Il testo che segue è la mia introduzione al volume “C’era una volta… sei racconti per una nuova educazione” di Carla Ribichini, edito da Universitalia e di recentissima uscita. Il libro è già disponibile su Amazon oppure su IBS.
C’è qualcosa che si muove, nell’educazione. C’è qualcosa che non accetta la stasi, che rigetta la narrazione di universo stazionario come ambito in cui tutto rimane sempre uguale, niente cambia. Ci sono ancora persone disposte a scommettere tenacemente sul cambiamento e sull’educazione. E che investono su progetti, anche di lungo respiro, anche rischiosi. Tutto questo, per esporre i più giovani ad una prospettiva nuova ma oltremodo necessaria, dove si possano sentire accolti come persone e non semplicemente come oggetti, numeri, entità disincarnate, destinate al mero assorbimento di un flusso più o meno articolato di nozioni.

C’è qualcosa che si muove, anche adesso. Scrivo da dentro un tempo sospeso, il tempo della pandemia, l’epoca imprevista di un virus – un microscopico parassita biologico, il COVID 19 – che è riuscito a “congelare” un mondo forse troppo in corsa, forse troppo in fuga da sé stesso. E a metterci davanti alla domanda sul senso del nostro vivere, oltre le corse quotidiane con le quali avevamo anestetizzato, perpetuamente rinviato tale domanda. La domanda di senso, l’unica domanda che restituisce quella speciale dignità dell’essere umano, che si misura con la vastità del cosmo e con il senso dell’esistere, dell’essere di tutte le cose.

I poeti lo sanno, da sempre. E’ utile rivolgersi a loro in questo caso. “Come vivere? – Mi ha scritto qualcuno a cui intendevo fare la stessa domanda. Da capo, allo stesso modo di sempre, come si è visto sopra, non vi sono domande più pressanti delle domande ingenue” scrive Wislawa Szymorska.

Il punto di svolta a cui ci chiama quest’epoca, è esattamente questo. Ritornare alla ricerca del senso di tutto, senza la quale ci muoviamo sulla superficie del reale, senza entrare nelle cose veramente. Restiamo prigionieri dell’ego, senza attingere al Sè più profondo, che si nutre di questa ricerca.

C’è qualcosa che si muove, in questo tempo. Che usa di questo tempo per investigare più a fondo, per trasformarlo alchemicamente in un’occasione di crescita umana. Qualcosa in noi ci dice che il dolore non ha l’ultima parola. Il fango può sempre trasformarsi in oro. Tutto serve.

Carla Ribichini è tra chi sceglie di non subire passivamente questo tempo così strano, di non abbassare la soglia del desiderio. Proponendo di vedere questo strano presente come un tempo di raccolta, prima ancora che di pianto. Questo libro è l’appassionata testimonianza del suo lavoro con gli alunni, che fiorisce da questo desiderio indomito. Percorrendone le pagine, scevre di ogni sterile analisi e dense di esperienza umana, possiamo assaggiare frutti davvero gustosi, frutti che ora più che mai devono aiutarci a vivere, a profumare anche queste giornate così strane, trascorse – per molti – nella reclusione domestica, ad immaginare un futuro quando la tentazione sarebbe proprio nella triste rinuncia ad immaginare, a sognare.

Lo fa adesso, Carla, raccogliendo saggiamente i frutti di un lavoro luminoso, che in questo periodo di oscurità rifulge ancora di più, e ci dona speranza. Una speranza che si comunica, si espande per sua natura, e che sono certo raggiungerà intatta i lettori del libro. La speranza non vuole mai rimanere confinata. La speranza è un fenomeno espansivo, è in un certo senso virale, per propria indole. Farci contagiare da essa ci immunizza da una ampia serie di patologie, psichiche e probabilmente anche fisiche. Siamo fatti in questo modo, funzioniamo a speranza.

