Blog di Marco Castellani

Mese: Marzo 2021 Page 1 of 2

Cadere all’interno o sfrecciare fuori?

Questa splendida immagine rappresenta la polarizzazione delle onde radio intorno al buco nero al centro della galassia ellittica M87. La polarizzazione (nome complesso per indicare un orientamento ordinato delle onde, in sostanza) è prodotta dai potenti campi magnetici che circondano il buco nero supermassivo. Le onde radio sono state rilevate dall’Event Horizon Telescope (EHT per gli amici) che ha combinato dei dati da alcuni radiotelescopi distribuiti in tutto il mondo. La struttura della polarizzazione, mostrata attraverso linee di flusso generate al computer, è stata sovrapposta alla famosa prima immagine del buco nero che ha costituito certamente l’evento astronomico del 2019. L’immagine è molto intrigante, quasi ipnotica. Anche, di indubbia eleganza direi.

Il buco nero centrale di M87, in luce polarizzata. Crediti: Event Horizon Telescope CollaborationText: Jayanne English (U. Manitoba)

Il campo magnetico mappato in tre dimensioni ha certamente una struttura complessa che volentieri lascio agli studiosi. Dico solo questo, che analisi preliminari indicano che parte del campo magnetico ruoti insieme al buco nero insieme con la materia in accrescimento, come del resto ci si aspetta che faccia. Ma non vale per tutti: un’altra componente sembra orientarsi secondo un asse verticale, in modo da resistere alla caduta nel buco nero per invece essere lanciata lontano attraverso potenti getti di materia, che sono poi un’altra nota caratteristica ben nota di M87.

Non sappiamo cosa distingue la materia che cade all’interno del buco nero da quella che viene sparata verso il cosmo infinito, a grande velocità. Sappiamo però che noi abbiamo una scelta, se cadere in noi stessi o aprirci all’infinito. In ogni granello elementare del tempo, possiamo di nuovo scegliere.

Assecondare il movimento depressivo o quello espansivo (tipico di un mondo fantastico), la scelta è nostra. Sceglieremo di sfrecciare nello spazio, lasciandoci dietro (dopo averli riconosciuti e anche ringraziati, per la parte di crescita che hanno portato) i buchi neri delle nostre storie?

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Espulsa dalla Stazione Spaziale Internazionale

Il fatto è questo, non c’è da girarci intorno. Espulsa dalla ISS e lasciata vagare nello spazio, da sola. Abbandonata a sé stessa, proprio. Nessuna investigazione è stata condotta in merito, ma tutti sanno che a farlo è stato l’equipaggio della Stazione Spaziale Internazionale. Lei, si chiamava Suitsat-1 ed era appena una tuta spaziale della serie Orlan, non più utilizzata, riempita di vestiti vecchi e equipaggiata di una radio trasmittente, posta in orbita intorno alla Terra.

Abbandonata nello spazio… ma senza pericolo! Crediti: ISS Expedition 12 CrewNASA

La Suitstat-1 ha compiuto due interi giri intorno alla Terra (e chissà che spettacolo, se solo avesse potuto guardare), prima che il segnale radio diventasse inaspettatamente debole. Ha poi continuato a orbitare intorno al nostro pianeta ogni novanta minuti fino a che ha terminato la sua “esistenza” bruciando nel “rientro” nell’atmosfera terrestre, dopo qualche settimana.

Nell’immagine, la tuta fotografata nel 2006 appena dopo essere stata “buttata fuori” dalla Stazione Spaziale.

Certo, non un vero esperimento scientifico ma poco più di un gioco, se vogliamo. Eppure in questo c’è tutta la grandezza umana, nel prendere confidenza e nel permettersi di giocare anche nell’immensità dello spazio. Vuol dire anche, piano piano, farci casa in questo spazio, non sentirlo più così ostile come nei tempi passati. Un mondo da conoscere e da visitare anche, con la dovuta prudenza: un mondo comunque carico di meraviglia. E non c’è meraviglia senza un po’ di voglia di giocare. Perché no, anche con una vecchia tuta spaziale.

