Fa bello iniziare con una citazione latina, anche se l’ho (ri)scoperta adesso: “il popolo due sole cose ansiosamente desidera, pane e giochi circensi” annota assai acutamente il poeta latino Giovenale. E questo direi che c’entra con il Green Pass. Eccome se c’entra.

Perché leggo da molte parti (con il solito bias che fanno molto più rumore quelli che sono in disaccordo con qualcosa, ovviamente) che tale Green Pass sia una operazione sostanzialmente liberticida, imposta dal Governo sopra le nostre libertà costituzionali e via così (sapete già la storia).

Ora qui non vorrei indulgere in torti e ragioni, non vorrei nemmeno impelagarmi in temi “alti” come le connessioni della libertà individuale con il senso del bene comune – se poi sia veramente il bene – e simili narrazioni. Anche perché sono ampiamente dibattute sulla Grande Rete, con tanto di autorevoli prese di posizione.

Qui, voglio semplicemente fermarmi ad una domanda. Anche questa la prendo dai latini, sempre per fare bella figura. Cui prodest? A chi giova tutto questo? Chi ha l’ansia di limitare le nostre libertà fondamentali, e che ne ricava facendolo?

L’accesso regolamentato al caffè, sarebbe il problema? O c’è altro? 

Adottiamo questo modello, per assurdo. Facciamo un esperimento scientifico (è il mio mestiere, dopotutto). Un esperimento mentale, magari. Dovremmo dire, sempre per essere raffinati (stavolta passando al tedesco) un gedankenexperiment. Ma fa niente, ci siamo capiti.

E allora insistiamo, a chi giova? Facciamo il caso che io faccia parte di questo complotto orientato a limitare in modo intollerabile le libertà personali, in modo da esercitare un controllo ferreo su quello che accade. Bene (per dire). Ma sarebbe veramente furbo da parte mia, introdurre misure per evitare che la gente se ne vada tranquilla al ristorante? O sarebbe un clamoroso autogol per fare innervosire le persone, senza averne un ritorno consistente? Eh già, perché che ritorno ne ho?

A me conviene ben altro, questa è la verità.

A me conviene che le persone si credano libere semplicemente perché possono scegliere in che ristorante andare, che quotidiano comprare (per avere quasi sempre la stessa narrazione, con sfumature minime), anche libere di fare un viaggio, pur con mille cautele. Ma sì, che si sentano libere di scegliere uno dei mille canali televisivi, splendidamente uguali in fondo (cantavano i Pink Floyd negli anni ’80, I’ve got thirteen channels of shit on the T.V. to choose from, fotografando una situazione che sarebbe solo diventata più estrema con il tempo e l’avanzare della tecnologia) inondati tanto dalla stessa pubblicità assidua e rinormalizzante (che ti ricentra opportunamente e continuamente sullo stesso sistema neoliberista di “valori”, occultando convenientemente ogni altro punto di vista). Se io voglio dominare, attraverso la persuasione continua dell’impero della pubblicità (l’unica cosa che non si è fermata mai durante il COVID) devo insinuare la convinzione che non ci sia alternativa, che ci sia solo un modo di vivere, ed è questo del sistema finanziario capitalistico globale. Che un diverso sistema di valori, in cui l’economia non è la divinità a cui prostrarsi, sia possibile e sia soprattutto più autenticamente umano.

Davanti a tutto questo, come cantava Battiato, ci vuole un’altra vita. Appunto.

Se io dunque ho questo piano, di dominio sulle coscienze per asservirle allo schema neoliberista (in sostanza), in modo che siano facilmente pilotatili e non diano grossi fastidi, non mi conviene certo fare arrabbiare le persone con il Green Pass. Limitare i loro spostamenti non mi porta alcun vantaggio, anzi. Che si credano liberi spostandosi pure dove meglio credono! Che prendano pure questa libertà chilometrica come il vero essere liberi. Ogni sistema di dominio infatti opera prima di tutto una ridefinizione delle parole, e qui un concetto profondo e complesso come libertà diventa quella patinata pubblicitaria di libertà di comprare e fare quel che vuoi. Pane e giochi circensi insomma: e che non si occupino troppo della cosa politica, la lascino ad altri, la lascino a me. Ci penso io a loro, si fidino. Czeslaw Milosz l’aveva detto bene: «Pensi a bere il caffè e a dare la caccia alle farfalle. Chi ama la res publica avrà la mano mozzata».