Vorrei anche far notare come questa sorta di ribellione gioiosa conservi una sua profonda carica sociale e politica. Tornare ad immaginare, ci rende individui molto più solidi e robusti, capaci di riprendere un ruolo di partecipazione attiva nell’agone sociale. In grado cioè di rivendicare un ruolo di protagonisti, e non appena di elettori, o consumatori. Chi immagina, chi sogna, chi lavora per un futuro di inaudita bellezza, non è facilmente controllabile. Lo sappiamo bene, è solo la rassegnazione che ci rende pedine nelle mani dei potenti di turno. L’idea perniciosa che non cambi mai nulla, la ricaduta pesante nel modello di universo stazionario, in senso fisico e psichico. Invece, chi mette le mani in un filone d’oro, chi si nutre ad una prospettiva indomita, ad una speranza che non muore, finisce che il mondo lo cambia davvero. Lo cambia quasi senza volerlo, lo cambia ad ogni respiro, con la sua sola presenza. Lavorare ad un soggetto nuovo nel mondo, un collettore cosmico di speranza e fiducia, è la cosa più rivoluzionaria che possiamo concepire.

L’ambito educativo è certamente quello privilegiato, ed insieme il più sfidante. Conosco molte persone, molti insegnanti, che si rischiano in questo ruolo. Lo fanno quotidianamente, silenziosamente. Senza onori o compensi addizionali. Con semplice passione. Per qualcosa su cui non è sbagliato, una volta tanto, spendere la parola vocazione.

Davanti a questo, allora, il pericolo per noi, è non accorgerci. E’ lasciarci prendere dall’idea appiccicosa e sterile, che tanto non cambia mai niente. Rientrare quieti e rassegnati nel ruolo di spettatori, anonima platea telecontrollata che non attende, non sogna, non spera. Idea pericolosa, falsa e pericolosa. Perché rafforza la stasi, la permanenza in stati di bassa energia, di scarsa creatività, di speranza ridotta. Di vita a freno a mano tirato. Quando l’alternativa, invece, esiste.

L’alternativa va coltivata, come possibilità quotidiana. Questo libro che avete in mano, è vivo e pulsante come un esperimento in corso. Un esperimento che rientra in questo filone virtuoso, significativamente chiamato La Scuola Visionaria.

Come recita il progetto stesso

L’educazione visionaria è quella che sperimenta nuove pratiche, progetta e crea percorsi in cui gli aspetti cognitivi e quelli educativi non sono mai vissuti separatamente, ma si intrecciano continuamente.

L’esperimento ha un tempo e un luogo, come ogni esperimento che si rispetti. Il tempo è quello presente (ma non solo, le radici sono ben sviluppate e si estendono felicemente indietro), il luogo è l’Istituto Comprensivo Corradini (Vermicino, comune di Roma).

Ed è un esperimento relazionale per sua natura. Coinvolge ed integra altre competenze, chiama altre persone in officina. Io stesso, sono intervenuto diverse volte nel loro pregevole laboratorio, per dialogare di scienza e poesia. Incontrare i ragazzi, ma anche gli insegnanti e i genitori, è stata ogni volta un’avventura luminosa che si rinnovava fresca ad ogni occasione, un modo per comunicare a livello profondo, in un clima di attenzione e di rispetto raramente reperibile altrove.

Da astronomo, il mio mestiere è studiare le stelle e l’universo che le contiene, e mi piace raccontarlo, raccontare quello che scopro e quello che il mio lavoro mi porta a pensare. Devo confessare con stupore che in tutte queste occasioni l’attenzione e il coinvolgimento, sono stati realmente gratificanti. Ragazzi, insegnanti, genitori, nelle diverse occasioni, hanno accolto la proposta e accordato la loro vibrazione essenziale all’idea di ritornare ad imparare, ritornare a pensare ad un universo “morbido”, per imparare a guarire. Perché ogni visione rinnovata dell’uomo e del cosmo, è in realtà una guarigione.

