Blog di Marco Castellani

Mese: Febbraio 2018

Giove, con un po’ d’aiuto dagli amici…

“Da che punto guardi il mondo, tutto dipende”, cantava qualche anno fa Jarabe de Paolo. E questo è vero anche e sopratutto se pensiamo al mondo nella sua accezione più vasta, ovvero l’universo. 

Così anche l’aspetto di Giove, di cui ci siamo occupati più volte per l’eccellente lavoro di mappatura che sta facendo la sonda Juno, in realtà non è sempre lo stesso, ma dipende. Dipende da come lo guardiamo, effettivamente. Ecco dunque che in banda infrarossa è già un po’ diverso, differente da come siamo abituati a vederlo nelle mille foto che ci arrivano (quasi) quotidianamente dallo spazio, acquisite nello spettro di lunghezze d’onda naturali per i nostri occhi.

Crediti: NASA, ESA, Hubble; Data: Michael Wong (UC Berkeley) et al.; Processing & License: Judy Schmidt

Perché ne stiamo parlando? Ebbene, per comprendere meglio la dinamica globale del sistema di nubi del pianeta, ed aiutare Juno a mettere in un contesto più vasto le immagini molto dettagliate che ruba con la sua indagine, ecco che viene in aiuto il venerando Telescopio Spaziale Hubble, impegnato ad acquisire regolarmente immagini globali dell’intera superficie.

Ed appunto, le bande che vengono monitorate vanno ben oltre la capacità dell’occhio umano, e si allargano dunque alle zone infrarosse ed ultraviolette. In questa stupenda immagine del 2016, ad esempio, le bande infrarosse sono state rimappate opportunamente nel visibile, in modo da poter essere percepite dai nostri occhi. Dall’esame dell’immagine si comprende come Giove sia diverso in infrarosso, in parte perché è diversa – a queste lunghezze d’onda – la frazione di luce solare che viene riflessa, dando alle nubi, nel complesso, una conformazione un po’ differente.

Quel che interessa notare qui, è che l’approccio sinergico tra un “anziano” e glorioso telescopio spaziale ed una sonda decisamente più moderna, è quello che poi  permette di portare a casa i risultati migliori, ovvero quel che consente di conoscere meglio l’oggetto dell’indagine, in questo caso il pianeta gigante del Sistema Solare.

Per parte sua, Juno ha ormai completato dieci delle dodici orbite previste intorno a Giove, e continua a inviarci dati che aiuteranno l’umanità a comprendere non solo la meterologia gioviana, ma anche – cosa ben più importante – cosa si nasconde dietro lo spesso strato di nuvole che ricopre il pianeta.

Un’avventura cosmica che non mancherà certo di regalarci momenti forti, ne possiamo scommettere.

 

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Le vorticose nubi di Giove

Ne abbiamo parlato più volte, del lavoro superbo che sta facendo la sonda Juno gironzolando intorno a Giove. Ma vale la pena tornarci un’altra volta ancora, probabilmente, perché le immagini che ci sta regalando sono veramente superbe, degne di essere incluse in una galleria dove la scienza e la bellezza vanno scopertamente a braccetto: insieme, per regalarci delle perle da un universo sempre (più) pieno di sorprese.

Le vorticose nubi di Giove (Crediti: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS/Kevin M. Gill)

Quello che stiamo apprezzando adesso è uno scenario di formazione di nubi nella parte settentrionale del pianeta gigante. L’immagine è stata “acchiappata” da Juno mentre era occupato nel suo undicesimo passaggio ravvicinato a Giove, meno di un paio di settimane fa. La sonda si trovava a poco più di ottomila chilometri di altezza, rispetto alle nubi che stava fotografando. Un’inezia, astronomicamente parlando.