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Prima la curiosità, poi la perseveranza

Giova ricordarlo ora: ben prima di Perseverance, c’era Curiosity a percorrere infaticabilmente gli aridi panorami di Marte, in cerca di notizie e informazioni d’interesse per noi a Terra. Da agosto del 2012 il rover continua ad inviarci preziosi dati dal pianeta rosso, tanto che ha ormai superato i tremila giorni marziani di operazione.

Panorama a 360° di un giorno marziano. Credit: NASA/JPL-Caltech – ProcessingElisabetta Bonora & Marco Faccin / aliveuniverse.today

Questa è una bella panoramica a 360° ottenuta da un mosaico di ben 149 immagini acquisite dallo strumento Mastcam che si trova sulla “schiena” di Curiosity. Tutte le immagini sono state prese nel giorno marziano 3048, contati appunto dall’arrivo sul pianeta. In particolare, ci sono 23 scatti delle formazioni nuvolose nel cielo marziano, che appaiono anche a prima vista piuttosto differenti da quanto siamo abituati a vedere nel nostro cielo. Sullo sfondo, troneggiano imperturbabili le formazioni montuose di Mont Mercou e Mount Sharp, che alcuni conoscono proprio grazie all’infaticabile opera di indagine di Curiosity.

Se ci penso, mi meraviglio ancora, di questo rover che da migliaia di giorni vive e lavora in un ambiente così desolato ed inospitale, ponendo la sua insaziabile curiosità al nostro servizio. Forse è proprio la curiosità il primo motore dell’indagine, di ogni indagine. Ciò a cui più facilmente si lega l’entusiasmo, la voglia di capire, di vedere cose nuove, aprirsi a nuovi panorami. Assaggiare la meravigliosa varietà di questo universo. Dopo potrà venire la perseveranza: certo viene, già arriva, è arrivata. Ma senza una base di curiosità ed entusiasmo, anche un po’ ingenua, tutto il resto sarebbe ostinazione.

Quando invece può essere semplicemente questo, la scoperta inesausta di una bellezza possibile. Qualcosa per cui vale la pena spendere tempo e soldi. Qualcosa che ci fa essere più vivi, qui sulla Terra.

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Parata di stelle in Laguna

Son sempre le stelle che riempiono questa meravigliosa vista all’infrarosso, che copre l’ampiezza di quattro anni luce attraverso il centro della Nebulosa Laguna. Se nella banda visibile si ammira una scena già assai piacevole, con il gas caldo che illumina l’ambiente facendolo delicatamente rifulgere, è solo nell’infrarosso che si arriva fin dentro il nucleo della regione di attiva formazione stellare. L’infrarosso infatti non viene schermato dagli strati di gas e polvere, e consente (nel caso presente) di vedere più lontano.

La Nebulosa Laguna, in infrarosso. Crediti & Licenza: NASAESAHubbleData Archive: MASTProcessing: Alexandra Nachman

Questa zona di intensa nascita di stelle, è modellata ed energizzata da un gigante come Hershel 36, la stella più luminosa che si scorge verso il centro dell’immagine. E questo è interessante. Herschel 36 in realtà non è una, ma un sistema di stelle di grande massa. La più grande è circa trenta volte il Sole e vecchia meno di un milione di anni (il Sole ne ha quattro miliardi e passa, di anni). Questa enorme stella dovrebbe vivere per circa cinque milioni di anni. Un’inezia, se confrontato con la vita residua del Sole, che si dovrebbe aggirare sui cinque miliardi di anni!

La Nebulosa Laguna (nota anche come M8) si trova a circa quattromila anni luce da noi, entro la costellazione del Sagittario. Rappresenta un altro segno importante di un Universo attivo ed esuberante, un cantiere aperto dove i sogni diventano realtà e stelle esuberanti consumano la propria vita in pochi milioni di anni, accanto ad altre più tranquille che si adagiano su una vita forse meno appariscente, ma certamente più lunga.

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La superficie di Venere

Ma se tu potessi stare su Venere, cosa vedresti? Bene, questo è ciò che vide Venera 14, un lander sovietico che (a distanza di pochi giorni dal gemello Venera 13) fu paracadutato entro l’atmosfera venusiana nel marzo del 1982.

