Blog di Marco Castellani

Mese: Febbraio 2019

Ti racconto il mio Sanremo

 … solo un caso: la trasferta è iniziata il 17 gennaio, festa si Sant’ Antonio abate, monaco eremita…

Non sarà un caso se gli accadimenti e i percorsi che ho intrapreso in varie modalità in questi ultimi tempi (il bellissimo Darsi Pace, il lavoro sul cuore con Giulia, l’incontro con suor Sveva eremita, il passaggio alla Pieve di Romena, insieme al richiamo di don Carron e di Papa Francescomi stanno avvicinando a un desiderio di silenzio e di svuotamento. La percezione oggi è quella di camminare su sentieri tortuosi con deviazioni, scale, discese e salite ma che conducono sulll ‘unica strada:  LA STRADA .


cielo mare  a Sanremo 

Sanremo è stata una bella esperienza. Il mio compito era che il lavoro per il programma che seguivo  che non era il festival, venisse seguito e realizzato con meno problemi possibili e nei tempi stabiliti. Non dovevo fare altro che essere accanto al mio collega che più giovane e più bravo di me ha svolto la parte creativa e che si trovava in prima linea a dover relazionarsi e mostrarsi ai committenti. Io ho potuto rimanere un passo indietro, essere “al servizio “, allenandomi nel metter a tacere un certo EGO che spesso fa capolino.

Il tempo di trasferta è un tempo particolare, ma anche privilegiato. Si è lontani dalla normalità della vita, e dagli amici, e dagli affetti quotidiani. Tutto viene sostituito dalla convivenza tra colleghi. Il tempo e l’impegno ruotano intorno al Festival di Sanremoe a tutti gli eventi collegati ad esso.
Ho desiderato da subito che il mio tempo non fosse inutile, disimpegnato o distratto nel turbinio di cene e pranzi a  tema fisso con pochissime eccezioni: lavoro, lavoro, lavoro farcito da pettegolezzi e le solite problematiche aziendali, tutto con un ritmo monotono fino ad arrivare alla nausea.
STARE con le persone anche dentro quella nausea è stata una sfida supportata anche dal pensiero che “L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di Te in noi stessi, mio Dio. Forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori (devastati) di altri uomini. (…) tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi.  E.Hillesum
Così non ci sono più spazi o circostanze inutili. Con la preoccupazione di salvare quell’angolo di cuore, ma senza per questo sentirmi “migliore “degli altri, ho partecipato pienamente alla baraonda di queste giornate.
Ma come si fa a conciliare il bisogno di ESSENZIALE che sento come desiderio di pienezza, con il chiacchiericcio, la distrazione e il gigantesco superfluo di parole e cose di cui si viene bombardati senza tregua?
Bisogna nutrirsi!  Così il silenzio, la meditazione imparata con Darsi Pace, la bellezza del mare e del cielo, le biciclettate e miei pranzi solitari davanti al mare, il passaggio quotidiano nella Chiesa dei frati francescani, sono stati il nutrimento per non annegare nel nulla delle troppe cose …
Pur stando con le persone ho vissuto in una solitudine, e, come spesso  ormai mi succede, sentendomi un po’ “strana”. Queste giornate sono state un’attesa continua nel desiderio d’incontrare un’anima …
Regali ne ho avuti tanti: la breve colazione con Paola, in cui scopriamo il comune desiderio di stare “interi e centrati” e non far diventare una parentesi di vita questi giorni, poi la fresca ‘amicizia con i nostri” vicini di casa,  i frati, poi la  conoscenza e l ‘invito a cena di due bellissime famiglie di Sanremo in cui ho respirato la semplicità, l’ accoglienza e la pace dentro l ‘eccezionalità di una vita “normale “ma non facile.
Tra le cose che ascoltavo e mi nutrivano durante le mie biciclettate c è stata anche un’intervista di Simone Cristicchi che riprendeva la parola” essenziale” raccontando di due ragazze del terremoto dell ‘Aquila che hanno capito che per loro l essenziale era possedere solo 2 magliette, poi della felicità sorprendente incontrata nel volto di una monaca di clausura, e del significato della sua canzone….

