Blog di Marco Castellani

Mese: Giugno 2019

La vera stella che vuoi essere

Assai volentieri ospitiamo la presentazione integrale della professoressa Carla Ribichini (I.C. Comprensivo “Marcello Corradini”, Roma), contenuta nel volume di racconti per ragazzi “Anita e le stelle” (Arsenio Edizioni, Euro 14) in uscita in questi giorni, già disponibile su Ibs.it.
 

«A volte  mi  sento  brillare  come  una  stella  che  non  vive  in  cielo,  vive sulla  terra  e  brilla  anche  di  giorno.  È  facile  sentirsi  una  stella,  basta amare  la  vita  e  sentire  dentro  la  vera  stella  che  vuoi  essere.  Dentro tutti  siamo  stelle.»  

 
Così  Davide,  in  modo  semplice  e  commovente,  racconta  la  sua  esperienza  dopo  la  lettura  del  racconto  di  Marco  Castellani La bambina e il quasar
 
Gli  alunni  della  scuola  media  “P.M.  Corradini”  di  Roma  hanno partecipato  al  progetto  Educare  narrando… tra  Scienza e Poesia e hanno  compreso  che  raccontare  una  storia  non  è  pratica  oziosa,  ma strumento  per  educare  e  risvegliare  i  cuori.  Lasciar  parlare  la  voce delle  storie  è  importante  perché  le  storie  mettono  in  movimento  la vita  interiore,  soprattutto  quando  è  denutrita,  spaventata  e  messa  alle strette,  come  spesso  lo  è  la  vita  dei  nostri  giovani. 
 
 
Unire  lo  studio  metodico  e  rigoroso  dello  scienziato  allo  stupore e  alla  meraviglia  del  poeta  è  l’azione  coraggiosa  di  Marco  Castellani. I  momenti fondamentali  del  suo  prezioso  lavoro:  ricerca  e  conoscenza, restituzione  e  servizio,  sono  stati  per  noi  strumenti  di  apprendimenti significativi.  La  sua  passione  per  l’universo  e  il  suo  amore  per  l’uomo che  lo  abita  lo  hanno  spinto  a  donarci  una  scienza  nuova.  Lo  scienziato  illuminato  sa  che  la  conoscenza  da  sola  non  basta,  ed  ecco  allora  che,  tra  le  righe  dei  suoi  racconti,  si  affaccia  una  scienza  che  si rende  disponibile  e  comprensibile  e  si  mette  a  disposizione  di  tutti  attraverso  emozioni  e  ritmi  narrativi.  

L’autore,  scienziato  e  poeta,  ha voluto  divulgare  la  scienza  in  modo  nuovo,  l’ha  liberata  dalle  sue  catene.  Una  scienza  non  più  prigioniera,  ma  dettata  dal  cuore  ha  reso comprensibili  i  concetti  più  astratti  e  complessi;  l’intimo  colloquio  che l’autore  è  riuscito  a  stabilire  tra  scienza  e  poesia  è  stato  la  chiave  segreta  per  conoscere  il  mistero  della  vita.  
 
I  racconti  sono  stati  una  finestra  aperta  sul  cielo.  La  curiosità  e  lo  stupore  della  protagonista  e la  sua  forte  determinazione  alla  conoscenza,  hanno  aperto  un  varco e  spalancato  le  porte  dell’universo;  la  classe  si  è  trasformata  in  un vero  e  proprio  osservatorio  e  i  ragazzi,  che  generalmente  hanno  lo sguardo  rivolto  a  terra,  hanno  alzato  gli  occhi  e,  con  il  naso  in  su,  si sono  divertiti  a  contare  le  centinaia  di  migliaia  di  stelle,  hanno  assaporato  l’armonia  perfetta  che  anima  il  cosmo.  E  il  cosmo,  prima  lontano  ed  oscuro,  a  poco  a  poco,  si  è  fatto  loro  più  vicino,  i  corpi  celesti  sono  entrati  nello  spazio  del  loro  cuore  cambiando  il  loro  universo interiore:  tutti  hanno  conosciuto  il  cielo  sopra  e  dentro  di  loro  e  fatto esperienza  del  legame  profondo  che  c’è  tra  gli  uomini  e  le  stelle. 
 
