Faccio una pausa, una contingenza mi impone di uscire. Sto rivedendo le poesie di Imparare a guarire. Mi stacco dal flusso di congetture e pensieri e idee di miglioramento ed idee di ma così vanno bene alternate ad idee ma cosa ci hanno trovato per volerle pubblicare alternate ad idee ma sai che questo verso viene giù proprio bene il tutto in alta frequenza, a rapida successione.
 
Fatto quel che dovevo, punto ad una piccola passeggiata, anche se piove. Mi spingo fino alla zona che mi piace, la zona che preferisco. Qui respiro, ogni volta e di nuovo.
 
Certo, devo trovare una scusa. Anche e soprattutto con me stesso: che faccio, vado in giro senza uno scopo? Con tutta la gente che ormai si affretta 24/7 (me compreso, più o meno), mica posso gironzolare a vuoto. Mi sentirei colpevole. Mi fermo al forno, è aperto quello, è sempre aperto. Ecco fatto. Prendo qualcosa per casa.
 
Guarda che intanto la pioggia è diminuita. Si può quasi camminare. Lascio in macchina la busta e adesso cammino.
 
Qui, sto bene. Chissà perché.
 
Allora traverso, cammino fino alla stradina che costeggia quella casetta che sembra un piccolo castello, giro a sinistra e lambisco il parco. Guardo intanto le case che si affacciano su quel fazzoletto verde, mi immagino di abitare lì. Scelgo il piano che mi piace, il balcone, quello ampio con i fiori. Oppure le finestre con la luce calda. Penso a situazioni, rumori, odori, frasi dette e sussurrate, pensieri, frammenti di vita quotidiana che ti vengono addosso e costruiscono un’esistenza.
 
Giro a sinistra, prendo la stradina, poi ancora a sinistra e chiudo il giro.
 
Guardo, mentre percorro la piccola via. Perché a camminare senza meta puoi ancora guardare. Con le poesie rimaste in stand-by un po’ di sensibilità mi rimane sulla pelle, mi ricircola nel cervello, passa intorno al cuore, un po’ meno addormentato di tante volte.
 
Così anche una scritta sui muri si collega a qualcosa. Come se un flusso nascosto di poesia, affiorasse, qua e là.
Così, mi fermo a fotografare. Non sarà un verso immortale, ma non ha importanza. E’ lì come segnaposto. E’ lì per dire che le emozioni contano, le emozioni muovono il mondo, le emozioni informano i pensieri (questo lo dice benissimo la scritta) e li scardinano splendidamente dalle inutili costruzioni logiche che l’ego di ognuno si costruisce. Esorbitano, allegramente.
 
Ma non solo. Il desiderio è quello che muove tutto. Comunque sia, comunque inteso. Altrimenti c’è la stasi, la stagnazione, la desolazione. Un desiderio è alla radice della vera poesia, della vera religione, di ogni agognato ritorno alla consolazione. Un desiderio preso sul serio è sempre una pista interessante. Il difficile è prenderlo sul serio, non accontentarsi di poco e vedere davvero dove va a finire.
 
La poesia è il prevalere del desiderio sulla logica. Perché un desiderio non è mai totalmente logico. Anche se è sempre totalmente ragionevole.
 
Forse anche Giorgia, anche lei lo sa. Lo capisco dall’altra scritta, che incontro.
Questo è come riprendere, riconsiderare, riabbracciare la prevalenza del desiderio, esattamente. Che bella frase, solo a ripensarla, a rigirarla nella mente: la prevalenza del desiderio. E’ tutta una indicazione cordiale di un ordine differente delle cose, un ordine più umano e meno meccanico ed impersonale ed impermeabile al cuore di quello che diamo per scontato.
 
E’ una sottile rivoluzione che può sempre ripartire, sempre rifiorire.
 
Dire Ti amo Giorgia con piena coscienza, è un atto rivoluzionario, un riavvicinamento in picchiata al cuore, una ripresa d’aria, una lieta sorpresa.
 
Torno alle mie poesie. Alla fine la poesia è un atto di amore, sempre e comunque. Non può essere altro, strutturalmente è impossibilitata ad essere altro.
 
Per questo è irrazionale e ragionevolissima, per questo è necessaria per vivere, per questo è una linfa che scorre e tiene aperto il cuore, lo tiene acceso, lo tiene morbido, lo tiene vivo.
 
Il flusso della poesia è una festa. Una festa necessaria.
 
Non so. Io credo che Giorgia lo sa e chi la ama veramente, per quanto veramente la ama, già lo sa. Ed io che fatico ad amare, ma voglio amare, lo sto imparando, forse.
 
Poco a poco, zoppicando, incespicando mille volte. Con tanta pazienza, con molta lentezza: datemi tempo per amare, avverte d’altronde il vero poeta, consapevole della difficoltà dell’impresa.
 
Insomma, con ogni possibile lentezza, imparando a guarire.
 
Anche, grazie alla poesia.

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