E’ con questo cuore gonfio di attesa che quando  ascolto la canzone di  Simone Cristicchi  mi commuovo. Ho la fortuna di poterlo incontrare “dal vivo”, devo attendere che si concluda l ‘inseguimento dei cacciatori di selfie. Supero  mio timore di essere presa come una molestatrice perché io DEVO  parlargli.!  Dopo breve inseguimento lo blocco.

Il mio GRAZIE è venuto fuori come strabordante  e da un bicchiere troppo pieno. Era il riconoscimento di un cuore. Ci siamo  detti delle cose  e riconosciuti in  questa esigenza di  tempi di  silenzio davanti alla bellezza  regalata dal mare.
Era quel ‘anima che attendevo. Così inaspettata!  Improvvisamente ho sentito che il senso del mio essere a Sanremo era lì: un risveglio del cuore , una riprova di essere sulla stessa STRADA. 
Il giorno dopo lui torna nello studio per la trasmissione-talk pomeridiana. Ascolto l’intervista. Uno spazio di verità in cui  Cristicchi racconta come coraggiosamente ha presentato quella canzone, poi accenna alle nostre maschere, agli schiaffi e alle carezze della vita.  Dentro tanto parlottìo televisivo noiosissimo che  seguirà subito dopo con “gli esperti “, le poche parole ascoltate splendono come luce e vanno dritte come una lancia a colpire il cuore della gente. Il pubblico  infatti  applaude spontaneamente con forza.
Si, Simone Cristicchi  solo per questo ha già vinto! Tutto il resto e cosa ne seguirà non ha importanza .
Penso in quel momento al potere del microfono di cui aveva parlato lui stesso . Se la TV produce spazzatura, si mangerà spazzatura, ma se qualcuno risveglia il cuore, la gente se ne accorge, si muove, gioisce e si accende una speranza.
(a me  torna   in mente quando ho iniziato a lavorare in TV, quanto ero idealista  immaginando la possibilità di cambiare un pezzo di mondo.  Risvegliare le menti assopite, risvegliare le coscienze addormentate, aprire il cuore alla creatività e alla bellezza, educare alla solidarietà, credendo che questo fosse la mission del servizio pubblico…) 
 Nel breve colloquio avevo raccontato a Cristicchi che ero stata a Romena e avevo conosciuto don Luigi Verdi. Lui mi dice che, guarda caso, proprio la sera verrà  a trovarlo e m’ invita a passare a passare a salutarlo.
Un altro regalo è stato l’incontro inaspettato con Don luigi Verdi con cui trascorro del tempo prezioso  Parliamo di Dio, del silenzio, della fraternità di Romena, del dolore, della pace, dell ‘armonia, della ricerca, del bisogno di sintesi.
Questo è stato un ulteriore carezza o di Dio, un regalo più grande di ciò che potevo solo immaginare.
Così sazia di tutto ciò che avevo già avuto, non attendo il rientro di Cristicchi dal festival per festeggiare insieme. Il mio senso del dovere mi ha fatto rientrare al mio  lavoro.
Ma anche questo faceva un po’ parte del piano di Dio. Si vorrebbe rimanere lì, stare con chi riconosci come vero, come compagnia, ma non sempre è possibile.
Non possiamo metter le tende, dobbiamo tornare e stare nel mondo, mantenendo quella gioia riassaporata re incontrata per quel poco tempo di verità.
Così me ne torno tra la mia gente, con una letizia rinnovata e visibile. E’ come quando ci si innamora, improvvisamente tutto diventa bello!
Quella sottile tristezza e stanchezza che portavo con me in quelle giornate era scomparse ma ne ho visto  il senso ricordando certe parole di Giussani :
Le due grazie che il Signore dona sono: la tristezza e la stanchezza.
La tristezza perché mi obbliga alla memoria
E la stanchezza mi obbliga alle ragioni del perché faccio le cose.