Così  raccontano  Marika  e  Aurora 

«In  un  punto  sparso  dell’universo  ci  siamo  io  e  le  mie  possibilità:  ogni  mia  molecola  è  unica,  capiente  di  speranza  e  saggezza,  voglio  incamminarmi,  fare  un  passo in  avanti  e  trovare  la  mia  luce.  Vari  stadi  di  conoscenza  evoluta  mi attendono  e  le  stelle  aspettano  il  mio  arrivo.»  (Marika) 

«Sono  una  piccola  stella  che  brilla,  silenziosa  e  tranquilla,  sempre in  evoluzione.  L’essere  umano  è  rinchiuso  nella  parte  più  buia  e  triste di  sé.  Credo  che  tutti  noi  siamo  stelle  e  dobbiamo  evolverci,  uscire  da quella  profonda  oscurità  e  affrontare  la  vita  nella  luce.»  (Aurora) 

La  lettura  è  stata  un’avventura  affascinante,  ha  permesso  ai  ragazzi  di  diventare  un  po’  esploratori,  un  po’  scienziati,  un  po’  poeti  e conoscere  le  meraviglie  della  scienza.  L’autore,  con  umiltà,  ha  guidato  tutti  a  scoprire  la  bellezza  che  dorme  nascosta  nell’universo  e, in  modo  delicato  e  discreto,  ci  ha  coinvolti  per  proteggere  e  salvare la  nostra  dimora  planetaria.  I  ragazzi  si  sono  sentiti  chiamati  a  fare la  loro  parte,  hanno  lavorato  con  la  serietà  di  veri  scienziati,  hanno imparato  a  guardare  il  cielo  e  hanno  sentito  il  desiderio  di  portare  la sua  luce,  il  suo  raccoglimento  e  il  suo  silenzio  sulla  terra  bisognosa. Queste  sono  le  loro  sincere  e  commoventi  promesse:  

«Le  corde  dell’Universo  mi  avvolgono  e  mi  trascinano  in  un  insolito  viaggio. Vedo  sfumature  di  energia  potente  che  galleggiano  sulle  onde  del mare  infinito.  Le  stanze  dell’Universo  sono  aperte  e  il  ragazzo  che non vuole  sprofondare  in  un  buco  nero  guarda  oltre,  ascolta  il  silenzio delle  stelle  e  della  loro  pazienza.  Sa  trovare  la  giusta  direzione, mantenere  le  promesse  e  migliorare.»  (Marika) 

«Ogni  volta  che  appoggio  la  testa  sul  cuscino,  in  quell’istante prima  di  addormentarmi,  vedo  in  uno  specchio  la  mia  immagine  rifratta  che  si  tramuta  prima  in  acqua  e  ancora  in  aria  e  quell’aria  arriva  nel  lontano  universo.  Da  lì  osservo  il  mondo  e  mi  sento  libera: sono  un  piccolo  anello  di  una  grande  catena,  sono  un  piccolo  strumento  di  un’infinita  orchestra  e  di  un’infinita  armonia.  Come  ragazza dell’universo  prometto  che  sarò  forte  e  tenace  e  lo  salverò.»  (Monica) 

«Prometto  di  trasformare  il  male  delle  persone  in  amore,  di  piantare  il  seme  della  conoscenza,  di  lasciar  giocare  la  mente  con  le stelle  e  di  correre  con  le  comete.  Come  un  vecchio  saggio  prometto di  ascoltare  il  silenzio  siderale  dell’universo»  (Tiziano). 

