C’è qualcosa che è diventato insostenibile, in questo prolungato tempo di Covid. La polarizzazione di pareri ed opinioni ci spinge sempre di più a radicalizzarci, in quella che sembra diventata (solo) una guerra tra bande. Più passa il tempo, tra dati di ricoverati, ammalati, decessi, più questo fenomeno mi pare che aumenti. Un passatempo universale, la vera distrazione di massa. Per questo, insostenibile.

Tanto che non conta più chi sei, in ultima analisi. Conta soltanto da che parte stai. Tu che mi vieni vicino, che mi parli. Tu, che incontro in caffetteria sul luogo di lavoro, al bar, in un negozio. Tu che sei altro da me. Che puoi dunque veicolare il nuovo, farti ambasciatrice, ambasciatore di quello che io non mi aspetto. Tu, che sei tutto questo (e molto altro, teoricamente lo sappiamo). Ebbene, all’atto pratico, non mi importa tanto di te, mi importa capire subito (senza perdere tempo) in che squadra militi.

Sì, perché così è meno complicato. Ti riduco a un pro o a un contro. Così mi risparmio tutta la fatica di comprenderti, di mettere un occhio dentro al tuo mondo, di sospendere un momento il giudizio per entrare nelle tue scarpe. Evito accuratamente di dispormi al contatto con un sistema di valori che non è il mio, non è quello a cui sono abituato, non è quello che riempie il mio incessante chiacchiericcio interiore, quella stazione radio nella testa che trasmette senza sosta. Scappo da ogni possibile contagio con i tuoi umori, mi mantengo disinfettato da ogni vero contatto umano. Ti riduco ad una informazione binaria, bianco o nero. Si fa prima, occupa meno spazio di archiviazione, richiede meno risorse umane. Ci si impegna poco, ci si tocca pochissimo. L’isolamento, è salvo.

Dunque, se mi concentro su cosa ne pensi, diventa tutto istantaneamente comodo: ho materia per far passare il tempo, seguendo percorsi di gratificazione mentale ormai ben collaudati. Se la pensi come me, sui vaccini, sul Green Pass, sul COVID eccetera, ecco che posso entrare in risonanza, posso dirmi bene, un altro che la vede come la vedo io, nell’unico modo ragionevole, del resto e rinforzare la mia opinione, il mio punto di vista sulle cose e sulla vita. Se la pensi diversamente, invece, ancora meglio: allora posso ingaggiare una contesa dialettica, sfidarti a duello verbale per dimostrare (soprattutto a me stesso) quanto sono robuste le mie tesi, quanto sono preparato su contagi e tabelle epidemiologiche e direttive AIFA ed EMA, su incongruenze o incompletezze di pubblici database sulla pubblica salute, su ragionevolezza o meno di direttive del governo, su vizi e virtù del comitato scientifico. Una facile occasione di dibattito in più, in caso mi fossi stancato di quelle che si trovano, già a buon prezzo, dentro tutti i social.

Così facendo, mi sono risparmiato il problema (a molte variabili) di relazionarmi con un essere umano, di mostrare a mia volta una reazione umana. E ho schivato ogni tentazione di pensiero complesso, ripetendo l’ennesima volta la mia versione delle cose, offrendo la solita minestra riscaldata. In tutto questo capisco che il grande assente, è l’urgenza della verità. Preferisco la dialettica ad oltranza, difendere la mia tesi con le unghie e con i denti. Tesi che ho assorbito a mia volta dal giornale che leggo, dall’associazione che frequento, dal soggetto politico a cui faccio riferimento.

Mi viene data la linea? Ok, tutto a posto. In questo modo evito il vuoto, che è la cosa che più mi fa paura. L’incertezza, del resto, non la so gestire, non me la posso permettere. La verità del resto è una cosa troppo complessa e sfuggente, per il mondo moderno: ci avrà pur pensato anche per me, allora io seguo la linea, che sicuramente non sbaglio. E gli altri, gli altri che dissentono sono ciechi, o sono in malafede. Si ostinano a non capire che le cose stanno così, come le penso io.

Esiste una mailing list di discussioni interna ad INAF, l’ente dove lavoro. Come esiste in mille altri casi. E come in mille altri casi (o peggio, visto che siamo scienziati), tale lista è ormai piena di disamine matte e disperatissime su contagi, considerazioni sui rischi di perdere la democrazia, strategie di vaccinazione, proiezioni e confutazioni.

Io non riesco a seguire. Alzo le mani. Se la verità è nella conoscenza, c’è un primo problema. Il tempo per assorbire e metabolizzare tutti i dati, i diversi pareri, gli articoli scientifici e non di riferimento, le autorevoli dichiarazioni e le altrettanto autorevoli confutazioni, diventa enorme. Dovrei studiare virologia a tempo pieno. E nemmeno basterebbe.

Tuttavia, quel che conosco non è abbastanza, è chiaro. Dovrei saperne molto di più. Se parlo con qualcuno che ha una opinione forte, in qualsiasi senso, mi sento comunque messo alla prova. Non ho argomenti solidi per controbattere. Ma poi, controbattere, perché? Lo confesso: sono stanco, non ne posso più. Questa milizia permanente chiede molto, ma non paga quasi nulla, alla fine.

