Blog di Marco Castellani

Mese: Dicembre 2020 Page 1 of 3

Sogni antichi, per un futuro nuovo

Proprio bella questa immagine: conserva intatto quel seme di fiducia che forse abbiamo un po’ smarrito, e che proprio in questo scampolo di anno così particolare, così difficile, può essere utilmente ripreso.

Crediti: NASA’s Ames Research Center

Il disegno parla di un possibile futuro (precisamente, una ipotetica struttura toroidale nello spazio, adibita a colonia umana), ma è fortissimo il richiamo ad un recente passato, molto terrestre. Lo stile grafico, infatti, parla da solo, per chi ha già vissuto un po’ di orbite solari. Parla degli anni settanta, ed appunto è stato elaborato in quell’epoca dall’Ames Research Center della NASA. Al tempo, qualcuno ricorderà, andavano molto questo studi (piacevolmente fantastici) sulla colonizzazione dello spazio. La fiducia verso il cambiamento sulla Terra si proiettava morbidamente nelle profondità del cosmo.

Tutto questo mi arriva proprio come tenerissimo richiamo ad un passato che, forse, può insegnarci qualcosa sul futuro. Forse in chiusura di quest’anno difficile, possiamo sperare davvero in una nuova era, in un riscatto della parte più sognante e desiderante di noi stessi. Per tornare al lavoro, alla lotta quotidiana, ci vuole un sogno, ci vuole una ipotesi di certezza, un’ombra intravista, di compimento. Così possiamo tornare a sentirci, ad essere almeno un po’ combattenti.

Per arrivare alle stelle è necessario e sufficiente il puro desiderio, che costituisce la stoffa dei sogni. Provarci, crederci: questo dipende comunque da noi. E cambia tutto l’Universo, lo sappiamo, lo sentiamo. Da qui ai quasar più distanti, quello che ammorbidisce davvero il tessuto dello spazio tempo è uno sguardo bambino, la capacità di stupirci, per le cose che accadono, in cielo e in terra.

Buon ricominciamento ad ognuna, ognuno.

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La novità viene da un incontro

Anche questa immagine piena zeppa di stelle, è merito del Telescopio Spaziale Hubble (e quante aperture meravigliose sul cosmo non avremmo, senza di lui). Nel dettaglio, è una istantanea dell’ammasso globulare NGC 1866. Non si trova nella nostra galassia, ma dimora ai bordi della Piccola Nube di Magellano, galassia nana di forma irregolare, in orbita attorno alla Via Lattea.

L’ammasso stellare NGC 1866. Crediti: ESA/Hubble & NASA

Di ammassi ce ne sono tanti (ognuno a suo modo è una composta meraviglia, fonte di informazioni preziose), ma questo è davvero particolare. Intanto, pur essendo extragalattico, è abbastanza vicino da poter risolvere le singole stelle. E c’è dell’altro. Ricordate, si è già visto come gli ammassi globulari siano tra le cose più antiche, là fuori. Ma qui c’è qualcosa di particolare. Qui, diverse generazioni di stelle convivono assieme: non è appena un paese per vecchi (come per molti ammassi), ma si trovano frizzanti segni di stelle bambine, assieme a compagne ben più attempate.

Potrebbe essere stato l’incontro con una nube gigante di gas, il trucco che ha rivitalizzato l’ammasso stimolando formazione di nuove stelle, quando le prime erano già mature. Un incontro, dunque, avrebbe dunque permesso ad NGC 1866 di poter ospitare popolazioni stellari così diverse. Senza questo incontro particolare, tutto sarebbe rimasto così, prevedibile, con poche sorprese.

L’incontro è pericoloso e stimolante, al tempo stesso. Rappresenta un punto unico e insostituibile di crescita, di sviluppo. Di novità. In astronomia come ovunque. “Io amo vivere al crocevia, nei punti di incrocio. Sono punti di incontro, di ricerca e anche snodi pericolosi dove, come si diceva un tempo, passano i briganti”, afferma il poeta e filosofo Marco Guzzi. Declinando, con ogni probabilità, qualcosa di sorprendentemente vero, ad ogni scala.

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Un gioco esatto, di bellezza

In questa stupenda immagine, altro regalo inestimabile di Hubble, la barra centrale della galassia NGC 2217 brilla luminosa nella costellazione Canis Majoris.

La magnifica spirale barrata NGC 2217. Crediti: ESA/Hubble & NASA, J. Dalcanton

A circa 65 milioni di anni luce da noi, questa galassia spirale barrata è di grandezza simile alla nostra Via Lattea, con i suoi centomila anni luce di estensione. Gran parte delle stelle è concentrata nella regione centrale e sulla barra luminosa, avvolta da morbide braccia di spirale.