L’uomo  ha un assoluto  e  urgente  bisogno  di  essere  introdotto  alla Scienza  e  comprendere  il  mondo  in  cui  vive,  da  sempre  si  è  sentito misteriosamente  attratto  dalla  potentissima  energia  che  continuamente  piove  dal  cielo,  da  sempre  ha  percepito  una  forza  primordiale strettamente  connaturata  con  la  sua  vita;  eppure,  di  fronte  all’immensità  del  creato,  ha  provato  paura  e  solitudine;  avvicinarsi  all’astrofisica  e  conoscere  l’universo  è  per  lui  un’esperienza  importante e  necessaria. 
 
L’astrofisico  Marco  Castellani  ci  ha  dato  l’opportunità  di  interagire  con  la  Scienza  e,  con  la  leggerezza  del  poeta,  ci  ha  permesso  di ascoltare  la  voce  dell’universo;  in  modo  stimolante  e  coinvolgente,  ci ha  ricordato  che  l’universo  ha  bisogno  di  ognuno  di  noi,  della  nostra consapevolezza  e  del  nostro  lavoro;  i  suoi  racconti  sono  stati  un  sofisticato  e  potente  telescopio  grazie  al  quale  abbiamo  compiuto  un vero  e  proprio  viaggio  planetario. 
 
Alla  fine  del  viaggio  le  distanze  si  sono  sorprendentemente  annullate:  scienza  e  poesia,  cielo  e  terra,  abissi  e  altitudini,  esseri  umani e  stelle,  tutto  strettamente  connesso,  legato  e  unito.  Ci  siamo  sentiti finalmente  meno  soli,  abbiamo  subito  il  fascino  delle  stelle  e  capito di  essere  a  casa,  innamorati  del  nostro  immenso  cielo,  quello  sopra di  noi  e  quello  dentro  di  noi. 

«Ho  visto  pianeti  conosciuti, 
narrati  con  amore 
ho  ascoltato  le  loro  storie, 
assaporato  le  loro  verità 
mi  sono  accorta  di  essere  tutt’uno  con  l’universo 
e  che  l’universo  è  in  me.» (Daniela)

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Un magnetismo… galattico

Esistono vari livelli di bellezza “invisibile” nel nostro Universo, potremmo dire. Ci sono cioè segni di simmetrie, di complessità di variazioni, gradazioni, progressivi disvelamenti, armonie e consonanze, che non sono semplicemente, ordinariamente visibili. Che cioè avvengono totalmente fuori dalla portata dei nostri sensi (ma avvengono, avvengono).

L’astrofisica moderna, nel mentre che ci indica e ci descrive vari ambiti fuori dalla classica “astronomia ottica” – sempre più appena una tra le tante modalità di approccio alla complessità del cosmo – ci fornisce gli strumenti per poter iniziare anche a percepire segni di bellezza e simmetria fuori appunto dalle frequenze e pertinenze che potremmo registrare con i nostri sensi.

Per esempio, è indiscutibile la delicata bellezza di questa immagine.

Il “centro magnetico” della Via Lattea
Crediti: NASASOFIAHubble

Questo è il cuore magnetico della nostra Galassia. Come spieghiamo questa bellezza? Ebbene, dobbiamo pensare ad un flusso di particelle che, ruotando in concordanza con il campo magnetico galattico, emettono fiotti di luce polarizzata in banda infrarossa. Questo segnale ci viene restituito e deliziosamente rimappato nel visibile, dagli strumenti a bordo di SOFIA, che è attualmente l’osservatorio “aerotrasportato” più grande del mondo.

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Plutone psichedelico

Il mondo, in fondo, è come lo si guarda. L’esperienza che abbiamo di questo universo, è fortemente dettata dai nostri stessi sensi, e da come li usiamo. E’ il modo di guardare tutto, che fa la differenza.

Ce lo dice anche un pianeta nano come Plutone. Siamo abituati a pensarlo in tanti modi, più o meno tutti grigi. Non siamo certo abituati a pensarlo… così.

