Qualcosa di leggermente incredibile sta accadendo. E sta accadendo proprio in questa epoca. In questi mesi, questi giorni (mi verrebbe addirittura da dire, queste ore). Qualcosa che rivoluziona la percezione stessa dell’astronomia, dell’indagine scientifica dei cieli. La quale è sempre stata, lo sappiamo, una indagine sostanzialmente passiva, un registrare il dato come arriva a Terra, e da quello elaborare dei modelli, sempre più raffinati (ma lo sappiamo, pur sempre modelli, ovvero schemi del tipo tutto funziona come se…, ma niente che ci avvicini alla conoscenza totale del mistero della realtà).

Del resto, questa che viviamo – lo abbiamo più volte sottolineato – non è un’epoca qualunque, perché non tutte le epoche sono uguali. C’è una storia in atto, c’è una storia nell’universo e dunque in ogni storia che si rispetti (lo sa bene chi scrive romanzi o racconti) ci vogliono dei punti forti, momenti topici, istanti di svelamento improvviso, azioni repentine, frammenti di comprensione totale. Ogni storia è così, altrimenti diventa fiacca, non è una vera storia. L’universo è una storia perché (secondo i modelli attuali) nasce ad un certo punto preciso, cresce e si modifica: in altri termini, non è sempre uguale a sé stesso, come invece pensavano gli antichi.

Io credo che adesso stiamo vivendo un momento forte, per l’astronomia. Da pochissimo abbiamo una conoscenza dettagliata del cosmo, una conoscenza scientifica, intendo. Possiamo rispondere a domande del tipo quando è nato l’Universo, oppure quanto è grande, in modo plausibile e ragionevole (ed anche, falsificabile). Domande che per anni hanno dimorato esclusivamente nel territorio del mito. Domande che quando io ero bambino erano ancora avvolte in un alone mitico e fantastico, e in pochi anni sono entrate a pieno titolo nella scienza. Dunque tutto è avvenuto in una generazione, tutto sta avvenendo adesso.

Siamo dunque in fase di accelerazione conoscitiva, cosa che comporta un crollo anche di abitudini consolidate. Come quella di osservare il cielo, inteso come unico ambito di raccolta dei dati. Adesso si è aperto un canale più attivo, più partecipativo, che è quello di andare a vedere cosa c’è, cosa accade. Nel posto in cui accade.

Il segno discriminante è ovviamente tracciato dall’Apollo 11 e dagli astronauti che mettono piede sulla Luna, di cui poco tempo fa si è celebrato il cinquantenario. Quello è il punto di svolta, e segna veramente l’inizio di un nuovo approccio. In questi ultimi anni – presenza umana a parte – sonde di ogni tipo sono all’opera nel Sistema Solare (e anche oltre) per recuperare il dato scientifico in situ aprendoci ad una conoscenza che solo la prossimità con l’oggetto del conoscere, rende possibile.

Una immagine della sonda Osiris-Rex a contatto con l’asteroide Bennu (Crediti: OSIRIS-REx, University of Arizona, NASA, Goddard Scientific Visualization Studio)

Un altro punto forte di questa storia di incontri ravvicinati è senza dubbio ciò che è accaduto esattamente l’altro ieri, quando la sonda Osiris Rex della NASA ha prelevato – in una manovra senz’altro tra le più complesse mai tentate – pochi preziosi grammi di polvere e frammenti di roccia dall’asteroide 101955 Bennu, lontano da noi circa ben 322 milioni di chilometri.

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