La barra centrale è tutt’altro che un mero effetto decorativo, perché svolte un ruolo importante nella logica della galassia stessa, convogliando il gas dal disco piatto ed esteso al centro stesso della struttura. A sua volta, questo materiale trasportato è destinato alla formazione di nuove stelle, oppure al nutrimento del buco nero centrale di grande massa (cosa presente, come sappiamo ora, in quasi tutte le grandi galassie).

Tutto quel che appare bello nell’universo, svolge una sua precisa funzione, è inserito con meticolosa esattezza nelle dinamiche cosmiche, che onora con scrupolosa dedizione. Credo sia lecito pensare lo stesso anche per la bellezza umana: bellezza come servizio, in fondo. Di qualcosa che ci sorpassa, enormemente. Qualcosa di perpetuamente inafferrabile, e di cui soltanto riconoscendone la portata cosmica, possiamo realmente godere.

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Il colore dell’universo

Di che colore è l’universo? Intendo, se tutto fosse omogeneizzato e spalmato uniformemente, che colore verrebbe fuori da questa pasta cosmica? L’interrogativo parrà ozioso, ma è emerso in una imponente ricerca scientifica che ha tentato di determinare il tipo di stelle più comuni nelle galassie vicine. La risposta, in breve, la trovate qui sotto.

Crediti per il colore: Karl Glazebrook & Ivan Baldry (JHU)

In termini computeristici, #FFF8E7. Per arrivare a questo risultato, gli astronomi hanno mediato tramite computer, la luce rivenienti da ben duecentomila galassie, dal progetto 2dF. Il nome è stato poi scelto tramite un sondaggio in rete. Tra i più votati, gli scienziati hanno selezionato “Cosmic Latte”, per l’intenzionale rimando ad una parola italiana, Latte, in omaggio alla lingua parlata da Galileo Galilei. Altro motivo, il collegamento (ovvio e doveroso) alla Via Lattea e al suo specifico colorito.

Personalmente trovo motivi di consolazione in questa immagine, così semplice. L’universo non è buio, l’universo è chiaro, di color latte. Prima cosa che andrebbe meditata quando siamo un po’ giù, e tendiamo a indugiare sul colore nero proiettandolo magari fino alle stelle. Comprensibile, certo: ma non (più) supportato dalla scienza, possiamo dire. Non è bello questo? Anche, apprezzo l’omaggio di ricercatori non italiani (Karl Glazebrook e Ivan Baldry) ad uno scienziato del nostro paese.

Il latte è un nutrimento, un sostegno alla crescita. L’universo condensato e compresso in un colore oggi viene fuori di latte (in altre epoche aveva altri colori). Sarà un caso? Mi piace pensare ad un messaggio, che è un messaggio di sostegno e aiuto alla crescita. Alla crescita umana, nel caso specifico.

Non solo, là fuori, è pieno di stelle. C’è un nutrimento cosmico che ci aiuta e ci spinge in avanti, a fare i passi necessari nell’esplorazione di stelle e galassie. E di noi stessi.

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Nuove prospettive

Vorrei essere misurato con gli auguri di Natale. Del resto, chi se li ricorda più appena due giorni dopo? E rimanere in ambito astronomico, anche. Ecco che allora il tema specifico me lo suggerisce questa foto storica, appena ripubblicata da NASA.

La Terra sorge sull’orizzonte lunare, dall’Apollo 8 (Crediti: NASA)

Quello che è associato al Natale – qualsiasi cosa crediamo di credere – è senz’altro una nascita, un senso di ricominciamento, un soffio di nuove prospettive. Questo ci accomuna, sull’intero pianeta: mai come oggi abbiamo bisogno di nuove prospettive. Per la stanchezza di vivere in emergenza sanitaria, certo. Ma no solo.

Questa immagine della Terra che “sorge” sul panorama lunare, è stata acquisita dall’equipaggio dell’Apollo 8 in orbita attorno alla Luna. Bill Anders (l’autore della foto), Frank Borman, e Jim Lovell sono stati i primi uomini in assoluto a circumnavigare il nostro satellite, ottenendo questo interessante spunto di nuova prospettiva.

Possiamo augurarci questo, che un imprevisto renda la nostra vita più interessante. Siamo in un universo in perpetuo ed accelerato cambiamento, e in fondo è appena questo che ci è domandato, smettere di opporci e di puntare i piedi, lasciarci anche noi fluire nel cambiamento, tornare morbidi alla sorpresa. Aperti a quel che accade, meno serrati nella convinzione che la soddisfazione possa arrivare nel modo che ci siamo detti noi.

Una Terra che sorge è speranza per ognuno di noi, di sorgere di nuovo, respirare in nuovi orizzonti. Vuol dire nascita, scrivevo in un racconto per Natale, tempo fa. Lasciamo pure la parte già vista della festa, estinguersi in pochi giorni, poche ore, con i suoi panettoni e le sue canzoncine, il suo buonismo grossolano e sterile. Invece, scommettiamo ancora sul fatto che questo universo ci possa ancora sorprendere, incantare. Possa ritornare interessante, nella nostra ricerca di senso. Di tutto questo, auguri!

