Perché succede fin troppo spesso, che uno va avanti un poco alla spicciola, senza interrogarsi mai sul lungo termine. Soprattutto adesso, in prossimità di questo Natale 2021), strano ancora sotto l’aspetto della perdurante emergenza sanitaria. Si fanno tutte le cose come sempre, come probabilmente si devono fare, e ci si porta addosso quel senso di straniamento che perdura.

C’è qualcosa che non è a fuoco, qualcosa che ci assedia lateralmente, forse, che non comprendiamo appieno. Se ci giriamo a guardare direttamente, scompare. Non si fa vedere in faccia, si rintana. Però c’è.

Non so che fare, cosa farci. Capisco che forse un trucco è fare il contrario di quanto mi verrebbe spontaneo, non arrendermi a questa forza di gravità che mi fa cadere nella mancanza di visione, nella rinuncia depressa alla progettazione nel lungo termine. Punto primo, prima ipotesi di riscossa: ricominciare a parlare del futuro, ad immaginarlo, raccontarselo. In effetti raccontarsi il futuro è forse il modo più scoperto per comprendere il presente, per capire davvero come ci sentiamo adesso. Se siamo ottimisti ora, il nostro futuro sarà di un certo tipo.

In un certo senso immaginare il futuro è come proporre e proporsi una strada: una strada interpretativa ma anche creativa. Immaginare il futuro è un pochino anche questo, iniziare a crearlo.

Esattamente. In qualche modo siamo chiamati a collaborare nel crearla, questa benedetta realtà. Già lo sappiamo, che è così. Che i pensieri non sono qualcosa che inizia e rimane solo nella nostra testa, ma c’è come una arcana partecipazione ad una economia più vasta. Così, raccontarsi il futuro è anche collaborare a dargli forma, è dare senso e sostanza e confermare certe autofrequenze, a scapito di altre.

Se l’Universo è davvero fatto di storie (che sia banalmente costituito di atomi è la versione mainstream, che personalmente non mi bevo più da tempo), le storie che produciamo nella nostra immaginazione, qualche effetto ce lo dovranno pure avere. Una storia è qualcosa con infiniti recettori e dunque si collega assai facilmente alle altre storie che trova intorno, dentro e fuori di noi.

Così pensavo che il progetto Destinazione Futuro che come Gruppo Storie di INAF abbiamo appena concluso (almeno in un primo round, chissà non se ne aggiungano altri), è veramente un modo per capire che presente ci sentiamo addosso, in questo tempo realmente sfidante. Per chiederlo alle persone e sulla base delle loro libere risposte, per capirlo meglio noi stessi. Andando a scomodare anche degli esperti, parlando con loro portando con sé le risposte (ma soprattutto, gli interrogativi) della gente. E di cose interessanti ne sono venute fuori: mille possibili percorsi che varebbe la pena sviluppare ancora.

Destinazione Futuro è stato prima di tutto un luogo, per me. E non un tempo, un obiettivo. Un luogo dove ho imparato tanto. Rapporti con persone, intanto. Una ricchezza immensa. Il Gruppo Storie in sé, è un luogo, un fascio di possibilità operative. Usare la scienza non solo per fare i calcoli, perché la scienza è molto di più di un insieme di modalità tecniche per intervenire sulla realtà fisica. Usare la scienza per scavare nella propria ed altrui umanità, cercando di porre in luce le perle che si trovano. Per realizzare – sempre e di nuovo – che vi sono universi in esplosione, in espansione, anche dentro una frase, due parole inviate in un questionario. Innumerevoli mondo che si incrociano e si ibridano costantemente: che poi ognuno di noi è già un mondo, un universo. Qui siamo in uno incontro continuo di universi, molteplici infinità cosmiche che espongono a vicenda le proprie terminazioni più periferiche, per ricercare un senso nell’intesa e nell’intreccio con altri, con l’altro da sé.

Per me è stata un’avventura l’ingresso nel Gruppo Storie, l’inizio del lavoro comune: una delle avventure più significative di questo ultimo periodo. Un laboratorio affascinante che mi ha restituito il senso di fare qualcosa di cuore. Andando a fondo nel senso di aridità che a volte sentivo nel mio vecchio modo di fare lo scienziato. Prendendolo sul serio, questo disagio, e finalmente vedere cosa mi voleva dire. Quale sentiero nuovo mi invitava ad imboccare. Nella timida speranza (a volte, la delicata e preziosa confidenza), di fare qualcosa di utile, di utile alla gente, alle persone vere, agli universi che incontriamo e che tante volte guardiamo in modo distratto, sbadato, penosamente periferico.

Destinazione Futuro è stato un regalo. Coordinarlo ha significato poter lavorare con persone fantastiche, diverse da me per carattere e temperamento ma affini in alcune cose importanti, poche grandi cose. E portarlo fino alla chiusura di pochi giorni fa. In fondo è stata tutta una sorpresa. L’Universo ha sorprese preparate per ognuno di noi, credo. Facile scordarsi, io sono il primo a farlo. Prontissimo a lamentarmi invece di guardare, a lagnarmi invece di spalancare gli occhi e quasi trattenere il fiato, in attesa. Insomma non sono capace, per parte mia non combinerei nulla, non farei accadere nulla.

Meno male che poi avvengono comunque, queste sorprese. Ti spiazzano con allegria, sorridono delle tue incapacità. Ti buttano in gioco lo stesso.

Grazie al cielo.

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