Crediti immagine: NASA/JHUAPL/SwRI

Eppure è lui, è Plutone. Tutto vero. Certo, è un Plutone decisamente psichedelico, potremmo dire. Gli scienziati della sonda New Horizons – alla quale dobbiamo le migliori immagini di questo corpo celeste, da qui sicuramente a moltissimi anni – hanno applicato una tecnica detta di analisi delle componenti principali (una faccenda matematica che, detto di passaggio, usiamo anche noi per lavorare sui dati del satellite Gaia), al fine di generare una mappa di colori capace di porre in risalto, per l’occhio umano, anche i più piccoli particolari, enfatizzando la diversità di ambienti che si trova anche e perfino in questo quasi-pianeta, sicuramente molto più ampia di quanto ci saremmo mai aspettati.

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Guarire, in una storia di parole

Credo che il miglior modo di iniziare a ragionare di poesia e guarigione, il modo più diretto e veloce per entrare subito nel vivo, sia riferirsi a quanto scrive il poeta e filosofo Marco Guzzi nell’introduzione al mio volume di poesie, il cui titolo è appunto, Imparare a guarire

[Ciò] esprime un desiderio che accomuna tutti gli uomini di tutti i tempi, e che oggi si fa ancora più pressante, urgente, indilazionabile, in quanto lo stato di malattia, e di malessere universale, sembra aver raggiunto un livello terminale, una soglia di insostenibilità, che mette a repentaglio la stessa sopravvivenza della specie umana sul pianeta terra.

Sono parole nette, con le quali qui ci vogliamo confrontare. Riconoscere infatti di essere accomunati da un disagio così forte, segno di questo passaggio di epoca che molti filosofi rintracciano come cifra significativa nel decodificare le complessità e contraddittorietà del tempo attuale, è il primo passo necessario. Ci motiva con decisione a ricercare, finalmente, non più strategie spicciole di sopravvivenza, ma a puntare su un sogno più grande. Riprendere coraggio e, armati solo di un pugno di versi, andare alla scoperta di strade che possano aiutarci, tramite le quali sia possibile, con tutta la gradualità che ogni vero processo trasformativo richiede, imparare a guarire. 
 
 
 
Qui subito si instaura, già si instaura, il suggestivo parallelo tra poesia e guarigione. E’ un fatto, la poesia si connette a doppio filo con il tema della guarigione, se non altro – vorrei dire – carnalmente, cioè per la natura stessa del poeta, della sua persona. 
 
 

Rubo le parole al poeta Franco Arminio, per avvertire che
 

c’è un problema quando si hanno rapporti con i poeti. Il problema deriva dal fatto che il poeta è una creatura patologicamente bisognosa di amore. Una creatura in subbuglio con cui non si può mantenere un’amicizia generica e blanda. Col poeta non ci possono essere pratiche attendistiche e interlocutorie, bisogna gettargli in faccia il nostro amore o il nostro odio, bisogna tenerlo ben vivo nella nostra mente, bisogna pensarlo, parlargli delle sue parole, raccontargli le sue storie.

 
Il poeta dunque si presenta sul palcoscenico del mondo, interseca le nostre vite indaffarate, con una ricettività particolare, con una irriducibilità alle convenzioni della vita sociale. Ci scrolla dai nostri facili equilibri, dalle nostre connivenze con ciò che non è autentico, e ci richiama prepotentemente – e spesso in modo scomodo – al suo ed al nostro cuore. E’ tra quei personaggi un po’ fastidiosi, che ci rimandano all’urgenza del processo di guarigione, alla necessità indilazionabile di darvi spazio, respiro. Chiaro, è qualcosa che non necessariamente ci compiace, ci gratifica, in prima istanza. Questo richiamo al cuore infatti può mettere in crisi i diecimila equilibri che, per quanto precari, per quanto inevitabilmente a scadenza, avevamo così prudentemente ed accortamente messo in opera, testato e collaudato. Guarire implica la fatica di iniziare a pensare in maniera diversa, a vedere in maniera diversa. Insomma, un tempo avremmo detto, a convertirsi. A che giova tutto questo?, ci si può chiedere. Continua infatti Franco,
 

Uno allora può dire: ma a che serve tutto questo? Io penso che alla fine non serva al poeta, perché il poeta non ha mai bisogno di quello che gli viene dato. Penso che tutto questo serva a chi dà, a chi si protende a lenire le varie disperazioni del poeta. L’atto di guarire chiude le ferite, ma solo al guaritore.

