Il post sul blog della scuola recita proprio così, c’è una scuola che diventa ogni giorno poesia. Ed è forse la cosa più bella, e al contempo più concreta, più solida, più antiretorica che si possa affermare, sull’educazion. Perché la poesia ha questo in comune con ciò che ci appare normalmente “con i piedi per terra”, cioè con la scienza: è estremamente concreta. In fondo, poeti e scienziati fanno lo stesso mestiere, è ormai assodato. Sarà forse per questo, mi chiedo, che c’è chi prova a farli… entrambi? 

L’incontro con le seconde classi dell’I.C. Corradini di Roma, sul mio libro Imparare a guarire, non è niente di improvvisato o estemporaneo, ma è il coronamento di un lavoro veramente bello che hanno fatto gli insegnanti – la professoressa Carla Ribichini e le sue colleghe – in un arco ormai di diversi mesi, direi con allegra costanza. Lavoro molto radicato e concreto, che abbiamo riportato in varie sedi, tra cui il blog della sezione educativa dell’Istituto Nazionale di Astrofisica.

Lo penso, questo lavoro, come qualcosa che cresce, che irrobustisce, che accende una piccola ma consistente luce di speranza: per questo ha valore, direi oltre le nostre piccole persone. Per questo è importante. Per questo, ancora, sconfessa e fa esplodere – direi dall’interno – tante analisi anche giustificate, ma in fondo (mi pare) inutilmente e pericolosamente rinunciatarie, che vengono fatte quotidianamente sullo stato dell’educazione in Italia. 

C’è davvero una scuola diversa, una scuola visionaria e bella, che rispetta ed onora le emozioni e per questo cerca di farle crescere e germogliare su un terreno sano, colorato, morbido. Cerca di aiutare i ragazzi a guarire, a fiorire nella loro splendida unicità. Non certo massificando, omologando, preparando al mondo del consumo: no, niente di tutto questo. Lo fa, piuttosto, entrando a piccoli passi nella diversità meravigliosa di ognuno di loro, custodendola e onorandola con intelligente amorevolezza, accompagnandola con delicata sensibilità: premessa indispensabile perché possa fiorire, nel tempo, al suo tempo. 
Per questo ci si serve utilmente anche della poesia, delle poesie. Il mio sincero riconoscimento va dunque ai professori dell’Istituto Corradini che hanno visto nel mio recente libro uno strumento di lavoro, leggendovi delle potenzialità d’utilizzo che io stesso non avevo affatto messo a fuoco con tale limpidezza. Per questo,  ci siamo ritrovati, mercoledì 31 di ottobre, insieme ai ragazzi, agli insegnanti e ai genitori interessati, per celebrare insieme questo lavoro che è intrinsecamente poetico, in radice.

Si tratta, in fondo, di imparare a guarire tutti insieme, facendo appoggio sul nostro stare insieme – non in senso volontaristico, ma per esercitarci in una mutua comprensione, una feconda reciproca  compassione. Con noi, per radicarci al compito ed insieme al territorio (siamo ai bordi di Roma, al confine dell’Impero), graditissimi ospiti alcune persone dell’associazione Frascati Poesia tra cui Rita Seccareccia.

Ed è stata, veramente, una celebrazione, o se volete, una festa. Questo è il carattere, sempre perso ma sempre da ricercare, dell’uomo nascente, che è magari debolissimo in tutto ma forte in questo desiderio di luce, pace ed integrità. Forte, in questo inesausto anelito di rinascere fuori da ogni menzogna e ogni roboante retorica, per un pensiero nuovo che sia, innanzitutto, un respiro profondo, un respiro fiorito, che lo redime perpetuamente e redime perpetuamente ogni cosa intorno. Già credere in questa possibilità, crederci davvero, è invitare l’universo ad ordinarsi in tale senso:  è una cosa attiva e rivoluzionaria insieme. 
L’incontro si è svolto tra lettura delle poesie del libro, impreziosite dalle emozioni e dalle impressioni che avevano suscitato nei ragazzi, e musiche e danza, in un alternarsi lieto che chiama molto concretamente all’unità di ogni espressione artistica. Soprattutto, vivendo questo evento, mi era chiaro il potere di guarigione, la carica terapeutica di tutto quanto stava avvenendo. In queste occasioni mi diviene proprio lampante. Ero in un posto, in un angolo di spaziotempo, dove i ragazzi possono – insieme agli adulti – depositare amorevolmente i propri crucci, le proprie tensioni di persone in crescita, e celebrare il dono di essere vivi, in fondo. Farlo in modo consapevole, non distratto come ci propone la società del consumo. Farlo in modo vivo da donne e uomini vivi, quali siamo. Questo angolo di spaziotempo diventava così improvvisamente e dolcemente il centro, il luogo dove le cose vengono in luce, vengono (ri)create, diventano nuove.
Per questo la poesia. di tutto questo la parola, in Questo Universo, è un vettore, un enzima formidabile. Infatti questo Universo ama farsi raccontare, e molti doni si ricevono – io penso – per questa nostra disponibilità al racconto, alla parola.

Come scrivono bene i ragazzi, con profondissimo intuito, la parola poetica è questo strumento quasi taumaturgico, che compie mille e mille meraviglie, che si pone come ponte sopra il razionalismo esasperato da una parte e le tentazioni dell’irrazionale, dall’altra. Proponendo un percorso sano di ragionevolezza, sano e morbido, sano e sorridente.
Tutto è avvenuto nella tranquilla familiarità di un ambiente che fa dell’accoglienza la sua cifra più evidente, almeno per il sottoscritto. E se queste impressioni che registro sembrano enfatiche, non è per una tensione retorica, ma è perché io al Corradini mi sento a casa, devo dirlo. E non c’è protagonismo o affermazione o esibizione di talento o simili sterili situazioni. Affatto, direi. C’è un senso piacevole di officina, un senso d’essere tutti – appena – lavoranti in quest’opera, che ci sorpassa e ci trascende. 
E ci trascende alla grande, ma con allegria, offrendocene anche a noi, di quell’allegria sottile e profonda – così diversa da quella forzata della civiltà della distrazione – che rimane dentro, rimane sotto, in fondo al cuore, e che lo alimenta, nei giorni dell’autunno dove freddo e pioggia non fanno più dimenticare a lungo che c’è il sole a cui riscaldarci, comunque. 
Sì, c’è il sole di quest’opera comune, che aiuta noi adulti e aiuta i ragazzi, forse appena un po’ (ed è moltissimo) nell’opera di costruzione e di perpetua, rinnovata e rinnovante, guarigione.

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