedibile dibattimento sulla “grande” musica e sulla musica “commerciale”).
Tanto per spoilerare me stesso e dove andrò a parare: ti fa capire che ogni opera è (solitamente) una costruzione, una lenta costruzione. Che ogni diamante nasce dalla terra, parte con due o tre idee, due schizzi sul foglio. Parte piccolo, (molto, molto) perfettibile. Questo me lo devo ricordare. Me lo devo proprio ricordare, quando inizio a scrivere qualcosa e mi sembra intollerabilmente incompleto e precario. Mi devo ricordare di non smettere, di lavorarci, di lavorare. Di starci.
Devi starci, come con tutto. Scappare non vale, non paga.

Però adesso torniamo indietro, a dove l’ho capito (con la testa l’avevo già capito da un pezzo, purtroppo con la testa e basta non si capisce niente per davvero, niente di ciò che conta).
Questa qui è la versione che ho sempre ascoltato, di una canzone splendida, con un testo altrettanto splendido. Mi sono sempre chiesto, tra l’altro, come hanno fatto questi ragazzetti norvegesi, negli anni ottanta, a comporre una cosa così, a scrivere una cosa così.


E poi qualche giorno fa, insomma, dopo una lunga storia di amore con questo disco e soprattutto questa canzone, mi sono ascoltato quasi per caso, su Spotify, la Demo #3 della canzone.

E allora ho capito.
Insomma qui la canzone c’è già, c’è tutta. Ma manca qualcosa di essenziale. La chitarra è molto più consueta, più ascoltata: vorrebbe graffiare, essere aggressiva, ma è abbastanza innocente. La canzone va, ma non c’è quel quid che la rende speciale, insostituibile, unica. La tastiera fa quel giro armonico (o come si dice) che è molto più inoffensivo. Ecco, quello definitivo è molto più asciutto, ed è sparato subito all’inizio del brano. E’ la vera cifra risolutiva di tutto, e ti viene presentata subito. E’ essenziale, come il testo è essenziale, senza orpelli. Ecco, è come se dalla demo avessero scavato via tutto quello che era inutile, era decorativo, come se avessero portato alla luce quello di bello che c’era già, dentro. C’era dentro, ma era come coperto, reso appunto più inoffensivo, meno capace di mordere, di colpire.
Però a questo punto, mi viene anche l’idea che magari a voi degli a-ha non vi importa moltissimo. E’ possibile, sì. Ritengo, sebbene un po’ a fatica, che sia possibile. Allora volevo dare un tono un po’ più generale al post (se ancora qualcuno mi sta dietro).
E’ che da questa demo si percepisce carnalmente (e non intellettualmente, lì son buoni tutti) una cosa generale, in effetti. Per cui forse vale la pena scriverne.
Che una cosa bella, davvero bella, usualmente non piove dal cielo già bella e pronta. Che magari, invece, parte in tono sommesso, mischiata a tanti errori, tanti giri decorativi, inutili, aggiustabili, migliorabili. E poi, scavando, lavorando, lavorandoci, assume quella fisionomia inconfondibile, perfettamente imperfetta, dolcemente, docilmente definitiva nel suo ambito.
E dici, finalmente dici: ecco, è questa.
Che è perfettamente integrata nel suo tempo, che risuona del suo tempo, anche. E’ lì dove deve essere. Per dire, nelle demo di The Wall, procedendo verso la versione definitiva, c’è come in filigrana, come in presa diretta, il passaggio esatto dagli anni ’70 agli anni ’80. Nell’arrangiamento, l’intonazione, tutto. Andate a sentirle, è stupefacente. Un mondo che cambia, come fotografato in musica. Ma questo sarebbe già un altro discorso, da approfondire un’altra volta.
Insomma, quel ritmo delle cose, per restare nel titolo del brano di cui si parlava, si acquisisce, si trasmette, non d’improvviso, ma con un lavoro umile, semplice. Con una dedizione tranquilla, nei giorni. 

“È dalla terra, dalla solidità, che deriva necessariamente un parto pieno di gioia e il sentimento paziente dell’opera che cresce, delle tappe che si susseguono, aspettate quasi con calma, con sicurezza. Occorre soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina, ma nasca dalla carne.” (Emanuel Mounier)

Nel tempo, tutto avviene nel tempo.
Anche una canzone.

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Luna da spettacolo, sul Cile

Si chiama tecnicamente luce cinerea.  E’ la riflessione della luce terrestre sulla superficie ancora in ombra del nostro satellite, fenomeno ben noto e descritto dallo stesso Leonardo da Vinci.

Questa bellissima foto, che riproponiamo da Istagram e che compare anche sul sito di Astronomical Picture of the Day (APOD, per gli amici), è stata acquisita dal Las Campanas Observatory, nel deserto di Atacama, in Chile, due giorni fa.

Un cielo che veramente regala uno spettacolo magnifico. Senza bisogno di alcuno strumento, di alcun ausilio tecnico, il cielo è così, è questa meraviglia che si apprezza ad occhio nudo. E mente aperta.

