Blog di Marco Castellani

Prima immagine di un buco nero

Ormai l’avrete già vista dappertutto. In due giorni appena è diventata una delle immagini più onnipresenti nel web. E questa volta è una immagina scientifica. E molto, moltissimo umana.

E’ una immagine che parla di un grande risultato della scienza – la prima volta che si ottiene una immagine di un buco nero – e di un grande risultato dell’uomo. Direi questo, soprattutto.

Cerchiamo di capire perché. Bene, la cosa in sé la sapete, inutile aggiungere altre descrizioni, oltre a quelle già molto accurate che si sono affacciate in rete: quella che già viene chiamata la foto del secolo è una immagine del buco nero supermassiccio nella galassia M87, acquisita tramite l’Event Horizon Telescope (Eht, in breve). Vediamo qualcosa che non si era mai visto. Riusciamo ad avere una immagine di un oggetto enorme, smisurato e lontanissimo. Un oggetto che appartiene ad una classe, quella dei buchi neri, che quando ero ragazzo era trascritta nei libri di testo con la doverosa specifica di ipotetica.

Già, fino a non molti anni fa i buchi neri erano ipotesi di lavoro, appena.

E ora, invece, vediamo questo.

Crediti: The Event Horizon Telescope

Cerchiamo di allargare lo sguardo. Cosa sta accadendo in questi anni? Sta acquisendo una dignità di esistenza nel nostro linguaggio comune una teoria, una immagine di cielo, che fino a ieri pareva fuori dalla nostra portata. La rilevazione delle onde gravitazionali, e ora l’immagine del buco nero, sono gli eventi che suggellano questo cambiamento, questo turning point.

Un nuovo mondo si affaccia alla nostra percezione, usando mille nuovi segnali. Un nuovo linguaggio, anche (come è sempre stato). Perché il linguaggio è importante, è fondamentale per come noi leggiamo, per come viviamo il cosmo. E’ la nostra interfaccia con quanto accade nel mondo “esterno”. Per questo non è così fuori luogo tirare in ballo perfino la poesia, anzi osar dire che i poeti devono riprendersi il cosmo. Perché è ormai urgente elaborare un nuovo linguaggio, un linguaggio che avvolga di parole, vere, profonde, le nuove cose che ci arrivano dal cielo, i nuovi segnali che entrano irreversibilmente a far parte delle nostre vite. Un linguaggio che ci permetta davvero, e di nuovo, di “fare casa”, nel cosmo.

Dicevamo di un grande risultato dell’uomo, anche. E vogliamo chiudere con questo dato: l’immagine che ammiriamo oggi è un risultato – soprattutto è questo – frutto di una estesa e complessa rete di collaborazione. Leggendo pazientemente i resoconti di questa scoperta si comprende, in modo molto limpido e bello, come niente di questo sarebbe stato minimamente possibile se questa esteso network di relazioni (che raggiunge paesi diversi, culture differenti, persone diversissime tra loro) non si fosse potuto dispiegare in tutta la sua ampiezza. Una rete grande come la Terra. E stavolta, non tanto per dire. Ma per davvero, nel senso più letterale possibile: gli otto grandi radiotelescopi hanno infatti simulato, lavorando assieme, un solo unico strumento che abbraccia tutto il globo.

Qui non ci sono confini, non ci sono porte (e porti) chiusi, non c’è difesa preventiva del proprio ambito (di esperienza, di conoscenza), non c’è il prima noi. O meglio, c’è sempre tutto questo, c’è anche sempre tutto questo: c’è, perché siamo umani. Ma la cosa che conta è un’altra (ed è il segno più bello, forse, dell’essere umani) : è che c’è lo slancio a superare il gioco di piccola sponda, la conta egoistica del dare e avere, perché si intravede un obiettivo perseguibile, condiviso, comune.

E quello che si intravede è più bello, assai più bello, di quanto si teme di perdere.

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3 Comments

  1. ANTONIO

    Grazie degli spunti di pensiero che ci hai donato. Senza una mente pensante, anche la meraviglia ( il cosmo) divente una cosa inerte.

  2. giancarlo salvoldi

    Caro Marco,
    “quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur”. Questo adagio che ci giunge dalla classicità è un incoraggiamento al tuo “tirare in ballo perfino la poesia”. Tu dici che i poeti devono riprendersi quel cosmo, che da sempre li ha ispirati, e a me piacerebbe che gli scienziati si prendessero un poco di poesia e un poco di fede: esse non sottrarrebbero nulla alla scienza e le darebbero colore e calore.
    La poesia può favorire la capacità degli occhi di vedere la bellezza e la speranza, la capacità di vedere il buco nero come trasformazione di qualcosa che muore in qualcosaltro che nasce. E’ vero, ci si profila un mondo nuovo, e sta a noi attrezzarci per vederlo bene, in tutte le sue espressioni, con occhi nuovi, e descriverlo con linguaggio nuovo.

    • Grazie caro Giancarlo. Hai ragione nel merito, gli scienziati devono anche riprendersi la poesia, in generale direi l’uomo, che prima di essere poeta e scienziato è appunto uomo, deve rifare amicizia con la poesia e la scienza e soprattutto scoprire che questa amicizia è possibile finalmente. Meglio ancora, è bella, incoraggiante, stimolante. Parla della totalità del reale, come di una cosa nuova, anzi di una cosa antica ma che quasi non speravamo più, dunque di una cosa più che nuova.

      Questa nuova epoca che finalmente arriva è proprio il momento giusto, questo mondo nuovo infatti non capisce di scienza e poesia come separate.

      Le capisce solo così, insieme.

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