 
Se prendiamo per vera questa parola di poeta, ci diventa evidente come la poesia sia un ambito privilegiato per avviare o riavviare quel processo di risanamento, di guarigione, che oggi è più che mai necessario, per tutti. In questa luce, mi pare che la coltivazione della disciplina della poesia – ovvero prima di tutto la sua quotidiana frequentazione – acquisisca una importanza decisiva, per il nostro cammino umano. Avere a che fare con la poesia è ipso facto essere impegnati in una opera di guarigione: di più, vuol dire essere impregnati di quest’opera, che è allo stesso tempo personale e sociale. 
 
Per iniziare a convincersi, basti pensare alla sostanziale alterità della poesia (e del poeta) verso gli aspetti più massificanti e commerciali del mondo contemporaneo. Niente da fare, il poeta proprio non ha patria nel mondo dell’economia intesa come misura di tutte le cose, nell’universo che fa della borsa e degli andamenti dei mercati una moderna divinità, ovvero ciò che realmente “esiste” e sarebbe eresia soltanto porre in discussione. Bene, il poeta è radicalmente altro rispetto a questo, ma la sua alterità è sempre un pungolo al nostro modo di vita distratto e a volte perfino collaborazionista con questo sistema, ed insieme una possibile via di recupero, di guarigione e di riscatto.
 
Di fronte ad un mondo morente in tante sue manifestazioni, la poesia testimonia (a volte in modo scomposto, slabbrato) una irriducibile polarizzazione verso la nascita, la rinascita, come allettante possibilità di quel perpetuo inizio che è sempre speranza di fioritura. 
 
PERPETUO INIZIO
 
A grappolo quei fiori 
fioriscono, dalle finestre 
sulla piazza tutto è
 
appena un segno, tutto è
questa mappa d’acqua di 
indicazioni sommerse di 
frammento di poesie disperse,
 
tutto è
quella gloria che non si veste
 
di altro che il tuo sciogliere, 
scegliere di non sapere di
non erigere opposizione di non
 
elaborare eccezione 
a ciò che accade.
 
A grappolo i fiori fioriscono,
 
nutrono la
luce dai balconi sulla piazza, tutto è 
questa pietà così assurda che ogni 
cosa è sempre riportata all’inizio, 
sempre nuova sempre
 
in perpetuo ricominciamento.
 
C’è prima di tutto una decisione da prendere. C’è da decidere dove guardare, dove indirizzare i nostri sforzi. Se indugiare in un mondo morente, o attivarsi verso il nuovo, che può essere anche tenue e sottilissimo, quasi un accenno embrionale, ma è come una prima luce che annuncia un’alba radiosa. Lo ha detto assai bene Aldo Moro, che se noi vogliamo essere ancora presenti, ebbene dobbiamo essere per le cose che nascono, anche se hanno contorni incerti, e non per le cose che muoiono, anche se vistose e in apparenza utilissime.
 
La poesia traffica sempre con le cose che nascono: sono quelle che davvero la attirano. Per questo i ragazzi, sono così attenti e ricettivi verso di lei. Per questo la scuola è un ambito privilegiato, un laboratorio d’eccellenza, per fare della poesia una via di autentica crescita umana. Gli allievi di tanti professori attenti ed appassionati, come Carla Ribichini, lo sanno, e lo testimoniano. Anche in questa sede, se ne è parlato. Ma ad ogni età, volgersi verso l’aurora è una possibile opzione, innanzitutto. Bisogna infatti decidere di guarire, ha detto sempre Guzzi. Accogliere questa ipotesi, è sempre una nostra libera decisione.
 
