Sono passati appena sessant’anni: correva infatti il 31 gennaio dell’anno 1958, quando The First Explorer veniva lanciato nel cosmo, tramite un razzo Jupiter-C. Si inaugurava proprio in quel momento, per gli Stati Uniti, l’era senza fine delle esplorazioni spaziali: il momento in cui si iniziava ad andare nello spazio per raccogliere dati, per “vedere” l’universo sul posto, per iniziare ad estenderci oltre la superficie del nostro pur bellissimo pianeta.

Il momento del lancio. Crediti: NASA

E questo primo importante salto nel cielo non è stato senza conseguenze: l’universo, potremmo dire, ha iniziato subito quel dialogo con noi dal quale stiamo – ancor oggi – imparando innumerevoli cose.  Nello specifico, il satellite aveva a bordo alcuni strumenti per misurare la temperatura, e gli impatti da micrometeorite. Insieme con un  certo esperimento ideato da James van Allen allo scopo di misurare la densità di elettroni e di ioni nello spazio.

E’ noto che proprio questo esperimento portò a risultati all’epoca piuttosto clamorosi, ovvero alla scoperta di due enormi fasce di particelle cariche che avvolgono tutta la Terra, le cosiddette fasce di Van Allen  essenzialmente composti da elettroni e ioni “intrappolati” nella magnetosfera terrestre.

La cosa per noi veramente interessante è che queste fasce in realtà erano state già previste teoricamente, da un fisico, politico ed accademico italiano: si tratta di Enrico Medi, un nome che ai più oggi non dice molto, probabilmente. Eppure, persona decisamente peculiare, autore di molte opere sia scientifiche che spirituali (e per il quale è in corso una causa di beatificazione).

Così la tecnologia d’oltreoceano si sposava, già allora, con il genio italiano, in un connubio virtuoso che avrebbe avuto molti altre occasioni di fioritura.

Loading