La bellezza dell’immagine è anche frutto dell’elaborazione dei dati grezzi – forniti dalla NASA attraverso il sito dedicato –  da un citizen scientist di nome Kevin M. Gill. Non è certo la prima volta che la sonda regala dei dati capaci di far sbizzarrire con successo gli appassionati di arti grafiche. Dobbiamo proprio dire che stiamo scoprendo (con Juno, ma non solo) una bellezza e una varietà, all’interno del Sistema Solare, di cui fino a pochissimi anni fa non avevamo nemmeno un lontano sentore.

E nemmeno possiamo pensare a quante cose ancora potremo scoprire, nei prossimi anni, in questo ambito. Sonde sempre più sofisticate e precise sono in giro, ormai. E se una stella – anche con il più potente telescopio – rimane sempre un puntino luminoso, un pianeta o una luna, sono al contrario capaci di rivelarci una serie di sorprese che virtualmente non possono mai finire.

E noi, non finiremo mai di stupirci.

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Noi siamo qui…

E’ innegabilmente così, e forse non potrebbe che essere così. A volte il nostro cielo interno è tutto occupato, tutto allocato dai vari impegni e dalle prospettive più prossime, nel tempo e nello spazio. Cento per cento full, potremmo dire. Oltre alle incombenze quotidiane, ora, anche le imminenti elezioni, l’impegno di capire a chi dare il voto, per esempio. In questo scenario dove spesso predominano confusione e rassegnazione, sempre più difficile orientarsi verso una ipotesi, una scelta costruttiva. Una scelta che non censuri il nostro desiderio di bene, la nostra inestirpabile speranza di concorrere a migliorare almeno questo nostro pezzetto di universo. 

Ma quale pezzetto poi?

Corriamo il rischio di perdere la prospettiva, che è un rischio anche politico, perché la politica può venire compiutamente svolta solo se ci muoviamo in una prospettiva cosmologica corretta, che tiene in debito conto di tutto.

In principal luogo, di dove siamo. 

Ed eccoci, ecco dove siamo veramente. Ecco una foto che ci fa ricordare quello che spesso dimentichiamo.

Terra e Luna, da lontano

Crediti: NASA/Goddard/University of Arizona/Lockheed Martin

E’ una immagine della Terra (il punto più luminoso) e della Luna (il puntino alla sua destra) catturata quasi un mese fa dalla sonda  OSIRIS-REx della NASA da una distanza di quasi sessantaquattro milioni di chilometri. Mentre prendeva questa suggestiva immagine, la sonda stava muovendosi ad una velocità di 8,5 chilometri al secondo (per capirci, oltre trentamila chilometri all’ora).

Dall’immagine si possono scorgere diverse costellazioni, come ad esempio le Pleiadi (in alto a sinistra). Siamo qui dunque, prima di tutto immersi in un Universo sconfinato, mutabile e pieno di sorprese. Siamo parte di un tutto vastissimo e irrequieto, in perpetuo divenire. Nessun isolamento è possibile, lo dice la scienza: non esistono sistemi isolati.  E come argomentavamo anche di recente, il nostro pianeta è parte di un tutto che – comunque – ogni tanto fa capolino.

Nessun muro tra Terra e Cielo è più pensabile. E nessun muro in Terra, è più giustificabile, per l’evoluzione della nostra coscienza. Crescere con questa consapevolezza, è un compito grande. E pensarci, anche in questo tempo elettorale, forse è una cosa opportuna. E’ un segnale dal cosmo, che possiamo acchiappare senza bisogno di alcun particolare recettore, se non la nostra curiosità e voglia di capire, chi siamo dove siamo.

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Passaggi (molto) ravvicinati…

Piccolini, se vogliamo. Piccolissimi, rispetto agli standard degli oggetti astronomici. Ma non proprio trascurabili, in caso di impatto. Anzi. Due sono gli asteroidi che nei giorni scorsi sono passati vicino al nostro pianeta, ad una distanza inferiore a quella che c’è tra noi e la Luna. Entrambi gli oggetti sono stati scoperti dagli astronomi che lavorano alla Catalina Sky Survey (CSS), in Arizona.

