Blog di Marco Castellani

Sanremo 2021 (la musica muore)

Come molti, anche io mi sono messo ad ascoltare i brani di Sanremo. Ma non quello di adesso, no. Quello del 1999 (la versione breve del post, qui).

Ho provato sì, a sentire qualcosa di quello dell’anno in corso (tanto per restare sull’attualità), ma non mi ha preso niente, non ho avuto un solo sussulto. Sai quei sussulti che ti accadono davanti ad una sorpresa bella? Quelli, insomma. Niente. Se escludiamo momenti fuori gara, come Samuele Bersani che interpreta con (tal) Willy Peyote un capolavoro come Giudizi Universali. Che atroce distanza tra questo e le sciape canzoncine semiparlate che hanno inondato le nostre case! Dov’è il sapore? Dov’è fuggito? Dov’è il profumo? E la parola chiave, è rosmarino, avverte Lucio Battisti in un brano favoloso (questo sì) come Però il rinoceronte. Rinunciare al rosmarino non mai è senza conseguenze. Mai.

Il vero punto alla fine è questo, il rosmarino…

Non è che io sia contento di questo, anzi penso che sto invecchiando, che sono preda della sindrome dei bei tempi andati o cose del genere. Oppure che segretamente mi ritengo superiore e custode di chissà quale suprema verità musicale (pensiero francamente difficile da gestire).

Sono andato su Wikipedia per capire se fossi stato assalito da un sussulto di elitarismo, per cui le canzoni di Sanremo non sono vera musica, e tutte queste cose qui. E ho scoperto l’acqua calda, ovvero che in Sanremo sono passate anche canzoni molto belle, e a volte hanno perfino guadagnato i primi posti. Mi sono fermato sul festival del 1999 perché è uno di quelli in cui mi sento più a casa. Dove la mia sensazione di cose belle si incontra con una classifica oggettiva, matematica.

Cioè, niente da dire sui Maneskin (mai sentiti prima di adesso, comunque), non c’è molto da dire in effetti. Del resto, questa finta trasgressione molto patinata e commerciale, si commenta un po’ da sola. Ragazzi miei, la vera trasgressione è artistica, da quello poi segue tutto. Qui, dove la trovo? Se ti attesti sulla forma canzone più standard e non la forzi nemmeno un attimo, non so, un colpetto di batteria fuori da quando l’aspetto, un silenzio appena più lungo, una ripresa lievemente diversa dopo il ritornello, insomma qualcosa almeno piccolo, che metta anche minimamente in discussione l’assetto. Nulla di questo. Nada. Se stai così, non serve dimenarti tanto, impiegare qualche parolaccia (che non scandalizza più neanche il mio cane), sei comunque pienamente nel sistema. Si evade prima di tutto con l’arte, che ti mette in contatto con i tuoi sogni e ti dice che possono essere reali, che esiste ciò di cui è fatto il tuo cuore e questa è la cosa che fa più paura ad ogni potere, perché rischia di svegliarti dall’anestesia mediatica in cui sei immerso.

A mio avviso, è molto più rivoluzionario cantare A Beethoven e Sinatra preferisco l’insalata / a Vivaldi l’uva passa che mi dà più calorie come fa il grande Franco Battiato in Bandiera Bianca (di una attualità sconcertante, solo a ripensare questi giorni di Festival) che ripetere Sono fuori di testa, ma diverso da loro / E tu sei fuori di testa, ma diversa da loro.

Show, don’t tell dicono, per essere un bravo scrittore. La diversità va mostrata, non raccontata. Allora trovare l’insalata e l’uva passa in un verso che parla di musica (classica e popolare) ti può colpire, smuovere qualcosa. Aprire una linea di pensiero, di riflessione. Il resto, purtroppo no. Il resto è già assimilato dal sistema, è tranquillo, tanto più tranquillo e inoffensivo quanto si pretende rivoluzionario. Certo, potreste dirmi, ora vuoi vedere la rivoluzione a Sanremo? No, non voglio la rivoluzione. Cerco la bellezza, poi il resto viene. Se c’è quella, tutto il resto viene, a tempo debito. Verrà, di sicuro.

Chissà se vent’anni fa ero più facile alla sorpresa, o c’è qualcosa di condivisibile nel mio tornare all’ultimo festival dell’altro millennio. Comunque, fatemi dire. Podio assolutamente fantastico. Prima, Anna Oxa con Senza Pietà. Bel brano, testo interessante dove il tema della conquista viene fatto continuamente oscillare tra il registro amoroso e quello militare, con sapide analogie, divertenti da scoprire. ‌Le mie mani, le tue mani in questa battaglia / È un agguato a tradimento in questa boscaglia. Poi la voce di Anna su tutto, i suoi mille registri tra l’espressivo più graffiante e il flautato più setoso, veramente pazzesco. Bella la musica, mi colpisce ancora oggi. L’entrata dei cori è sempre una delizia qui.

