Blog di Marco Castellani

Mese: Giugno 2020

Affetto

Scrive Luigi Giussani in Generare tracce nella storia del mondo, che è un affectus, come quello che aveva Simone, così puramente è profondamente affezionato a Gesù, ciò che porta lontano la capacità di giudicare adeguatamente la realtà.

Ebbene, quanto sia dirompente questa frase mi arriva solo dopo un po’ di ragionamento. Sì, mi trovo ordinariamente dentro questa convinzione, che il giudizio sia obiettivo solo se mi riesco ad astrarre dalla contingenza, se riesco a spegnere le emozioni e gli affetti nell’atto della valutazione, se mi sento sufficientemente lontano da tutto, in equilibrio su un punto (che immagino) di stabilità. Come un pianeta svincolato da ogni orbita, da ogni pur vago moto di attrazione: nulla che mi attiri in modo particolare, tutto è in equilibrio. In questo framework, ogni cosa che cattura la mia attenzione, che muove il mio animo, può rappresentare una distrazione, una alterazione indebita di questo (alquanto fantomatico) equilibrio valutativo.

La frase di Giussani (che riguarda cielo e terra, l’eterno e il contingente) giunge a scardinare questo terribile pregiudizio, questo desiderio malato di pulizia e di imparzialità. Malato proprio perché irrealizzabile, semplicemente e puramente disumano.

Volendo rimanere sulla fisica, senza approfondire l’aggancio metafisico (ché ci vorrebbe ben altro spessore di scrittura) cono cose che ci indica anche la scienza, a voler davvero ascoltare (il fatto è che non ci piace troppo ascoltare, nemmeno cosa dice la scienza, quanto va contro il nostro assetto mentale di default). Abbiamo viaggiato tanto, da quando Galileo ha aperto la porta all’analisi scientifica del mondo, a questa potentissima possibilità di ordinare il mondo fisico secondo dei modelli, capaci perfino di fare predizioni su eventi futuri.

Abbiamo viaggiato tanto, abbiamo traversato mondi diversi, nei secoli. Mondi che assomigliavano un po’ a come ci sentivamo, alla coscienza che avevamo maturato nel viaggio, più o meno fin lì. Abbiamo attraversato territori in cui, un po’ gasati dalle cose che stavamo scoprendo, ci siamo sentiti in potere di comprendere l’intera evoluzione delle cose. E’ stato anche detto che sarebbe bastato avere più informazioni (posizione e moti delle particelle, per essere precisissimi) per predire le cose, fino al limite estremo.

Questo modello è superato, siamo andati ben avanti nel viaggio. Scoprendo nuovi territori. Ora sappiamo che aggregare informazioni su informazioni non sempre ci aiuta, nella comprensione. La realtà non è conoscibile con precisione infinita, ce lo dice anche la fisica quantistica, che anzi fissa dei limiti in modo che può anche apparire implacabile. Oltre un certo confine, il dato semplicemente non ha senso, il famoso principio di indeterminazione è sempre da riprendere, come spunto importante per riflettere.

Il fatto che l’accumulo di pura informazione non aiuti la comprensione, lo avverto già come individuo, come persona, prima ancora che nel lavoro di scienziato. Prendiamo una cosa molto attuale, il bombardamento di informazioni in questa pandemia, ad esempio. Ebbene, l’esposizione esasperata alle statistiche di contagio, guariti e deceduti, erogata con assidua determinazione da ogni medium, non faceva che generare in me rinnovata confusione, minor possibilità di capire ed entrare realmente negli eventi. Se sono onesto con me stesso, devo ammettere che – almeno per me – l’accumulo di dati equivale ad una perdita di reale conoscenza, che tale bombardamento insistente può essere usato (consciamente o no) per destabilizzare, spaventare, ultimamente per generare un senso di impotenza. La gran mole di dati spinti nella coscienza, senza che vengano riordinati ed allineati da una ipotesi di senso, genera questo senso strano di confusione, di progressiva opacità.

Perché manca qualcosa, appunto. Manca quello che Giussani chiama affectus, alla fine. E’ questo, è questo il fatto. E se vogliamo rimettere in gioco la fisica quantistica, possiamo farlo anche qui, e senza forzare nulla. Ed anzi, qui abbiamo una evidenza rigorosissima, confermata proprio da quella scienza che a volte giudichiamo più impersonale ed arida di quanto sia veramente. C’è una lezione semplice e potente, che possiamo derivare da tale ambito. Non è infatti possibile conoscere qualcosa senza esserne parte, così potrei tradurre, senza troppo tradire, l’evidenza che ci giunge ormai molto chiara, dalle ricerche. Conoscere un sistema equivale a modificarlo, sia pure in piccola parte.