Ho voluto scrivere per non dimenticarmi delle cose 
belle e inaspettate che accadono.

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Opportunity, favolosi questi anni

La storia fantastica di Opportunity inizia nel 2004, quando dopo un viaggio di quasi cinquecento milioni di chilometri arriva a toccare la superficie di Marte, atterrando sano e salvo dentro il cratere Aquila.

Concepita come missione che sarebbe dovuta durare appena novanta giorni, Opportunity (che evidentemente aveva altri piani, ben più ambiziosi) ha viaggiato in lungo e in largo per il pianeta rosso, per una durata superiore a 5000 giorni marziani. Lo spazio percorso è stato di ben 45 chilometri (insomma, di poco superiore alla classica maratona olimpica, se ci pensate). Dunque un viaggio di tutto rispetto considerato l’ambiente decisamente “esotico” e le innumerevoli difficoltà inerenti una missione di questo tipo. Già dal 2010 la sonda detiene il record di permanenza sulla superficie di Marte, avendo battuto (alla grande, possiamo dire) il primato precedente che era detenuto dalla sonda Viking 1, con i suoi 2245 giorni marziani.

Opportunity nella Perseverance Valley 
Crediti: NASAJPL-CaltechKenneth Kremer, Marco Di Lorenzo

L’ultima meta del viaggio (per come lo conosciamo noi, almeno) è stata Perseverance Valley, raggiunta dalla intrepida sonda nel giugno dello scorso anno. Proprio nel giugno del 2018 la sonda mandava l’ultima immagine dal suo lungo viaggio di esplorazione, acquisita nel mentre si trovava immersa in una gigantesca tempesta di polvere, che avvolgeva tutto il pianeta. Ed è stato un po’ come un ultimo saluto che la sonda ci ha voluto consegnare: benché infatti la tempesta si sia da tempo placata, ogni tentativo di “recuperare il contatto” con Opportunity non ha sortito risultati. Così, dopo ben quindici anni di audace esplorazione di Marte, pochi giorni fa la NASA ha dovuto dichiarare terminata la missione di questa sonda.

Le informazioni scientifiche che Opportunity ha mandato a Terra in tutti questi anni non si contano: grazie a lei abbiamo una panoramica significativa dei tipi di rocce che si trovano su Marte, e una grande abbondanza di panorami marziani di grandissima importanza per la nostra conoscenza di questo pianeta, che per quanto appaia inospitale, mantiene comunque un alto grado di similarità con taluni ambienti terrestri.

Questa scienza paziente, pacifica, che lavora con serena costanza, con umile perseveranza (per citare il luogo che custodisce la sonda, e la custodirà nei millenni futuri), è senz’altro la scienza verso cui dobbiamo sempre più spostarci, che dobbiamo sempre più far nostra. Consapevoli che il reale è irresistibilmente complesso e… poeticamente irriducibile alla nostra misura, una umile sonda che si muove piano su Marte può regalarci molto, molto di più di tanto nostro ragionare sui massimi sistemi. 

Grazie Opportunity, per quello ci hai insegnato. Non sarai dimenticata.

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Sì, ho visto Sanremo

Sì, forse è il caso di fare outing fin dal titolo. Dunque per quanto possa sembrare strano, lo ammetto. Lo ripeto, scanso equivoci: ho visto Sanremo. 

Insomma. Non l’ho visto tutto. Ho visto dei pezzetti, o un po’ di più. Beh l’ultima serata l’ho vista per buona parte, quello sì. E devo anche dire che mi è piaciuto. O meglio, ho apprezzato molto il fatto semplice che lo stavo guardando. 

Il che non è la stessa cosa, in effetti. 

