Siamo strani, siamo umani. Siamo universi sempre diversi. Un approccio logico-razionale tra due persone, comunque, porta rapidamente ad un attrito, una frizione, una consunzione, come due ingranaggi che girano a regime diverso e si volessero mettere in connessione. Tale approccio porta in realtà allo stesso stress delle strutture anche nel rapporto di una persona con sé stessa, come sappiamo. Siamo, mi pare, in una epoca di ipertrofia della logica, che viene applicata spesso fuori dal suo specifico campo d’azione. 
Sarà perché la logica è in un certo senso, falsamente rassicurante. Ci fa sentire padroni della situazione, ci fa sentire in pieno controllo. E’ una cosa che possiamo dominare, e sembra lì apposta, per fare chiarezza. Tipo, enucleare i termini di un problema, descriverne i contorni, per poi operare in maniera logica e razionale, verso una soluzione (o mitigazione del problema). Dividere, sezionare, scansionare, enucleare all’infinito, per comprendere, o per risolvere. 

E’ un abbaglio della ragione, fondamentalmente. Una sua hybris, abbastanza perniciosa. Nella sua ansia risolutiva, si scorda di tutto un mondo attorno, che però non può essere escluso senza alterare e avvelenare il contesto, il campo da gioco. Si scorda – per dire – dell’esistenza delle stelle. 

Ci siamo molto abituati a diffidare di tutto tranne che del ragionamento, che invece a volte è proprio l’ultima cosa alla quale ricorrere per affrontare i problemi. Avete presente quella sensazione che tanto più ragioniamo su una certa circostanza, tanto più ci impantaniamo?

Forse perché il ragionamento ci illude di tenere presente tutto, e ponderare tutto. Mentre in realtà ha fatto fuori dal suo stesso moto iniziale quella salutare pratica di affidamento ad una forza più grande e benevolente, che spesso – a parole – diciamo pure di considerare, o di onorare (chiamatela Dio, o Essere, o Vita, o in qualsiasi modo vi risuoni di più). O più semplicemente,  se volete, a qualcosa che non cade nella nostra orbita di analisi, al momento.

Alla base del ragionamento c’è infatti un assioma, un postulato, quello segretamente prometeico che dice “bene, ora vediamo come io posso risolvere questo problema”. Come tale esclude appunto un qualsiasi affidamento a qualcosa che sia esorbitante dalla mia cognizione razionale. Ed esclude dunque qualsiasi sorpresa.  Come dire, “poche chiacchiere, quando si arriva veramente ai problemi, me la devo vedere da solo”. 

Dunque in un certo senso, un approccio totalmente razionalistico ad un dato problema è prima di tutto e subito una mozione di sfiducia. 

Come appunta  Etty Hillesum nel suo Diario,

Dammi pace e fiducia. Fà che ogni mia giornata sia qualcosa di più che le mille preoccupazioni per la sopravvivenza quotidiana. E tutte le nostre ansie per il cibo, i vestiti, il freddo, la salute, non sono altrettante mozioni di sfiducia nei tuoi confronti, mio Dio? 

Certo non è facile, lasciarsi andare, provare ad affidarsi, mollare la presa (per me, ad esempio, è francamente difficilissimo). Ma non per questo dobbiamo desistere, anzi forse dobbiamo lavorare di più e con più allegra determinazione a lasciare, ad abbandonarci ad un flusso più grande e più saggio di noi. 
Certo, non ci riusciamo subito. 
Ma fare delle prove di abbandono, magari anche spezzare la catena perversa di ragionamenti, la proliferazione di pensieri, con qualche minuto di meditazione, o di lettura profonda? Perché no? O comunque, appena, sapere che a volte la soluzione non viene dai pensieri – per quanto la mente ci suggerisca di pensare più a fondo se non troviamo soluzione. Paradossalmente, una buona cosa potrebbe essere quella di accogliere la situazione presente, rinunciando – almeno per un po’ – alla idea, alla pretesa di cambiarla, o di cambiarci. Onorare la situazione presente, accettandola
Senza tanti ragionamenti. 

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