Quel che vide, Venera 14. Crediti: Soviet Planetary Exploration ProgramVenera 14;
Processing & CopyrightDonald Mitchell & Michael Carroll (riprodotta con il permesso)

Il panorama risulta piuttosto desolato: mostra diverse grandi rocce piatte, vasto terreno vuoto e un cielo grigio, sopra la regione Phoebe, nei pressi dell’equatore del pianeta. Nondimeno è interessantissimo a mio avviso, ed è anche chiaramente differente da quello marziano, a cui ormai siamo più abituati.

In basso a sinistra si vede la sonda di perforazione della navicella, utilizzata per effettuare misurazioni scientifiche, più a destra una macchiolina chiara è semplicemente un copriobiettivo espulso.

Venera 14 è stata eroica. Per un’ora ha resistito a temperatura superiori ai 450 gradi Celsius, e pressioni 75 volte quelle terrestri. La durata progettata era di 32 minuti, ma è stata quasi raddoppiata. Per quanto i suoi dati siano stati trasmessi a Terra quasi quarant’anni fa, l’elaborazione digitale continua ancora oggi, avvalendosi delle nuove tecnologie, per estrarre ogni minimo scampolo di informazione acchiappato da questa preziosissima sonda.

Non c’è solo Marte, dopotutto. Questo è il bello, c’è una varietà incredibile che ci aspetta, là fuori. Serve dedizione e pazienza per arrivare a vedere questi panorami. Ci vuole capacità di sognare prima di tutto, e poi dare forza e valore al sogno, costruendoci sopra giorno per giorno. Ci vuole ardimento e fatica, per far fiorire un sogno. Ma ne vale la pena.

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Astronomia e pandemia

Diciamocelo chiaro. Siamo tutti un po’ stufi. Almeno, io lo sono. Non vuol dire che non capiamo la ragione di quello che avviene, la motivazione di certe restrizione della libertà personale, per carità. Ma è che siamo stufi. Questo penso ci possa stare. Stufi. E abbiamo necessità di capire di nuovo, se quello che stiamo facendo ha senso. Se ha un senso proprio adesso. Altrimenti, è inutile far finta, c’è qualcosa da cambiare.

Una suggestiva vista dall’interno della cupola dell’Infrared Telescope Facility della NASA, situato alle Hawaii. Crediti: UH/IfA

Per me (forse un poco anche per chi legge queste pagine), la domanda è ha senso parlare di astronomia, adesso? Vorrei raccontarvi – in poco – perché a mio avviso la risposta è affermativa.

Direte voi, ma che mi interessa del cosmo, adesso che non posso uscire nemmeno di casa? Ecco, forse mi interessa proprio adesso. Forse ora che sono incastrato in un gioco al ribasso nelle coordinate spaziali (confinato nell’esistere in un ambiente ristretto), forse proprio ora ho bisogno di sapere che esiste un altro ordine di cose, un ordine di cose che spazia verso l’illimitato, l’infinito. Se i miei segnali e stimoli corporei sono depressi in un intervallo molto definito, evacuato spesso di sorprese, ho bisogno almeno di sapere che ci sono segnali che mi arrivano ora, da Marte come dai più lontani quasar. Segnali di qualcosa che non conosco e che mi può sorprendere, sempre.

L’astronomia è tutto questo (ed altro). Ci proietta innanzitutto in un campo grande. Ci ricorda che il gioco è sempre molto più esteso di quanto pensiamo. Pensare in grande, insomma, senza credersi chissà che. Perché è altro che è grande, ed è fatto in modo che noi possiamo parteciparne. Dunque, questo temporaneo isolamento non è la realtà, la realtà è un cielo grandissimo che è un teatro – questo sì, sempre aperto – di rutilanti novità e di incredibili avvenimenti.

Sapere che in questa epoca plastificata e protetta, di sintetiche distanze e solitarie disinfettate esistenze, c’è un mondo infettato di vita e di esuberanza, ci fa molto bene. Di questa realtà ci fa molto bene parlare. Ci fa assai bene anche guardare il cielo, la notte, e sognare. Fa bene ai grandi e ai piccoli. Molto bene ai piccoli, ché proprio il cielo è qualcosa che contribuisce alla crescita armonica, a tenere tutto insieme, compresa la speranza ardente, così facile ad essere abbandonata dai più grandi. Così preziosa che vale la pena fare la fatica di riprenderla. Sempre e comunque.

