Difficile non essere attratti da questa immagine decisamente inusuale di Giove, pianeta che ormai conosciamo per come si presenta nell’intervallo di lunghezze d’onda proprie dello spettro visibile.

Ammirare questa foto, per questo, è un ottimo allenamento all’idea che non c’è un modo solo di vedere le cose. Tutto dipende da come le si guarda, e non è appena un modo di dire. E’ scienza. Diceva una canzone, da che punto guardi il mondo tutto dipende, e questo si applica bene anche in questo caso (le canzoni spesso ci indovinano). Ma quanto è diversa questa immagine dal nostro “solito” Giove?

Crediti: International Gemini ObservatoryNOIRLabNSFAURAM. H. Wong (UC Berkeley) & Team; Ringraziamenti : Mahdi Zamani; Text: Alex R. Howe (NASA/USRAReader’s History of SciFi Podcast)

Sarà banale dirlo, ma davvero. Cambiando lunghezza d’onda vediamo cose diverse. Modificando registro di indagine, si apre a noi una sezione diversa della realtà, ci spostiamo su frequenze diverse, più o meno energetiche, e di conseguenza percepiamo il mondo in modo diverso.

Questo la scienza astronomica lo sa bene già da tempo, ed infatti non da oggi ha adottato con successo l’approccio multimessenger (che potremmo tradurre un po’ goffamente come astronomia multimessaggera), con la quale si riconosce esplicitamente come solo un approccio più “globale” (verrebbe quasi da dire, olistico) recuperi una visione più aderente al vero, qualsiasi sia la cosa che stiamo indagando.

Accade così che la descrizione più accurata di un fenomeno è sovente la combinazione di informazioni che ci giungono da strumenti diversi, e solo questa riesce a donarci una comprensione più adeguata dell’oggetto di indagine. Esistono infinite “viste” di un oggetto celeste, e solo prenderne in esame molte, stabilire paralleli e concordanze, ci abilita ad avvicinarci ad una conoscenza vera dell’oggetto, per quanto sia possibile.

Questa rappresentazione di Giove, per esempio, è stata realizzata dagli astronomi del Gemina North Observatory (alle Hawaii), con una tecnica piuttosto ingegnosa, chiamata lucky imaging, che consiste nel prendere una serie di immagini a ripetizione, selezionando e combinando insieme poi solo quelle migliori (in termini di definizione). Ovvero, quelle scattate nel momento (di per sé abbastanza imprevedibile) nel quale l’atmosfera terrestre risulta più trasparente. L’aspetto abbastanza somigliante ad una Jack-o-lantern che assume il pianeta, visto in infrarosso, è semplicemente causato dai differenti strati di nuvole che si vedono a queste frequenze.

Come ben sappiamo, infatti, la radiazione infrarossa attraversa molto meglio di quella visibile gli strati di nuvole, permettendoci di “vedere” più in profondità nell’atmosfera del pianeta, mentre quelle più spesse ed “impenetrabili” perfino all’infrarosso, restituiscono ovviamente un aspetto scuro.

Nel complesso, un Giove piuttosto diverso a quello cui siamo fin troppo abituati.

Come in molti altri casi, però, non è solo l’aspetto, la cosa interessante. Perché queste nuove immagini, assieme a quelle ottenute dal Telescopio Spaziale Hubble, e soprattutto all’ingente catalogo creato da Juno, di cui ci siamo occupati in diverse occasioni, possono davvero insegnarci molto su quanto avviene nell’atmosfera del pianeta più grande del Sistema Solare, dove (tanto per dire) si possono formare vortici delle dimensioni di un pianeta intero.

Giove è senz’altro una sfida conoscitiva enorme, per noi. E’ così grande che mettendo insieme tutti gli altri pianeti del Sistema Solare, non arriviamo nemmeno a metà della sua massa. Di per sé è un modo, per noi, di abituarci ad una idea di pianeta molto differente dalla nostra. E solo facendo i conti con le differenze, ovvero rispettandole ed accogliendole per quel che sono, possiamo riconciliarci con le distanze siderali che fioriscono tra i nostri mondi e quelli degli altri, possiamo aprire davvero la nostra mente al cosmo, alla totalità.

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