L’immagine della Grande Macchia è straordinaria, perché acquisita dalla sonda Voyager 1. Una delle prime sonde a darci informazioni sui grandi pianeti esterni del Sistema Solare.

Crediti: NASA/JPL
Voyager 1, lanciata nel 1977, inizia a fotografare Giove nel gennaio del 1979. Le immagini sono (appunto) formidabili, per l’epoca. Il progresso nella conoscenza di Giove che ne consegue, è enorme.
Più rilevante ancora, però, è l’avventura in cui ora le sonde Voyager (esiste infatti una gemella Voyager 2) sono coinvolte. Contro ogni previsione, stanno continuando il loro viaggio – che ormai dura da più di 40 anni – e sono attualmente più lontane da Terra e dal Sole perfino di Plutone. Sono realmente nello spazio interstellare, fuori dal Sistema Solare. Entrambe le sonde viaggiano ora a più di diciannove miliardi di chilometri dal Sole.
Stanno attraversando una regione che sicuramente non verrà più visitata per moltissimo tempo: non conta infatti quali e quanti saranno i progressi tecnologici e scientifici, già il solo tempo per riuscire a spedire un oggetto qualsiasi così lontano, lo possiamo valutare in molte decine di anni.
Moltissimi strumenti delle Voyager sono inattivi o spenti. Ma non tutti. E l’idea che riceviamo dati scientifici da una regione così remota, che la sonda – tecnologia anni settanta – ancora riesce a registrare dati e inviarli alla lontanissima Terra, ogni volta che ci penso, mi riempie di meraviglia.
Rischio la retorica, se dico che la cura contro i venti di guerra che periodicamente tornano a spazzare il nostro povero pianeta, consiste anche nel tornare a meravigliarsi per queste cose? Per ciò che è sopra la nostra testa e sorpassa enormemente i nostri piccoli giochi di cortile? Proprio la Voyager 1 ci ricorda che siamo su un piccolo, prezioso e fragile puntino blu.
Cerchiamo davvero, di non scordarcelo ancora.
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