Perché l’universo è qui dietro, e in qualche modo (che a volte non sappiamo, ma avvertiamo) vuole entrare in dialogo con noi. E ci aspetta, sempre.

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Riflessioni da un (enorme) buco nero

Questa immagine che unisce dati in banda X (blu e verde) ed in banda ottica (rosso) di una galassia “attiva”, chiamata NGC 1068, mostra del vento ad alta velocità che scappa dalle vicinanze di un buco nero di grande massa.

L’unica economia qui (NGC 1068) è quella dell’abbondanza…
Crediti: X-ray: NASA/CXC/MIT/UCSB/P.Ogle et al.; Optical: NASA/STScI/A.Capetti et al.

Si pensa che la forma allungata di questa nuvola di gas sia dovuta alla presenza di un “toro”, una struttura a forma di ciambella, di gas freddo e polvere che circonda il buco nero. Questo struttura, da sola, avrebbe una massa circa cinque milioni di volte superiore a quella del Sole. Inoltre, osservazioni in banda radio ci dicono che questo toro si estende da pochi anni luce dal buco nero, fino a circa 300 anni luce di distanza.

I buchi neri super massivi sono una delle cose più misteriose ed eclatanti della nuova astronomia. Ormai ritenuti presenti in quasi tutte le grandi galassie (compresa la nostra) hanno una massa che può arrivare a miliardi di volte quella del Sole. La loro formazione non è stellare come per i buchi neri di piccola massa, ma è legata ai meccanismi di formazione delle galassie stesse.

Nel nostro framework, dove cerchiamo di capire cosa ci dice la nuova visione del cosmo, casi come questi rappresentano dei momenti in cui l’universo si gioca alla grande, per mostrarci come la magnificenza e l’abbondanza che può “mettere in campo” sono virtualmente illimitate.

C’è una bellezza che si può dispiegare senza limiti, proprio dove ogni considerazione dell’economia classica – bilanciamenti o calcoli di risorse, logica spicciola del dare e avere – è lasciata indietro, l’economia tradizionale è abbattuta di schianto, c’è abbondanza per tutti e in questo, forse, c’è anche un insegnamento che possiamo ricevere, ed incorporare di più nelle nostre vite.

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Un’aquila in infrarosso

Ci sono stelle che nascono, nella Nebulosa Aquila. Per la precisione, si creano delle gigantesche colonne di denso gas e polvere, dove si formano più facilmente nuove stelle, la cui intensa radiazioni spinge il materiale circostante, modellando queste meravigliose sculture cosmiche.

Sculture cosmiche, trame di autentica meraviglia.
Crediti: NASAESAHubbleHLAProcessing: Luis Romero

Questa immagine è presa con il Telescopio Spaziale Hubble in luce infrarossa, il che ci permette di vedere attraverso il fitto strato di polvere che rende queste zone di fresca formazione stellare, decisamente opache in luce visibile. E l’infrarosso schiude tutta la meraviglia, indubbiamente.

Queste strutture si estendono per diversi anni luce (ricordo di passaggio che un anno luce è quasi 9500 miliardi di chilometri, già da sé), e vengono chiamate Pilastri della Creazione proprio per l’effetto che fece una foto di Hubble del 1995. La foto è giustamente famosa (ed è stata eseguita ancora nel 2015), ma in infrarosso è probabilmente anche meglio.

Guardandola, si capisce molto bene che questo universo nel quale ci troviamo a vivere, è tutt’altro che spento e freddo. Invece, è un luogo dove accadono cose. Potremmo dire, un campo di eventi, in contatto costante con la Terra. E la bellezza che ci tocca, ci scalda il cuore, ammirando immagini come questa, non può essere casuale. Deve esserci, mi dico, una eco di una corrispondenza profonda tra noi e questo meraviglioso cielo.

Siamo fatti di materia stellare, si racconta: ed è (tecnicamente parlando) verissimo. E chissà, per questo o altro, le stelle in qualche modo ci parlano. Ci sussurrano ancora oggi – perfino in questo tempo duro, difficile – qualcosa di bello sulla nostra vita, e su quella degli altri. Ascoltiamole.

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