Il primo, scoperto dai ragazzi della CSS il 4 febbraio, è denominato con la sigla 2018 CC. Il suo passaggio ravvicinato con la Terra si è avuto il 6 febbraio, quando è giunto ad una distanza di circa 184.000 chilometri dal nostro pianeta. L’asteroide è un grosso sasso il cui diametro dovrebbe viaggiare tra i 15 e i 30 metri.

Il passaggio ravvicinato di 2018 CB (cliccare sull’immagine per l’animazione). Visibile anche l’orbita della Luna, per meglio valutare le distanze. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Di interesse ancora maggiore è l’asteroide 2018 CB: anche lui infatti ha deciso di sfiorare il nostro pianeta, e l’ha fatto il giorno 9 febbraio, quando è transitato ad una distanza poco superiore ai 64.000 chilometri (una volta e mezzo la circonferenza terrestre, ragionando a braccio). Quest’ultimo, come dimensioni, si aggira tra i 15 e i 40 metri di diametro. Sebbene molto piccolo, potrebbe essere comunque più grande di quello che entrò nell’atmosfera nella località di Chelyabinsk, in Russia, esattamente cinque anni fa.

E’ comunque raro – per nostra grande fortuna – che un asteroide passi così vicino al nostro pianeta, e ci sono da tempo programmi di monitoraggio, come il CNEOS della NASA, che sorvegliano il moto degli asteroidi con particolare attenzione alle orbite più pericolose.

Questo è decisamente interessante perché ci fa quasi toccare con mano come l’Universo – ad ogni scala di prossimità – sia un ambiente vivo e dinamico, del tutto diverso da quelle figurazioni indubbiamente attraenti ma poco realistiche, di un cielo di stelle fisse, luogo di geometrica ed “inossidabile” perfezione. Nel nostro Universo – l’unico di cui abbiamo esperienza – tutto è in movimento, tutto è in divenire, in continua trasformazione.

E a volte – davvero – ci passa proprio accanto.

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Quelle lune (tutte) diverse…

La sonda Cassini ha concluso da tempo la sua gloriosa missione, ma le immagini che ci ha consegnato (come facilmente potevamo prevedere) sono destinate ad essere studiate – ed ammirate – ancora per molti anni a venire.

Lo studio accurato degli ambienti intorno a Saturno, che ha potuto effettuare questa sonda negli anni assai fruttiferi della sua attività spaziale, è davvero senza precedenti. Certamente per molti anni rappresenterà lo stato dell’arte di quanto possiamo sperare di sapere, per questa parte così importante del Sistema Solare.

due lune di Saturno

Due lune di Saturno a stretto confronto… Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute

In questa immagine, Cassini è riuscito a “fermare”  la luna di ghiaccio chiamata Rea nell’atto di passare davanti ad un’altra delle lune di Saturno, la gigantesca  Titano.

Già nell’immagine – presa in veri colori – si percepisce l’estrema differenza tra i due ambienti. Mentre Rea è un mondo ghiacciato, senza atmosfera, tormentato di crateri, Titano appare invece molto più levigato, protetto com’è da una atmosfera di azoto più spessa e densa perfino di quella della Terra.

Ma le differenze non si fermano certo qui: Titano in effetti spicca come uno dei corpi rocciosi più grandi nell’intero Sistema Solare: pur essendo una luna supera in dimensioni lo stesso pianeta Mercurio.  Al contrario, Rea è ben più modesto, e secondo le evidenze più moderne – corroborate dalla Cassini – potrebbe essere appena una grande palla di ghiaccio in equilibrio idrostatico.

