I poeti sono così. Possono dire stupidaggini dieci anni di fila e poi (o prima) uscire con due versi folgoranti. E l’Universo si ferma, trattiene un attimo il fiato. Fa spazio.

Francesco De Gregori è un poeta. C’è poco da fare. Sostenere il contrario sarebbe perdere tempo.

Già misurarsi con canzoni sotto i tre minuti (come sopra i cinque) non è cosa da poco, non è cosa per tutti. Per dire, devi chiamarti Stephen Still e allora fai 4+20 e rimane una perla. Punto.

Non c’è da aggiungere un secondo in più, inserire una o due note oltre queste. Perfetta così. In due minuti e pochi secondi inietti un contenuto artistico e comunichi emozioni, come altri non riescono in un disco doppio (come si sarebbe detto una volta, che appunto esistevano i dischi singoli e i dischi doppi e non esisteva Spotify).

De Gregori alla fine degli anni settanta mette questo piccolo pezzo, Babbo in prigione, dentro il celeberrimo long playing che porta il suo cognome e contiene la assai più famosa (stracantata in tutte le gite scolastiche per i successivi venti anni) Generale. Bella canzone, ma in qualche modo più ordinaria, più tranquilla. Strofa, ritornello, strofa. Giro di accordi. Tutto a posto, tutto normale.

Ma quest’altra è una vera delizia. Evade felicemente dal dover alternare strofe e ritornelli, tutto in favore della purezza del raccontare. In qualche modo gravita in ambito astronomico. Parte infatti dalla Luna. Un incipit insieme sobrio e stupendo

Stella guarda la luna, la luna guarda Stella

dove la prima parte ti sembra normale, ma incastrata con la apparente assurdità della seconda, il tutto acquista un sapore nuovo.

E arriva con l’intuizione poetica a dire quello che non osiamo mai dire, ma che ci corrisponderebbe tanto. Il rapporto con il cielo è come ogni rapporto, è uno scambio biunivoco, tu guardi ma anche sei guardato.

Lascia da parte un momento il ragionamento, la Luna è un satellite naturale eccetera: se allenti la parte razionale un attimo, come fa la poesia (che non rigetta nessun legame con questa parte, ma misteriosamente e magicamente allenta, e l’Universo improvvisamente si allarga), allora capisci veramente, tutto torna a posto. Al suo vero posto. La visione poetica, facci caso, è più lucida, più limpida di quella ordinaria. Sembra vada più a fondo, nelle cose che guarda.

Francesco parte dal rapporto con il cielo e in due frasi descrive una storia. Come riesce a fare un vero poeta, qui il non detto è assai più ampio di quanto viene descritto, ma le due pennellate di parole chiariscono tutto ugualmente.

Un mondo si apre ai nostri occhi, anzi un universo, appunto. Stella, la mamma. I loro sentimenti, quello che hanno nel cuore e nemmeno osano dirlo. Affidano tutto alla notte profumata e non c’è giusto o sbagliato, bene o male da dire o da valutare. Se Stella è contenta addirittura, che babbo non sia a casa (e solo il titolo chiarisce dove sia realmente), la mamma non dice, ma soltanto canta piano, mentre è addentro alle faccende più ordinarie.

Sotto questa Luna, questa Luna che le guarda, non sono sole.

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