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In viaggio dentro la nebulosa di Orione…

E’ una delle nebulose più brillanti nel cielo. Ed è, anche, la zona di formazione stellare a noi più vicina. Parliamo della Nebulosa di Orione, che si estende per circa ventiquattro anni luce, ad una distanza da noi tale che la sua luce impiega più di un millennio per raggiungerci.

Un particolare del “viaggio” dentro la Nebulosa di Orione. Crediti: NASA, ESA, F. Summers, G. Bacon, Z. Levay, J. DePasquale, L. Frattare, M. Robberto, M. Gennaro (STScI) and R. Hurt (Caltech/IPAC)

E’ certamente uno degli oggetti più fotografati del cielo, e si è più volte guadagnato i suoi momenti di celebrità. Eppure può ancora riservarci delle sorprese. Adesso, ad esempio, possiamo finalmente goderci una esperienza ben più immersiva rispetto alla semplice osservazione delle immagini, grazie alla capacità tutta moderna di manipolazione dei dati grezzi.

Mettendo insieme informazioni acquisite dal Telescopio Spaziale Hubble e da Spitzer, l’altro telescopio nello spazio che opera in banda infrarossa, possiamo infatti imbarcarci per un vero viaggio all’interno della nebulosa. Un viaggio dove possiamo finalmente apprezzare la meravigliosa complessità di questa enorme fabbrica di stelle, con la conformazione delle diverse zone di gas tale da regalarci panorami davvero suggestivi.

Esiste dunque una complessità intrinseca dell’Universo (complessità che non di rado si tramuta una inedita percezione di bellezza) che iniziamo ad apprezzare appena ora, perché appena ora la qualità e abbondanza del dato scientifico viene a rendere possibili ricostruzioni evocative come quella che oggi proponiamo.

In un certo senso, riusciamo ad umanizzare l’Universo, perché lo conosciamo molto meglio di prima, e ci possiamo permettere – finalmente – di organizzare le conoscenze per adeguarle alla natura della percezione umana. E’ un passaggio quasi epocale che sta avvenendo, un passaggio che, in un certo senso, trasporta lo spazio cosmico in un contesto ben più familiare, consentendo una percezione più amichevole.

E questo, come ben possiamo prevedere, è appena l’inizio.

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Cinque esopianeti scoperti… nel tempo libero!

Ormai ne siamo tutti consapevoli. Siamo decisamente in un’epoca liquida, di dissolvimento di diverse certezze, prima (forse troppo) granitiche. Questo non può che coinvolgere, felicemente, anche il modo e l’idea di come si fa scienza, e di chi la fa. Siamo ancora abituati a pensare che la scienza la facciano gli scienziati, e che il resto del mondo viva e lavori ed ami in un ambito del tutto impermeabile a questo (fatto salvo per alcune grandi scoperte, che guadagnano per un momento l’attenzione dei media).

Ebbene, tutto questo – da tempo – non è più vero. 

Nossignori. La scienza non la fanno (solo)  gli scienziati, ma è diventata una vera impresa comune. L’ultima evidenza di questo – se ci fosse ancora bisogno di evidenze – sono i cinque esopianeti appena scoperti. Individuati proprio grazie all’attività dei citizen scientist, ovvero di semplici appassionati che dedicano tempo libero e le loro risorse di calcolo “casalingo” ad un grande progetto. In questo caso è Exoplanet Explorer, parte della piattaforma online ZooUniverse (di cui spesso ci siamo occupati anche in “queste pagine“).

Una immagine artistica di K2-138, il primo sistema di pianeti scoperto “dal popolo”. Crediti: NASA/JPL-Caltech

E’ stato infatti appena scoperto un sistema di cinque esopianeti, “macinando” i dati della sonda Kepler in questo ambito “allargato” e a disposizione di tutti. E’ una cosa importante. E’ la prima scoperta di un sistema di esopianeti avvenuta tramite questo virtuoso crowdsourcing. Uno studio relativo a questo nuovo sistema planetario è già stato accettato dalla prestigiosa rivista The Astrophysical Journal.

Altri dati della sonda Kepler sono appena stati messi online, perché gli scienziati cittadini ci possano mettere il naso, e magari fare altre scoperte. La massa di informazioni provenienti dalle moderne missioni spaziali, come sappiamo,  è semplicemente troppo grande perché gli scienziati – da soli – possano esplorarla in tempi ragionevoli.

L’unione fa la forza, anche nell’esplorazione del cosmo. E le vecchie barriere, i vecchi muri (anche di conoscenza), stanno crollando uno dopo l’altro. Invece di farne dei nuovi, conviene respirare quest’aria, finalmente libera.

E chissà quante altre cose si potranno scoprire. Nessuno stupore, del resto. Lo sappiamo, abbattere i muri fa vedere più lontano.

A beneficio di tutti.

 

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