C’è dunque una varietà impressionante che appena stiamo iniziando a scoprire, nello spazio intorno a noi. Questa varietà di situazioni ed ambienti dispiega agli occhi della scienza (ed ai nostri occhi) una serie di mondi ancora tutti da raggiungere, da comprendere, da ammirare. Ma ormai lo sappiamo: alla nostra migliorata capacità di osservare il cosmo, sempre risponde una complessità – ed una meraviglia – crescente.

In una spettacolare rincorsa, che probabilmente non avrà mai fine.

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Venere e il Sole… all’ultravioletto

Un tipo di eclisse tutto particolare, non c’è che dire. Di solito, infatti, è la Luna a schermare il Sole, quando si frappone tra la Tera ed il nostro astro, causando il ben noto fenomeno dell’eclisse. Ma di cose in cielo… ce ne stanno tante, anche e soprattutto nel nostro Sistema Solare. Può accadere – come in questo  caso – che sia il pianeta Venere che si trovi a passare (ogni tanto capita) davanti al disco solare: realizzando così una piccola – e tutta particolare – eclisse…

Venere davanti al Sole

Credit: NASA/SDO & the AIA, EVE, and HMI teams; Digital Composition: Peter L. Dove

Questa deliziosa immagine è del 2012, anno in cui è avvenuto il fenomeno (il prossimo avrà luogo nel 2117, un po’ troppo avanti, probabilmente, per molti di noi… ). L’immagine è straordinaria ed affascinante, anche perché non è presa in luce visibile, bensì nelle bande ultraviolette del Solar Dinamic Observatory della NASA. I colori che si ammirano corrispondono pertanto alle diverse lunghezze d’onda nelle bande ultraviolette.

Oltre allo spot nero di Venere, colto proprio nel suo passaggio, si può godere di una vista decisamente articolata (molto più che nel visibile), segno già questo molto convincente della complessità dei fenomeni che avvengono sulla superficie del Sole. Fenomeni così articolati che, come abbiamo specificato più volte, ancora attendono una compiuta interpretazione scientifica. Ma che già adesso si possono fare ammirare, solo a saperli vedere con l’occhio (o lo strumento) più adatto…!

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Il primo degli esploratori, una storia (quasi) italiana

Sono passati appena sessant’anni: correva infatti il 31 gennaio dell’anno 1958, quando The First Explorer veniva lanciato nel cosmo, tramite un razzo Jupiter-C. Si inaugurava proprio in quel momento, per gli Stati Uniti, l’era senza fine delle esplorazioni spaziali: il momento in cui si iniziava ad andare nello spazio per raccogliere dati, per “vedere” l’universo sul posto, per iniziare ad estenderci oltre la superficie del nostro pur bellissimo pianeta.

Il momento del lancio. Crediti: NASA

E questo primo importante salto nel cielo non è stato senza conseguenze: l’universo, potremmo dire, ha iniziato subito quel dialogo con noi dal quale stiamo – ancor oggi – imparando innumerevoli cose.  Nello specifico, il satellite aveva a bordo alcuni strumenti per misurare la temperatura, e gli impatti da micrometeorite. Insieme con un  certo esperimento ideato da James van Allen allo scopo di misurare la densità di elettroni e di ioni nello spazio.

E’ noto che proprio questo esperimento portò a risultati all’epoca piuttosto clamorosi, ovvero alla scoperta di due enormi fasce di particelle cariche che avvolgono tutta la Terra, le cosiddette fasce di Van Allen  essenzialmente composti da elettroni e ioni “intrappolati” nella magnetosfera terrestre.

La cosa per noi veramente interessante è che queste fasce in realtà erano state già previste teoricamente, da un fisico, politico ed accademico italiano: si tratta di Enrico Medi, un nome che ai più oggi non dice molto, probabilmente. Eppure, persona decisamente peculiare, autore di molte opere sia scientifiche che spirituali (e per il quale è in corso una causa di beatificazione).

Così la tecnologia d’oltreoceano si sposava, già allora, con il genio italiano, in un connubio virtuoso che avrebbe avuto molti altre occasioni di fioritura.

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