E’ una immagine molto suggestiva, e questo è innegabile. Ma potrebbe essere anche decisamente di più. Nessuna sorpresa, in questo. Spesso la bellezza e l’importanza scientifica si fanno compagnia, del resto. Una frase attribuita a Platone recita che la bellezza è lo splendore del vero.

Sia di chi sia, ci piace farla nostra, almeno in questo caso.

Ma vediamo un po’. Si tratta della regione di formazione stellare chiamata N11 ed è senza dubbio la parte più “viva” ed esuberante della Grande Nube di Magellano, uno delle galassie vicine alla nostra più importanti ed ingombranti, con riguardo alla massa totale.

Crediti: NASAESARiconoscimenti: Josh Lake

Questa immagine poi è stata acquisita con il Telescopio Spaziale Hubble, e dietro alla sua bellezza – possiamo dirlo – c’è anche un buon lavoro artistico, una sorta di paziente cesellamento digitale che è valso all’utore un premio, chiamato significativamente Hubble’s Hidden Treasures (appunto, i tesori nascosti di Hubble).

Adesso, messa l’arte un attimo da parte, uno studio nuovo nuovo sulle stelle variabili della Grande Nube, sta creando un po’ di subbuglio su alcune nozioni (ritenute quasi acquisite) che abbiamo spesso riportato anche qui, e precisamente sulla scala delle distanza dell’universo osservabile.

Detto molto di passaggio, le stelle variabili sono fondamentali, perché da come si illuminano (la teoria che abbiamo a disposizione è davvero precisa) possiamo capire quanta luce fanno in assoluto, e dunque quanto sono lontane.

Il problema, in soldoni, sarebbe questo. La scala di distanze che abbiamo ottenuto appare un po’ diversa da quella che abbiamo costruito usando la radiazione cosmica di fondo. Per essere precisi, è il valore della costante di Hubble (chiamata Ho) – che regola il tasso di allontanamento dei corpi celesti – che risulta differente. Questa divergenza tra il valore della “costante” ottenuto usando due metodi diversi, è una cosa davvero importante che va compresa, perché potrebbe aprire le porte al nuovo.

Del resto, le cose sono semplici. O uno dei due sistemi per calibrare Ho è sbagliato – ed allora dobbiamo capire quale e in che modo – oppure l’universo ci “segnala”, con questo scarto, che stiamo scivolando su qualcosa che invece attende di essere capito. Che è pronto per essere capito (ovvero, siamo noi ad essere pronti). Potrebbe essere necessario, ad esempio (e qui si fa interessante) rivedere in qualche modo i modelli cosmologici, così intimamente legati al moto di espansione stesso.

Davvero, come si diceva in altra sede, il cosmo è un laboratorio molto particolare, perché riflette e ci invia di ritorno, con matematica esattezza, il medesimo schema di pensiero con il quale lo interroghiamo.

Così gli scarti sulle misure, le tensioni tra misure e modello, nella storia della scienza, sono state sovente il segnale della necessità – maturata nel tempo – di trascendere il modello, di sostituirlo con uno “all’altezza della nostra nuova domanda”. O comunque di modificarlo, nello stesso senso.

E’ presto per dire che una nuova fisica è alla porte, certamente. E’ presto anche se tanti segnali, sembra, ci portano in quella direzione.

Comunque, c’è da speculare poco, e stare aderenti al dato, al dato empirico: vedremo in questo caso, anche in questo caso, a che cosa siamo chiamati.

A quale nuova comprensione del cosmo possiamo finalmente aprirci.

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