IPOTESI DI ROSA
 
No non questo appena, ma 
qualcosa.
 
Un nuovo orizzonte 
oppure lo sai,
 
quell’ipotesi di rosa.
 
Qualcosa che 
chiama che
 
esige imperiosa 
la tua dedizione.
 
La tua unica 
decisione.
 
Come mettersi all’opera? Come avviare assai praticamente la nostra personalissima e agognata guarigione? Ci interessa in effetti una traiettoria pratica, percorribile, sperimentabile con i sensi, rupestre e sedimentaria, nel senso di una concretezza più rocciosa e solida, di ogni discorso fatto appena di vibrazioni d’aria, che rapidamente si ricompongono. Seguo ancora quello che scrive Guzzi nell’introduzione al volume, là dove avverte che
 

l’opera della nostra guarigione è un’opera paziente, richiede un lavorio costante sulle fibre dolenti della nostra anima ferita. Siamo chiamati sempre di nuovo ad ammorbidire la sostanza contratta e impaurita del nostro cuore, siamo chiamati a riconoscere tutti i nostri moti interiori, a non negare o rimuovere nulla, neppure gli aspetti più oscuri e penosi. Siamo chiamati a comprendere cosa significhi non giudicare, e non giudicare prima di tutto noi stessi, per lasciarci invece benedire, curare, e appunto così guarire nelle più aspre e sanguinanti profondità.

 
Così che la guarigione – che appunto avviene in compagnia della poesia – deve abbracciare la pazienza, deve sposare, amare tutta la particolarità di un percorso, che arriva fino alla temeraria richiesta di riconciliazione con la nostra debolezza, con il luogo stesso della nostra ferita, insomma con il suo sanguinare, finalmente guardato, accolto. Possiamo anche dire che il poeta – uomo o donna che sia – è chiamato ad accogliere la sua recuperata docilità, la sua intima femminilità – espressa con potente valenza simbolica – proprio attraverso questo ostinato sgorgare, questo mestruo non gestibile, non controllabile, del suo stesso sangue. Amare la propria ferita sanguinante, infatti, è l’atto più spaventoso, quasi scabroso, ed è l’atto più risanante, rivoluzionario, follemente creativo, ultimamente gioioso, di quanto si possa pensare. E avviare un’opera così – così importante e così coinvolgente – non può che avvenire attraverso la pazienza, esercitata, richiesta, desiderata.  Implorata. 
 
 
L’OPERA PAZIENTE
 
Vedere accadere le cose, 
vederle senza
 
essere degno nemmeno
della loro ombra.
 
Un regalo continuo una 
eccedenza imbarazzante quasi,
 
felicemente sconveniente. 
 
Eppure ancora sangue. Ora.
 
La ferita continua
ugualmente a sanguinare, devi 
mettere le mani
proprio affondarle
 
nel sangue, scoprire che 
che puoi stare lì, puoi
 
essere lì, non deve 
fermarsi non devi fermare
 
cambiare, spostare niente. 
Non devi curare
nulla ma appena
 
appena lasciare ogni pretesa all’opera 
paziente.
 
La tua più abile impresa,
la tua guittezza più scaltra sarà 
lasciare
 
operare.
 
Risanare il mondo, abbandonare ogni iperattivismo e ogni perfezionismo per lasciare operare, per ritornare a quote più normali, come cantava Franco Battiato, è un’opera che non si tenta mai in solitaria, ma si affronta in cordata: è cosa che richiede l’alleanza, la rinnovata alleanza tra donna e uomo, tra nero e bianco, tra credenti in diverse fedi. La poesia è sempre inclusiva, mai escludente. Si impara a fiorire imparando a spostare, faticosamente, le pietre tombali della nostra incapacità a relazionarci, delle nostre umanissime esitazioni a metterci a nudo. Si impara a fiorire, nella parte di noi che abbraccia. Che bacia. 
 