Perché per capire la differenza, bisogna andare alla radice della faccenda. Sanremo non è appena una trasmissione, è un evento televisivo. Ormai una dei pochissimi. E’ una delle pochissime occasioni in cui ci si ritrova in grandissima parte (qui, in Italia) impegnati in una stessa cosa. Ci si ritrova insieme ad assistere allo stesso evento. Il quale poi sarà anche fatuo, inconsistente, sfilacciato, pilotato (come spesso si dice), d’accordo. Ma il fatto è che la portata di quello che accade travalica ampiamente l’evento stesso. Il merito di Sanremo è aver richiamato così tante persone intorno ad un solo evento: sempre più difficile ora che l’offerta televisiva e mediatica è così ampia, che è pienamente normale essere dispersi in una miriade di sentieri distanti.

Che poi, alla fine erano anche simpatici… 

Quando un evento riunisce tante persone, accade qualcosa. Come i mondiali di calcio: anche se non ti piace questo sport, alla fine i mondiali li guardi, perché avverti questa vibrazione sottile, quest’aria elettrica e nuova, questo senso di qualcosa che sta accadendo e che riguarda tutti. Partecipi a qualcosa che ti unisce agli altri (e non importa se sei solo in casa tua, perché il segnale unitivo in qualche modo, viaggia nell’aria, entra dalle finestre, insomma ti raggiunge). Ne ragioni con chi ti vive accanto, ne parli nel bar, con i colleghi di lavoro. Magari non ti piacciono le canzoni, quelle canzoni. Forse detesti quella che ha vinto, perfino (no, non è il mio caso). Però sei dentro un evento, che nemmeno capisci del tutto, ma sei dentro. Cioè, non capisci come mai senti questo coinvolgimento in qualcosa, ma lo senti. 

Nell’ultima serata, sentivo che era naturale e facile essere lì a guardare. Anche se magari per buona parte mi potevo annoiare, o spesso divagavo con il pensiero. Ma ero cullato e protetto, ero sottilmente confortato dal fatto che ero lì, in qualche modo. E quando sono dovuto uscire di casa, mio malgrado, ho proseguito ascoltando in macchina, felice (lo ammetto) di non perdere la connessione con l’evento. 
Che poi alla fine i motivi di interesse li trovi. E alla fine in qualche modo ti appassioni. Cominci a trovare il tuo spazio di movimento, la tua costellazione di valori nel panorama delle canzoni. E’ chiaro, ti è molto chiaro che la musica è (anche) altrove. Ti basta ascoltare un brano di Peter Gabriel (per non scomodare i grossi nomi della sinfonica, Mahler e Bruckner per esempio) per ricapirlo, ricapitolartelo in testa, se serve. Ma inizi a muoverti in questo panorama. Le coordinate sono chiare. Deve essere facile, orecchiabile, ripetibile, ti deve però nutrire senza sembrare troppo scontata, devi trovarci un motivo sensato per ascoltare, e riascoltare. Le parole devono far fiorire qualcosa, non devono essere grande poesia, ma allo stesso tempo non devono risiedere nel completamente ovvio. 
E le sorprese belle, si trovano. 
E ognuno ha le sue.
La mia questa volta si chiama Simone Cristicchi

E qui si potrebbe parlare, parlare per tantissimo tempo, parlare di questo brano così struggente, felice nelle parole e felice nella musica. Si potrebbe parlare tanto, ma la cosa migliore è stare in silenzio, e ascoltarlo. Stare in silenzio, come suggerisce il brano stesso: non lo dice, ma lo fa capire. Il sussurro iniziale, l’inizio in pianissimo, a differenza di tante altra canzoni sanremesi (intro con il pianoforte, poi parta la batteria e la sezione ritmica, poi il cantante canta, e via così), è veramente un invito al silenzio, dentro e fuori di noi.  
Perché di silenzio è deliziosamente impastata questa canzone. Quasi non vuole disturbarlo, il silenzio: rimane sommessa, sospesa. In attesa. Bisogna addentrarsi bene nel brano perché finalmente la musica decolli, dispiegando un tema che è ampio e lirico, italiano nel senso più interessante. E le parole, quelle parole che osano colorare il silenzio, disturbarlo: quelle alla fine ti arricchiscono, ti fanno capire un pelino di più, ti rimangono amiche, soprattutto. Le puoi abitare, sono parole abitabili. 