Capisco che c’è del materiale umano formidabile, che non possiamo perdere, disperdere. Ogni persona in formazione è un universo di bellezza che si deve schiudere, deve aprirsi e interagire con altri universi, dispiegare con fiducia il suo profumo, il suo colore unico, irripetibile. Lavorare per questi universi in evoluzione, porsi a servizio di questa crescita, è la cosa più bella.

Ma vorrei aggiungere, non è solo quello.

E’ stata forte in me la sensazione di venire invitato all’opera in un campo che è già stato sapientemente coltivato, pazientemente arato, sistemato. Capisco che c’è un lavoro degli insegnanti, dietro tutto questo, un lavoro non di oggi, ma di tanti giorni, tante occasioni. E certi insegnanti, sono eroi: lottare contro lo scoraggiamento, le difficoltà personali, le condizioni spesso precarie in cui si trovano ad operare. Lottare per donare ai ragazzi qualcosa, una speranza, un riposo nuovo. Qualcosa che si potrebbero portare dentro, per la vita. Riprendere forza ogni giorno, per guardare ogni ragazza, ogni ragazzo, nel modo in cui chiede di essere guardata. Non come numero, non come produttore di (presenti o future) prestazioni, ma come persona. Posso chiamarli eroi, senza retorica.

Ma lo dicono anche i ragazzi (cito dal libro La scuola visionaria, firmato da Carla, che trattiene in modo efficace alcuni preziosi segni dell’opera)

Gli insegnanti sono eroi perché ci trasmettono la sapienza del mondo. Ci insegnano la poesia letteraria e quella corporea che colma il vuoto interiore riempiendolo di gioia. Sono eroi, ma non quel tipo di eroi con la calzamaglia e i super poteri… il loro potere è quello di incantare gli alunni con la voce del cuore. (Ivan)

Ed ancora

Lo studente cerca negli occhi degli insegnanti la certezza che la sua vita sarà perfetta o quasi. Gli insegnati sono balsamo quando nei nostri cuori c’è aria di tempesta, sono gentiluomini che custodiscono la nostra vita e si dedicano a noi con amore (Elisabetta).

Tanto altro si potrebbe estrapolare, ma questo, nel candore delicatissimo e commovente di cui sono capaci solo i ragazzi (e chi realmente torna bambino, facendo proprio il monito evangelico), è già sufficiente per definire uno spazio di azione, ed insieme un senso compiuto a questa opera in corso.

Che è un’opera grandissima, da condurre dunque con grandissima umiltà. Perché si tratta appena di questo, di mettersi a servizio di qualcosa, di un’idea presente, di una presenza, di una bellezza che investe l’uomo e lo rende sempre irriducibile a qualsiasi logica di mercato. Gli regala una rinnovata dignità.

Qui, solo qui, scienza e letteratura si possono incontrare, nella declinazione — anche balbettante — di un nuovo universo, dove l’uomo torna al centro di tutto, riprende possesso di tutto, ma finalmente in modo nuovo. Del resto, “Viviamo immersi in uno sconfinato oceano di energia. Ma questa energia, in definitiva, è nostra non per dominio ma per invocazione” ci dice Thomas Berry

Tutto ritorna nostro, nell’atto in cui apriamo le mani, invochiamo, lasciamo andare. Stiamo imparando un nuovo modo di stare nell’universo, un modo bello e nuovo che abbiamo il compito di trasmettere, a chi fa il cammino della vita, appena dietro a noi.

Perché così tutto torna, può tornare, più umano.

Qualcosa di così bello, per cui vale la pena affrontare il rischio. Per cui vale la pena, dedicare ogni sforzo. Per cui vale la pena, sopportare ogni pena.

Sempre dal libro citato, imparo che una scuola animata da idealismo ed amore visionario esercita un potere che rimane per tutta la vita e la trasforma.

A quale ideale più bello, più santo, potremmo mai pensare di dedicarci?

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