Sì Vivaldi, ma non Antonio, il celebre musicista. Quello che con entusiasmo oserei dire dadaista Franco Battiato citò nel celebre verso nel quale gli preferiva l’uva passa. No, questa volta intendo appena parlare del browser. Quel programmino che usiamo per navigare su Internet, ovvero quel programmino interagendo con il quale passiamo ormai anche diverse ore della giornata. Quella finestra sul mondo, ora potremmo dire sull’Universo. Quella che ci consente di osservare i panorami di Marte, o vederci da lontanissimo. Quella che stai guardando ora, insomma. Un tempo si chiamava Mosaic, ed era cosa sconosciuta ai più. Ah, quanto tempo. Cioè, pochi anni che sembrano moltissimi. Del resto, si sa che il tempo è relativo, la fisica stessa ce lo dice.

Il browser Vivaldi, con il tema Library di Wellingtonkling

Ormai di tempo (qualsiasi cosa sia davvero) ne è passato un po’ da quando ho parlato di Vivaldi. Tempo passato, in parte, per esplorare meglio anche altri blasonati concorrenti. Sono infatti reduce da un periodo di utilizzo – anche entusiastico, in certi momenti – di Brave, un altro browser basato su Chrome con alcune interessanti caratteristiche: prima di tutte, quella di rimborsare gli utenti per il tempo speso sui diversi siti, con una criptovaluta apposita, il Basic Attention Token (BAT). Di più, provando a sostituire le pubblicità del web con un proprio circuito di promozioni, con delle garanzie specifiche di non tracciabilità e privacy. Ma questa faccenda (che ha pregi e difetti) potrebbe senz’altro essere argomento di un altro post.

Dirò solo che mentre io sperimentavo con Brave, questi esagitati ragazzi di Vivaldi non erano rimasti con le mani in mano o a complimentarsi tra loro per i risultati ottenuti, ma davano forma ad un browser con caratteristiche sempre più innovative, sempre più intriganti.

Complice anche il (personale) calo di entusiasmo per la faccenda delle criptovalute, mi sono accorto che questi ragazzetti avevano intanto introdotto delle features che rendevano sempre più difficile ignorare il loro prodotto. Quello che ho particolarmente apprezzato, da utilizzatore stabile di un tablet Android (il MediaPad m5 di Huawei), finora relativamente resistente ai canti di sirena del nuovo iPad mini, è stata proprio l’attenzione specifica per il (negletto) mondo dei tablet non Apple.

Annoso problema, questo. Mentre tutti o quasi li trattano come grossi telefoni in realtà sono dispositivi anche brillanti – il mio tutto sommato lo è, specialmente in rapporto al momento di uscita sul mercato – certamente meritevoli di maggiore attenzione lato software. La frase chiave che compare sul sito di Vivaldi relativo ad Android (no, al momento non esiste per iOS), è Pensato per lo schermo grande. Ottieni il massimo dal tuo tablet con Vivaldi.

Per farla breve, mi sono riaffezionato. Le ragioni per usare Vivaldi (o Brave) invece di Chrome sono svariate, e gravitano intorno alla opportunità di non appoggiarsi troppo ai giganti big tech, pur senza necessariamente demonizzarli. Furori ideologici a parte, lasciare tutta la cronologia di navigazione in mano a Google (che di noi conosce già abbastanza) non sempre mi fa contento. Ampliare e diversificare il modo in cui ci si affaccia ad Internet, non può che fare bene.

Ma non è solo questo. Sono le funzionalità. Dentro Vivaldi si trova oggi, diremmo tutto incluso, un buon client email (non perfetto ma, vedo, in via di miglioramento), un lettore di feed (sì quella cosa incredibilmente comoda che andava alla grande molti anni fa ed è poi misteriosamente quasi uscita di scena) oltre a tante altre cosette simpatiche (come una vagonata di temi intriganti).

Ultima aggiunta, qualcosa che da tempo invidiavo a Safari (l’altra che invidio è la ricerca sul testo completo dei siti in cronologia, una cosa comodissima), la lista delle cose da leggere in seguito. Spesso incontro articoli che capisco vadano letti, ma non ho tempo per leggerli sul momento. Ecco, metterli in lista e poterli recuperare facilmente, è comodissimo.

Certo, ci sono applicazione tipo Pocket o Instapaper che già lo fanno, anche bene, ma così è decisamente più semplice che ricorrere ad un servizio esterno. Poi c’è un altro fatto, invero più legato alla mia psicologia. Che se uso Pocket, cui peraltro sono abbonato, alla fine vince il mio perfezionismo sciagurato, e comincio non solo a salvare l’articolo, ma a volerci mettere i tag giusti. Poi, a pensare se i tag sono davvero giusti, poi a controllare come si vede sul sito di Pocket. Poi già che ci sono, a rimettere in ordine i salvataggi dentro Pocket. Insomma la semplicità va decisamente a farsi benedire. Mentre così, sono salvo anche dal mio perfezionismo (limitatamente a questa cosa, beninteso).

Insomma è una opzione interessante, quella di usare Vivaldi. L’idea di mettere molta cura nella progettazione del browser mi convince. Ha anche un bel nome, tutto italiano. E una pagina web con diversi contenuti nella mia lingua. Il che certamente non guasta.

Ma l’essenziale non è tanto che si usi Vivaldi (o che non lo si usi). Direi che l’essenziale è che si abbia una vera possibilità di scelta. Vedo la pluriformità di affaccio sul web come qualcosa da tutelare, come garanzia di libertà, di trasparenza, di possibilità di sperimentazione. Più l’utilizzo di risorse è distribuito e si afferisce a veri soggetti, più si tutela la diversità, lo scambio reciproco, e forse perfino (oso dirlo) la pace.

Oggi che il web è così omologato, rispetto alla frizzante inventiva degli inizi, ogni segno di diversificazione informatica non può che essere visto con grande favore. L’universo non è un posto di roba fatta in serie, è un posto di allegra e a volte confusa compresenza di cose diverse. Cerchiamo dunque, di mantenerlo tale.

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