Posso dirlo? La verità sembra perdersi dietro un mare di cifre e statistiche. Mi sembra così difficile da raggiungere che quasi diventa meno desiderabile. Ma è anche così tecnica, questa verità, che ormai mi pare poco umana: questo non mi interessa più. Eccolo, il secondo problema. Non mi interessa una verità che fa a meno delle persone, che dovrebbe esistere lì ferma e stabile, ripulita da ogni traccia di umanità. Apro qui un inciso, che meriterebbe ben altro sviluppo: nessuna verità logico-matematica mi scalda il cuore, mi rinforza l’apparato immunitario, mi fa sentire protetto e al sicuro. La Verità che desidero nei miei sogni più pazzi, è una Verità che mi abbraccia, mi vuol bene, mi sorride. Mi conosce, molto al di là di quel che credo di pensare, sui vaccini. Vabbè, chiuso l’inciso.

In ogni caso, la ricerca della verità – comunque intesa – non ha soste, è cosa di ogni momento. Si procede con il radar sempre acceso, lo si voglia o no.

Così il mio radar oggi ha intercettato la pagina del New York Encounter 2022, che inizia tra qualche giorno. E il video di presentazione, soprattutto. Incuriosito dall’immagine della persona al telescopio (qualcosa nel mio ambito, dopotutto) l’ho fatto partire, ritrovando subito quell’accento amichevole realtà, che avevo smarrito nella selva oscura delle mille e mille discussioni sanitarie di questi tempi.

Il testo mi ha risollevato, mi ha dato una prospettiva. Mi ha prospettato cioè un lavoro possibile. Senza darmi la linea, mi ha rimesso in piedi (almeno un po’). Mi ha dato speranza che l’umano, quel bene preziosissimo, non è perso per tutti. Ciò che più mi interessa, oltre le ragioni e i torti. C’è gente che tutela ancora il cuore umano, lo difende dalla retorica cerebrale e dispersiva. Lo mette in relazione alle stelle. Ecco, io voglio essere amico di questa gente, voglio star loro sui piedi, voglio disturbarli a casa, al telefono alle ore più improvabili, voglio tampinarli su Facebook e su Twitter.

Eccolo dunque il testo della presentazione, tradotto qui senza pretese artistiche, con l’aiuto prezioso di Lingvanex (incorporato in Vivaldi).

Una pandemia ha capovolto il mondo intero. Milioni di persone sono morte e i loro parenti e amici hanno dovuto far fronte alla sofferenza e alla morte. Nessuno potrebbe evitare, almeno per un momento, alcune domande radicali: perché dobbiamo soffrire e morire? Qual è il significato di tutto questo? Non c'è niente che io possa fare? Su cosa posso contare? 

Sentendoci a disagio, siamo passati a domande meno inquietanti: il COVID è davvero pericoloso? Sono necessarie maschere? Le vaccinazioni dovrebbero essere obbligatorie? Per molti di noi, le nostre affiliazioni politiche hanno fornito "risposte" a queste domande, invitandoci a seguire una linea di partito piuttosto che cercare la verità. 

Questa stessa dinamica, alimentato dai media e dalle comunità online di cui scegliamo di fidarci, succede sempre nella nostra vita pubblica: se le elezioni sono state giuste o rubate; se una manifestazione è stata una protesta o una rivolta; se il razzismo è sistemico; se il genere è legato al sesso biologico; se il cambiamento climatico è reale. Sembra che viviamo in mondi diversi, ognuno con le sue "verità" che spesso ci risparmiano il duro lavoro di ricerca il verità. Ma a quale prezzo? 

La realtà non ci sorprende più. Viene contorta per adattarsi alle nostre interpretazioni e il suo significato è puramente soggettivo. Il suo impatto non apre domande che ci condurrebbero in un viaggio e, dopo un po', anche gli eventi più tragici non ci fanno cambiare idea. Di conseguenza, ci sentiamo intrappolati nelle nostre certezze e impauriti dall'inaspettato. Siamo rimasti insoddisfatti, con la fastidiosa sensazione che ci stiamo perdendo. Eppure, rimane un desiderio sottile e implacabile per ciò che è vero. 

Che altro potrei dire? Come tutti, spero che questa emergenza sanitaria passi presto (ma non certo per tornare come prima, non si torna mai come prima: o c’è un mutamento, una evoluzione, o non si capisce il senso del passare del tempo). Spero che passi presto, certo. Ma prima di tutto voglio tornare a sorprendermi, ad innamorarmi, uscire dalle trappole del pensiero, dismettere gli strati di protezione ed espormi, non negare più quel desiderio sottile e implacabile per ciò che è vero.

Perché se non lavoro per sorprendermi adesso, non credo proprio che potrò sorprendermi a pandemia conclusa. Così oggi il mio grazie va agli amici del New York Encounter, per avermi fatto confrontare con il mio cuore, e con quel che più profondamente desidera.

Che non è, certamente, avere torto o ragione.

Loading


Scopri di più da Stardust

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli via e-mail.