Seconda Antonella Ruggero, il suo Non ti dimentico (Se non ci fossero le nuvole) è delicato ed espressivo insieme. E che dire, un’altra bellissima voce, dalle capacità assolutamente stratosferiche, come sappiamo: ascoltatela in Elettroshock nei Mattia Bazar, tanto per capire.

Terza Mariella Nava con Così è la vita. Un brano favoloso, fantastico nel testo e nella melodia, un incedere incalzante e densissimo di delicata poesia e di sincerità accorata. Altissima e precisa. Lancinante nella scelta precisa delle parole e nell’apertura armonica così mediterranea e implacabile. Altro che raccontare, altro che finto rap, qui si vola, e si volta alto!

Questi i primi tre insomma. Nel 1999. Tre grandi donne con tre proposte piene, succose, profumate (anche di rosmarino, sì). Qui io mi trovo, qui ci faccio casa, mi sistemo. Ascolto e riascolto. Musica popolare, va bene. Ma la bellezza c’è, la trovo, la tocco (anzi, è lei che mi tocca). Sono lieto, mi muovo tra queste note, queste parole. Davvero, sono a casa. Che bella la musica, e la musica italiana, che bella che è!

Però, se perfino uno come Ernesto Assante, che ho ascoltato in memorabili lezioni sui Beatles e sui Pink Floyd (e lì qualcosa di rivoluzionario c’è, sissignori), scrive che stavolta ha vinto la musica, inizio a sentirmi un poi un extraterrestre, in questo mio problema con il Festival di quest’anno. Io la musica non l’ho sentita tanto tanto, magari riascoltando forse ammorbidisco il giudizio, non so.

Mi ritorna in mente sempre il già citato brano di Battiato, che conclude significativamente così la sua implacabile analisi della società attuale, e sommersi soprattutto, da immondizie musicali. E penso anche all’altro pezzo mirabile, La musica muore, sempre del grande maestro siciliano. Lì in realtà si parla di altro, della fine ingloriosa del tempo in cui si pensava che la musica potesse cambiare il mondo. Ma forse no, non si parla d’altro. Il tema è questo, alla fine.

Sospendo il giudizio, anche scagliarsi contro il Sanremo dell’anno non è poi uno sport molto appagante. Ma nel segreto, mi riascolto Anna Oxa, Antonella Ruggero e Mariella Nava. E gioisco.

Così è la vita, del resto.

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4 Comments

  1. Hai ragione Pasqualino. Scrollarci di dosso il nichilismo, così favorito dagli strumenti mediatici attuali, è poi un lavoro di ogni giorno, di ogni mattino. Difficile ma interessante, importante. Anche il Rock ci può aiutare in questo. Ma quello vero.

  2. Sì Gloria, grazie davvero. Hai ragione, il Rock non è morto, non può morire, dà voce all'irrequietezza del cuore, alla sua sete di infinito e al suo voler andare "oltre" ogni scenario troppo tranquillo o troppo asservito al potere di turno. Perfino negli eccessi per cui a volte viene citato, ci parla di un cuore umano che non si accontenta, non si assoggetta, non vuole una vita "di plastica" ma vuole vivere, vivere, vivere davvero. Vivere pienamente il reale, per dirla con don Giussani. Ma è tanto più trasgressivo, come scrivevo, tanto più intercetta l'arte: allora sì che non può morire, sì che rischia di svegliarci, sì che ci libera, almeno un istante, e ci mette nel cuore l'idea che c'è qualcosa nel cuore, che non muore…

  3. Nel tempo in cui le parole sono vuote anche la parola "rivoluzione" si trova a star bene sul palcoscenico piú conformista d'Italia. Questi ragazzi non hanno cantato nulla di diverso da "Io tu e le rose" e il Rock non é morto, solo che bazzica sempre nei bassifondi dell'anima, é questo che lo rende rivoluzionario davvero, non perché fa rumore e si veste strano.

  4. Sono d' accordo su molte cose che hai descritto. La rivoluzione delle modalità di espressione dei consensi riflette il cambiamento globale e tecnologico che vuole designare il partito politico o il suo leader attraverso una piattaforma. Così con un voto espresso in preferenza sulle piattaforme social, o meglio grazie a influencer di influencer, definiamo il vincitore di un Festival.
    Il risultato è questo :
    Quello di dare credito ed autorevolezza ad un esito come dare credito ad una tornata elettorale. E se assistiamo a critiche che sostengono ed appoggiamo il risultato non ci dobbiamo meravigliare. Lo abbiamo visto fare anche da illustri personaggi della cultura che hanno dichiarato espressamente che la speranza non esiste, incoraggiando il pensiero nichilistico (Galimberti).
    Tutto ciò quindi è figlio dei nostri tempi che ci chiedono il mantenimento di un pensiero sempre nuovo e rigenerante.

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