Fermiamoci un attimo su questo. Sì fermiamoci, perché questo noi, oso dirlo, non lo abbiamo ancora capito. Non lo abbiamo capito proprio per nulla. Per una sorte di fenomeno inerziale, noi gravitiamo ancora intorno al positivismo ottocentesco, e gli ultimi (ma anche penultimi) risultati della scienza dobbiamo ancora digerirli. Magari li sappiamo, nella testa, ma non sono ancora scesi nel cuore. La testa è veloce ad impadronirsi di un concetto, ma poi perché giunga nella vita reale, nella pratica di vita reale e concreta, ci vuole molto tempo. Lo diceva benissimo Gaber, che cito spesso in casi come questo, se potessi mangiare un’idea, avrei fatto la mia rivoluzione (idee giuste o sbagliate, se non arrivano al cuore, non funzionano). Ora ed ancora, insomma, ci tocca questo lavoro, di far scendere le idee e le convinzioni, dalla mente verso il cuore, dal pensiero alla carne.

Come questa cosa qui. Non esiste la conoscenza impersonale, oggettiva, di un fenomeno. In realtà, non è mai esistita. Ci piaccia o meno, faccia o meno a botte con quello che crediamo di credere, ma è così. La conoscenza implica sempre la partecipazione, in qualche grado. Per una persona, ma direi per un essere vivente, è una partecipazione essenzialmente affettiva, la possibilità della conoscenza.

Senza questo affetto, pensiamo di comprendere, valutare, giudicare, ma siamo semplicemente dentro una specie di simulazione mentale, non siamo vicini all’oggetto che dovremmo conoscere, siamo confinati su un universo parallelo, inconsapevolmente schiavi dei nostri preconcetti.

E’ una bomba, quello che dovremmo confessarci ora, senza più nasconderci dietro ad improbabili oggettività. Una esplosione universale, davanti alla quale siamo spesso totalmente inadeguati, ovvio. Ma non per questo dobbiamo impedirci di dircelo: una conoscenza adeguata della realtà viene soltanto da un amore ad essa. Davvero, la ragione conosce nella misura in cui essa ama.

Qualcosa di così deflagrante, che in fondo l’abbiamo sempre saputo. Le grandi tradizioni ce lo hanno sempre insegnato. Ma forse ora è il momento giusto, per ritrovare come nostro, quello che ci è sempre appartenuto.

Con un rinnovato affetto, ovviamente.

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Attraverso gli anelli, noi

Ma davvero, poter osservare gli anelli da questa prospettiva, non è niente male! Questa magnifica foto, come alcuni avranno indovinato, si deve alla sonda Cassini.

Crediti: NASAESAJPL-CaltechSSICassini Imaging Team
Processing & LicenseKevin M. Gill

E quei due piccoli puntini luminosi? Bene, poco più di tre anni fa, a motivo di un allineamento per cui la luce diretta del Sole veniva bloccata dal corpo stesso del pianeta Saturno, Cassini è riuscita a regalarci questa magnifica foto del Sistema Solare interno. Pensate, quei due minuscoli puntini che si vedono, appunto, a sinistra degli anelli, sono la Terra e la Luna, visti alla distanza stratosferica di quasi un miliardo e mezzo di chilometri.

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Fisicast riparte!

Eh sì, abbiamo avuto già occasione di occuparci di Fisicast, il podcast nel quale si racconta la fisica. In particolare ci piace qui ricordare il nostro post con le tre domande che girammo a suo tempo (correva l’anno 2012) ai curatori dell’iniziativa. Ma vale senz’altro la pena riferirsi anche all’articolo apparso su Media INAF, pubblicato l’anno successivo, per comprendere meglio l’idea che è alla base del progetto.

Se non sapete di cosa stiamo parlando, probabilmente la descrizione più concisa ed efficace è quella che compare sul sito stesso del progetto, FISICAST è un podcast audio pensato per tutti coloro che vogliano capire meglio com’è fatto e come funziona il mondo che li circonda. Esso consiste in puntate mensili costituite da brani audio di 15–25 minuti in formato di intervista, dialogo o monologo, musicati per un piacevole ascolto: un modo innovativo di raccontare, spiegandoli alla gente, i concetti della fisica, i fenomeni della natura e le tecnologie di uso comune.

Il tempo passa, e la sua freccia, come ben sappiamo, punta in avanti. Tra una cosa e l’altra, nel trascorrere dei mesi, Fisicast ha messo su un archivio piuttosto rilevante: si contano ormai ben sessantuno puntate, tutte liberamente ascoltabili, con una ampia rosa di argomenti, che spazia da argomenti assai vicini all’esperienza comune, come caldo e freddo a temi decisamente più ardimentosi (almeno per un podcast), come teoria della relatività, meccanica quantistica e onde gravitazionali.

