L’universo non è (più) qualcosa di statico, se si percepisce così vuol dire che siamo noi che abbiamo bisogno di guardare meglio. L’universo era statico per gli antichi. Non è che sembrava, lo era davvero. Cioè lo era a tutti gli effetti, esistenzialmente. Era percepito così, dunque era così. Ora Paola canta di un universo che non si muove segnalando come un disagio sotterraneo. Perché l’universo che non si muove, adesso, è antistorico, è fuori dal tempo, realmente fuori dal nostro tempo.

Il bisogno di cambiare che c’è in me si rispecchia in un universo che – appunto – non si muove e chiede che inizi a muoversi oppure ritorni a muoversi. L’espansione accelerata che ci riporta la ricerca cosmologica attuale non può essere un semplice dato tecnico, da addetti ai lavori. Ci deve dire qualcosa di importante, per noi. L’universo ci ha sempre detto qualcosa di importante, a volerlo ascoltare.

Le immagini di movimento poi in effetti prendono vita, la calma apparente e soprattutto la forma d’amore costante non sopportano la stasi, perché alla fine è tutto comunque un movimento. Sono sul mio treno dunque non sono ferma, non sono statica. Ridono mamme coi bambini, prima della galleria e quindi sono cose che accadono, un flusso di cose che accade. L’universo è un flusso di cose che accade, ha un inizio e forse una fine, è tutta una storia da raccontare, una storia che si racconta ogni giorno, ogni istante. La tempesta negli occhi tuoi è il desiderio che non si arrende, che reclama la sua dignità d’esistenza, è la tua personale partecipazione al flusso delle cose. La tua calma in fondo è apparente e si oppone alla frenesia, non certo al movimento.

Il buio accende fuochi, e l’universo è una specie di buio ma solo apparente perché continuamente interrotto, frammentato, dalla luce furibonda delle stelle e degli altri corpi celesti. Così l’adattamento di ieri all’universo che non si muove, appare finalmente come superabile, come superato, come lasciato indietro, nel percorso del treno, nel percorso cosmico delle cose che avvengono, una dopo l’altra, per una grande storia che accade continuamente.

Il cielo delle stelle fisse è proprio una favola di ieri, perché oggi sappiamo di essere immersi in un flusso continuo di eventi, ad ogni scala di grandezza, dai miliardi di anni luce all’ampiezza misteriosa di una sola stanza. Paola lo canta e io devo capirlo, devo ancora capirlo, devo capirlo continuamente. Voglio capirlo, per la mia vita, per sconfiggere la solitudine di ieri quando torna a farmi visita.

Quando i modelli vecchi di universo vogliono riprendere il controllo, è necessario rinfrescarci le idee e riprendere respiro con una cosmologia diversa, che in ultima analisi è appena il mare negli occhi tuoi, che è carne e sangue ed è tutto vivo, è sempre tutto vivo, è tutto vivo ad ogni livello. Solo per questo ridono, le mamme coi bambini. Perché lo sanno. Non con la testa, ma nella carne, nelle viscere: proprio lì, è lì che lo sanno.

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