IMPARARE A FIORIRE
 
Non sapevi, timida,
verificare la sequenza limpida
d’ogni segmento esploso, eroso
in questa spietata e petrosa
intersconessione.
 
Sapevi appena questo – come
adatta, adattata dalla pratica
resa morbida dalla
pratica, resa quasi morbida quasi
meno aspra, dalla costante
pratica.
 
Sapevi di questo lavoro
che ripesca gioia dove
non avevi sentore, fin tra il tuo
stesso identico
odore oppure
 
ti fermi feconda in quell’oppure
gravida ormai di formula e azione nel tuo
stare e pensi oppure,
il lavoro.
 
O il lamento o il lavoro non
c’è infatti terreno in mezzo e l’attesa
ricama l’intimo compimento come
 
parto d’un mondo terminale, che
nelle tue mani giunte già
ricomincia a
fiorire.
 
Il mondo ricomincia a fiorire nelle mani della donna, dell’uomo, che lo accolgono, l’universo si acquieta e si raggomitola nella gratitudine di un moto di assenso, di diversione dall’usato sentire, di un intima propensione a dire sì, stavolta sì, nell’aprirsi alla speranza fiduciosa e rivoluzionaria che c’è molto più di quanto i nostri occhi riescono a vedere, che la realtà delle cose si presta, si piega quasi, alla fuga verso qualcosa di maestoso, di grande, che innerva questo cosmo di speranza buona, fragrante come la pizza appena sfornata del forno in fondo alla strada, quello con la bella luce gialla dell’insegna che si spande nel blu denso e pastoso del giorno ormai al tramonto. Contemplando questa speranza, sperandola e contemplandola, ci viene naturale il silenzio, ci viene spontaneo il radunarci in quieta celebrazione di questo silenzio, di questa perpetua speranza di novità nella nostra vita. Di questa alba che, come pensavamo da bambini, seguirà ad ogni nostro tramonto, sempre.
 
QUESTO SILENZIO
 
Sì, questo silenzio finalmente spegne
la panoplìa rutilante del
distrarsi, di un eterogeneo
alimentarsi, apre
 
lo spazio di nuovi universi,
limpidi e nutrienti nello
 
spazio terso – non più disperso – del
tuo cielo interno.
 
Vieni, ora, fai casa, fai nido nel
tuo silenzio. Ascolta l’abbraccio di
 
un nuovo universo.
 
Del nuovo,
di nuovo.
 
La poesia è dunque convocata come ospite d’onore, a questo enorme lavoro di rigenerazione e fioritura dell’umano, di riconciliazione del corpo con il cosmo, di redenzione di ogni più piccola fibra d’esistenza. Poesia come balsamo e guida, nella indiscutibile fatica di questo strano ed ancora  misterioso travaglio verso un nuovo mondo. 
 
Solo il praticarla, la poesia, potrà persuasivamente sgombrare ogni sospetto: solo la pratica costante ci potrà convincere del fatto che non si tratti di inutili astrazioni, ma dell’incontro amoroso con la carne palpitante, del mondo.
 

 

Quella che avete letto è la relazione (con minime rielaborazioni) tenuta presso il Fondo Ferroni (Frascati, provincia di Roma) per l’associazione Frascati Poesia, in data 5 giugno 2019, che aveva come titolo “Imparare a guarire. L’esperienza del fare poesia nel cammino verso la nuova umanità”.
 
Il volume “Imparare a guarire” (Di Felice Edizioni, Euro 12), da dove sono estrapolate le poesie nel testo ed i brani della prefazione di Marco Guzzi, è acquistabile sul sito ibs.it oppure direttamente scrivendo all’editrice, all’indirizzo di posta elettronica info@edizionidifelice.it (nessuna spesa di spedizione).
 

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