E ovviamente, se non l’avete ascoltata, vi raccomandiamo caldamente e (fate finta di crederci, perfavore) disinteressatamente, di ascoltare l’ottima puntata su Phos, dove si azzarda perfino… una intervista ad un fotone!

Storie di fotoni (e altre minuzie) a parte, quello che qui ci piace sottolineare è l’estrema fruibilità della proposta. Essendo difatti ogni puntata concepita come “a sé stante – e non come un corso da seguire magari in modo progressivo – si può saltare direttamente sopra qualsiasi puntata di interesse, con la ragionevole certezza di passare una mezz’ora in compagnia di un ascolto intrigante ed intelligente, con la confidenza rassicurante di imparare qualcosa, nonché di trovare territorio fertile per lo sviluppo di nuove idee e nuove domande (che poi, la scienza fa così, ogni risposta si porta appresso un’altra domanda). Insomma si può entrare nella fisica, anche la più attuale, in modo morbido, accompagnati da professionisti della ricerca e da allenati divulgatori. Scegliendo il punto di ingresso che più ci piace.

Se vi parliamo proprio oggi di Fisicast è per un motivo preciso. Il progetto infatti è ad una importante ripartenza, dopo diversi mesi di inattività. Dopo aver visti i pianeti di altre stelle, nell’agosto dello scorso anno, ci si era un po’ fermati, per una molteplicità di motivi, che poi fanno parte del gioco.

Eppure non pareva bello abbandonare una cosa così. Non pareva bello nemmeno ai curatori. E difatti, Fisicast riparte, esattamente da oggi. Possiamo testimoniarvi che si è appena riformata una squadra decisamente motivata, e questo ci fa davvero ben sperare per il futuro.

E se l’entusiasmo è nuovo, la sfida è la stessa di sempre.

Si tratta, come ben comprendete, di una sfida antichissima, destinata a durare quanto l’uomo: quella di rendere vere le cose, raccontando. Qui infatti non ci sono lavagne, non ci sono diagrammi da mostrare. Tutto avviene sul filo delle parole, sull’architrave del racconto. Come è sempre stato, dalla notte dei tempi, dagli incontri davanti al fuoco, potremmo dire, fino ad oggi.

La sfida è proprio questa, far passare contenuti semplificati ma mai banalizzati, lineari ma rigorosi, appoggiandosi alla linea delle parole, quella linea magica e misteriosa che unisce – per dire – Fermi ad Ungaretti, scienza a letteratura: che poi è la più propria della mente, la quale, ultimamente, lavora i propri concetti in questo modo, appoggiandosi sul linguaggio. Anche le formule più astruse, infatti, diventano alla fine linguaggio, nella mente dello studioso.

E’ una sfida particolarmente interessante, a nostro avviso. Superare le barriere, la paura della matematica, andare oltre tutto, al fine di dire le cose ugualmente, senza diluirle o banalizzarle. Ovvero, raggiungere una semplicità di secondo grado che peraltro si configura come una acquisizione sempre più necessaria per una nuova ed efficace comunicazione, nel mondo contemporaneo. Per usare le parole di Marco Guzzi, filosofo e poeta, Quello che però viene richiesta urgentemente è una distillazione, è distillare goccia a goccia una semplicità di secondo grado. Che vuole dire di secondo grado? Vuole dire una semplicità che porti dentro di sé, nel suo dirsi, nella sua parola, ma senza nemmeno doverle ricitare continuamente, tutte queste tradizioni, tutta questa forza. Qui la tradizione e la forza specificamente (ma non soltanto) del pensiero scientifico, per come si è costituto pian piano nel suo affidabile deposito di cultura e conoscenza.

Così, grazie all’arrivo di nuovi collaboratori tra INAF, INFN e La Sapienza, grazie al supporto dell’Associazione Frascati Scienza, Fisicast torna gagliardamente alla sua periodicità mensile. E appunto riparte proprio da oggi, sul web e sulle principali piattaforme podcast come Spotify, iTunes, Google Podcast, YouTube e sui social FaceBook, Twitter ed anche (freschissimo) sul canale Telegram.

La puntata fresca di forno si occupa del suono, ed è a cura di Giovanni Organtini dell’Università di Roma “La Sapienza”. Seguirà una puntata dedicata ai raggi cosmici, di Livia Soffi (INFN), e poi “Il fotone oscuro” di Danilo Domenici (INFN). Ma diverse altre puntate sono già in preparazione, in modo da assicurare il mantenimento della periodicità mensile del podcast.

L’invito è di collegarsi tramite una delle tante modalità disponibili, e lasciarsi catturare dall’avventura della fisica moderna. Cioè dall’avventura, sempre viva e nuova, di un racconto.

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