Per cui, figurati se ti blocco se vuoi andare a bere un caffè. Anzi, se ti blocco (e non mi conviene) vuol dire proprio che lo faccio perché c’è qualcosa di molto serio, c’è una emergenza a cui devo comunque provvedere, se non sono del tutto privo di scrupoli.

Il pericolo non è il Green Pass. Quello può essere una soluzione più o meno adeguata, più o meno pratica, giustificata dall’emergenza sanitaria, si può discutere.

Ma parlare di dittatura sanitaria a mio avviso è esagerato, è parlare (quindi) per perdere tempo, o per acquisire consenso in una delle tante bolle di Internet. Il pericolo vero è quando la voce di chi ti governa assume toni paternalistici (come è accaduto nei precedenti governi) e falsamente rassicurante. Tipo ci pensiamo noi, vai tranquillo. E’ il governo che si impiccia se il tuo sia più o meno un affetto stabile, che blocca i runner che corrono da soli (tanto per far capire che ti controlla) e chiude un occhio sugli affollamenti al centro di Roma (ben più difficili da gestire anche se ben più pericolose). E’ il governo delle conferenze stampa che partono in ritardo e arrivano a reti inevitabilmente unificate, e tutti a pendere dalle labbra del Presidente del Consiglio, per capire cosa ci permetterà di fare stavolta.

Quello è il vero pericolo, e non molti se ne sono accorti. Il vero pericolo erano certi messaggi paternalistici di prima, non il messaggio (indubbiamente molto duro) di Draghi in conferenza stampa, L’appello a non vaccinarsi è un appello a morire, sostanzialmente. Non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure fai morire Un messaggio destinato anche a ripristinare chiarezza politica, certo. Con un tono perentorio, che non ammicca, non incoraggia derive dubbie, ti riporta secco alla situazione reale (se uno si fida ancora del parere degli scienziati).

Ma gridare al complotto contro la democrazia non è un esercizio di stile che non ha conseguenze, non è un passatempo a costo zero. C’è chi ci può guadagnare. E molto.

Il pericolo infatti è anche che questa levata di scudi ideologica alzi una grande nebbia e sposti le cose sui massimi sistemi (cosa che piace molto in Italia purtroppo), mancando il bersaglio più ragionevole e giusto. Che sarebbe quello di avviare – questi sì – un ragionamento puntuale su come è stata gestita la crisi pandemica fino ad ora, e se davvero c’è chi si è arricchito indebitamente lucrando su questa terribile sofferenza comune. Penso per esempio agli scandali dei banchi a rotelle, dei ventilatori cinesi, delle mascherine senza certificazione e altre cose su cui – mi pare – solo Italia Viva ad Azione, praticamente nel silenzio incredibile degli altri, chiedono chiarezza in modo salubremente ostinato.

Questo è realmente gravissimo, ma a questo quasi nessuno pensa. Ma certo: appare molto più intrigante discutere di libertà violate e magari rispolverare dal fondo di un cassetto quella Costituzione che subito dopo il referendum “di Renzi” era diventata di nuovo, per molti, un libro prestigioso da avere, ma non certo utile per leggervi dentro (che ci leggo a fare, se non devo polemizzare contro nessuno su Facebook?).

Chi ha rubato durante il COVID, chi si è arricchito in modo illecito, intanto ringrazia.

Ma infatti. Niente di meglio di un polverone ideologico, per sfiancare le parti avverse, distraendole dalla concretezza del reale. Ma a questo punto il problema si fa personale. Ognuno di noi deve capire da che parte stare, se usare la ragione o seguire il flusso emotivo.

E non sarà la stessa cosa, nell’applicazione e negli esiti, stiamone certi.

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