La NASA sta per dare in questi giorni l’ultimo saluto ad uno degli osservatori spaziali che hanno veramente fatto la storia dell’astronomia, in questi ultimi anni. Si tratta del Telescopio Spaziale Spitzer, che opera nell’infrarosso. Ci siamo: dopo circa sedici anni di fantastico lavoro, la missione si avvicina al suo termine, fissato per il giorno 30 di questo mese.

Anche noi, nella nostra non cortissima storia, abbiamo varie volte fatto riferimento a questo splendido strumento di indagine del cielo. E non avremmo potuto evitarlo, visto il livello di eccellenza dei risultati scientifici generati dai dati raccolti dalla sonda. E da quanto sia fondamentale questa finestra infrarossa per capire cosa accade nel cielo, ad ogni possibile livello di distanza, dalla Via Lattea fino alle galassie più remote.

Lanciato nel lontano 2003, Spitzer ha consentito passi avanti giganteschi in moltissime branche dell’astronomia. Disegnato per studiare il freddo, il vecchio e il polveroso, tre cose che gli astronomi osservano bene in luce infrarossa appunto. Il che vuol dire, dai mondi lontanissimi al settore intrigante degli esopianeti, raccogliendo informazioni impossibili da ottenere nelle bande ottiche, drammaticamente trattenute dalla polvere cosmica.

Spesso i dati di Spitzer sono stati “incrociati” con quelli di altre missioni di successo come Hubble e Chandra (delle quali ci siamo occupati spesso) fornendo esempi eclatanti dell’uso virtuoso di dati proveniente da diverse fonti, che insieme – e soltanto insieme – compongono un quadro articolato di un fenomeno celeste, restituendone tutta la sua affasciante complessità. La cosiddetta astronomia multimessenger vede appunto nell’uso combinato dei dati dei diversi osservatori spaziali uno dei primi e più concreti esempi.

Ma forse la cosa più bella, la più interessante, che possiamo trattenere, ora che Spitzer va in pensione, il suo insegnamento più profondo, é che esiste molto più di quello che vedono gli occhi. In tempi in cui si fa tanto parlare di energia e materia oscura, é quasi spontaneo riconoscerlo. Ma ugualmente abbiamo bisogno di capirlo ogni volta di nuovo: i nostri occhi ci forniscono una parte importante di realtà, ma ne esiste una che non si vede, che é comunque concretissima.

Possiamo vederla come quella armonia nascosta di cui parla già Eraclito, a suo avviso ancora più importante di quella manifesta, o semplicemente ricordare che ci sono architetture invisibili in questo universo, che ordinano ed informano anche il disporsi della materia visibile, quella a noi più familiare.

Insomma siamo chiamati ad allargare lo sguardo, fino ad ammettere l’esistenza di ciò che non vediamo. E se un telescopio spaziale ci ha aiutato a fare ciò, ebbene, possiamo dire che ha compiuto un gran bel lavoro.

Un lavoro di tale portata (scientifica e culturale) che non potrà mai e poi mai essere dimenticato.

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