Adesso chiudi dolcemente gli occhi e stammi ad ascoltare
sono solo quattro accordi ed un pugno di parole
più che perle di saggezza sono sassi di miniera
che ho scavato a fondo a mani nude in una vita intera
non cercare un senso a tutto perché tutto ha senso
anche in un chicco di grano si nasconde l’universo…

E con tutti i limiti possibili, ma senza Sanremo non sarebbero arrivate a così tante persone. E questo credo sia un valore, un grande valore. Il messaggio di cura, di possibile guarigione, che portano queste strofe è benefico, è grande. O meglio, non è grande in sé, ma è grande nella possibilità che apre, verso qualcosa di veramente immenso, che a volte non vediamo. Che viene a trovarci, ci visita, se l’attitudine nostra lo permette: in questo senso ogni modo per ricordare è realmente benedetto. 

Così che se qualcosa del genere passa attraverso questa cosa così poliedrica e non inquadrabile e anche a suo modo contestabile come Sanremo (immensa macchina commerciale e insieme appunto, come dicevamo, evento), direi che comunque va bene. Va benissimo. 
Un altro modo per noi, per imparare che le vie di contatto con il vero non le decidiamo noi, non le stabiliamo noi. Che dobbiamo solo chiudere gli occhi, aprire un poco il cuore, ed ascoltare. 
Grazie, Simone. E anche grazie, devo dirlo, Sanremo 2019. 

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Una nuova galassia

La prima lezione, è quella lezione poi da imparare e reimparare sempre, quando si tratta di osservare il cielo (e non solo). L’unico rischio (da scongiurare sempre e di nuovo) è quello di pensare di sapere già. Perché allora le sorprese non arrivano: e se arrivano, in pratica tu non ti accorgi, passi avanti e non vedi, non vedi che quel che credi di sapere. E ti sembra allora che non ci sia niente di nuovo (quando invece, in un certo senso, è sempre tutto nuovo).

Anche in ambienti che pensavi ormai ben conosciuti, ben consolidati. Proprio lì, buttare uno sguardo con occhio attento, è una garanzia piuttosto solida di ricevere una sorpresa.

Crediti: NASA, ESA and L. Bedin (Astronomical Observatory of Padua, Italy)

Succede, appunto. Ed è appena successo, ancora. E’ successo a degli astronomi intenti a guardare l’ammasso globulare chiamato NGC 6752, con gli occhi potenti del Telescopio Spaziale Hubble. L’ammasso si trova ad appena 13000 anni luce da noi: non tanto, su scala cosmica. Poi sappiamo che di questi ammassi stellari la nostra Galassia è piena (centocinquanta, o già di lì): sono ambienti decisamente interessanti per studiare come nascono, evolvono e muoiono le stelle, e dunque spesso ci si va a guardare. Si impara sempre qualcosa, ve lo assicuro. Gli astrofisici stellari vanno ghiotti di questi ammassi, sempre ne sono stati affascinati.

Ma stavolta siamo andati oltre. La visione cristallina di Hubble – un vegliardo che ci vede ancora bene – ha messo in evidenza ciò che c’èera, ma era passato finora inosseravato: una “nuova” galassia, che si trova proprio dietro l’ammasso di stelle. Ben dietro, dovremmo dire: parliamo di distanze di circa 30 milioni di anni luce, più di duemila volte la distanza che c’è tra noi e questo agglomerato di stelle.

La galassia – dai primi dati – misura appena un trentesimo della Via Lattea, e di luce ne produce circa un decimillesimo. Ma è una galassia a tutti gli effetti (gli astronomi la classificano come nana). Per la sua veneranda età – circa tredici miliardi di anni – si pone come un fossile che ci parla dei primissimi momenti di vita del cosmo.

Una cosa che non avremmo mai trovato, se non avessimo provato a guardare veramente, un ambiente che pensavamo di conoscere già.

Cosa altro siamo pronti a scoprire, ora? Cosa ci vuole raccontare adesso, questo universo?

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