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Montagne interstellari

Potremmo definirle proprio così, montagne interstellari. Quella che si vede nella bella foto è appena la parte terminale di un enorme “pilastro” di gas e polveri nella Nebulosa Trifida (nome in codice, M20). Molti dei puntini che vedete nella figura sono stelle di piccola massa in fase di formazione: vivranno per molti miliardi di anni, molto più delle loro controparti di massa grande, abituate a far fuori il loro carburante in tempi molto, molto più rapidi.

Sculture cosmiche, in “lento movimento”.
Crediti: NASAESAHubble Space TelescopeHLAProcessing: Advait Mehla

Queste, sono strutture cosmiche che si estendono per diverse decine di anni luce, ma non sono stabili. Piano piano, vengono erose dall’ambiente in cui si trovano, tanto che su scala di decine di migliaia di anni (che non è poi molto, in astronomia) anche queste bellissime strutture si modificano, si disperdono.

In effetti noi le vediamo come statiche, ma sulle scale temporali di una di quelle piccole stelle, queste sono pregiatissime sculture in movimento che impreziosiscono gli ambienti galattici con le loro elegantissime evoluzioni. Chissà, a poterle vedere anche noi così…

La striscia chiara obliqua, nella parte sinistra, è un’ulteriore testimonianza di fenomeni dinamici, poiché è un jet che proviene da una stella, al momento, nascosta da queste immense strutture. Per avere un’idea delle dimensioni, questo “piccolo sbuffo” cosmico, si estende per circa un anno luce (quasi diecimila miliardi di chilometri, a conti fatti).

Davvero tutto cambia, in astronomia. Il fatto è, c’è questo cielo roboante, rutilante, che non ne vuol proprio sapere di essere sempre uguale. Alla fine va così: ogni notte, si inventa qualcosa. Ogni momento, si reinventa. Rinasce, sempre.

Forse, ci suggerisce qualcosa?

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Scatti, dalla “grande congiunzione”

Le stelle si impicciano di quello che accade sulla Terra, altroché. Non ci credo troppo, sul fatto che le stelle stanno a guardare. E i pianeti anche, altroché. Un allineamento di pianeti è un evento che si rifrange in diecimila storie, come viste e vissute da posti differenti. Da cuori, differenti.

Congiunzione, in panorama italiano. Crediti: Cristian Fattinnanzi

Sono belle queste immagini – una galleria in crescendo come riporta il sito APOD – perché ci parlano innanzitutto di noi. Ci parlano di come sulla Terra, da tanti luoghi della Terra, si sia guardato alla grande congiunzione di ieri. E ogni posto ha un suo colore e una sua luce, un suo carattere e un suo profumo. Ogni persona che ha scattato la foto, che ha guardato il cielo, ha una storia unica, ha una profondità ed insondabilità propriamente cosmica.

Sono belle queste immagini perché parlano di noi, innanzitutto. Così, è bello il cielo perché è un modo per parlare di noi, senza immediatamente mettere noi al centro.

Forse il mondo più vero di tutti, per parlare di noi.

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La “grande congiunzione” di Giove e Saturno

In un certo senso è storico l’evento astronomico di oggi. Giove e Saturno appariranno “in congiunzione”, alla mutua distanza più ravvicinata da quasi quattro secoli. Visti da Terra, potrebbero apparire quasi come un unico puntino luminoso.

Su questa congiunzione già molto è stato detto, e vi invito a leggere l’articolo su Media INAF che contiene una eccellente ed esaustiva intervista (dal punto di vista astronomico e culturale) all’astronomo Stefano Giovanardi, curatore scientifico del Planetario di Roma.

Giovanni Keplero (1571-1630) fu un “accanito” studioso di queste congiunzioni, ponendole in correlazione con diversi eventi storici.

Io penso che sia un’occasione (e altre ve ne furono già), anche di dialogo e convivenza. Se per l’astronomia scientifica una congiunzione non è niente di particolare e non ha ricadute “misurabili” sugli eventi umani, la portata “culturale” di questo evento è veramente notevole e va cercata forse altrove, negli agganci con l’astrologia che peraltro hanno catturato anche molti “grandi”. Da Dante, che cita una simile congiunzione nella Divina Commedia collegandola addirittura con un rinnovamento del cristianesimo, ad uno scienziato come Keplero che, quasi ossessionato dal tema, passò molto tempo calcolando tutte le simili congiunzioni fino al 4000 a.C. circa, quando si pensava fosse l’origine del mondo (beh, con un errore di qualche miliardo di anni, almeno secondo i modelli attuali), collegando ogni congiunzione ad un evento importante nella storia dell’umanità (inclusa la nascita di Cristo).

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