Ed è proprio l’umanità dietro (dentro) la scienza forse il valore più bello che sento dobbiamo ancora scoprire, riscoprire, per la nostra vita. Secondo questo punto di vista ogni scoperta che facciamo nel cielo, in qualche modo, è un tassello in più dell’umanità che è in noi, una possibilità di capire meglio noi stessi.

Per questo la scienza è interessante, per questo l’astronomia – lo studio di oggetti lontanissimi, apparentemente distanti dalla nostra esperienza quotidiana – ha una sua piena dignità di esistenza, di partecipazione all’avventura umana, del conoscere e del capire.

Che poi è già tutto nella frase di Carl Gustav Jung,

La nostra psiche è costituita in armonia con la struttura dell’universo, e ciò che accade nel macrocosmo accade egualmente negli infinitesimi e più soggettivi recessi dell’anima.

Così anche la notizia della foto di un buco nero ci porta dentro l’umano, ci mostra come valori quali la coordinazione su vasta scala, la collaborazione, siano preziosi, anzi insostituibili. Ci portino a capire di più l’Universo e quindi, direi, noi stessi.

Un po’ quello che ho cercato di suggerire nell’intervista che è apparsa pochi giorni fa su Tilancio, rispondendo alle domande di Maria Frega (scrittrice, sociologa) sul valore della fotografia del buco nero galattico, di cui parlavo anche in questo blog.

Se studiare l’Universo fosse appena occuparsi di cose lontane, molto lontane da noi, alla fine – possiamo ammetterlo – ci importerebbe poco. Sarebbe un’occupazione che non avrebbe, diciamo, alcun carattere di urgenza. Invece riprendere a guardare il cielo, incuriosirci del posto dove abitiamo, studiarlo, lasciarsi interrogare, è quello che forse più ci serve, in questi travagliati periodi.

Ne sono convinto. Guardare tutti le stelle è un gesto potentissimo di pace.

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