L’Universo ha una storia affascinante, che comprendiamo ogni giorno di più: ogni giorno studiamo il cielo e facciamo luce su un altro piccolo tassello, nell’architettura generale della nostra conoscenza del Cosmo. Ed è una storia affascinante, quella che ci si dispiega davanti. Una storia accessibile a tutti, perché tutti condividiamo il fatto di essere immersi in una sterminata infinità di galassie, stelle e pianeti, che ci invita – direi quasi ci sospinge – a prenderne coscienza.
Per questo è meritorio ogni sforzo ben fatto per raccontare la storia del cielo in modo equilibrato, senza banalizzazioni ma anche senza inutili astrusità matematiche. L’Universo ha una storia raccontabile, dopotutto, ed è necessario raccontarla. Lo è sempre stato, in ogni epoca, fin dai miti dei popoli primitivi. Oggi che finalmente abbiamo a disposizione un modello scientifico di Universo, non siamo certo esentati dal racconto. Anzi, forse l’urgenza di esprimerlo, di parlarne, di narrare le nostre origini, risulta oggi ancora più pressante.
Stupisce infatti quello che possiamo capire del nostro smisurato Universo, osservandolo – come facciamo – da un piccolo pianeta alle periferia di una grande galassia. Stupisce che le leggi fisiche che lo descrivono siano esattamente le stesse che abbiamo potuto derivare con la paziente analisi dei fenomeni a noi più prossimi, di quel che abbiamo potuto imparare facendo cadere a terra dei sassi, osservando il moto delle nuvole, vedendo l’acqua scorrere nei fiumi.
Da questo esatto stupore è partito il celebre cosmologo Carlos Frenk (professore nella Università di Durham, nel Regno Unito), nella lecture che ha tenuto questa mattina presso l’Università di Milano-Bicocca, nel quadro della Giornata del Bicocca Astrophysic Day una Giornata dell’Astrofisica organizzata dalla stessa università.
La lecture (il cui titolo era How our universe was made: all from nothing ovvero Come è nato il nostro universo: tutto dal nulla, anche se si sarebbe presto capito come questo nulla non è da intendersi in senso filosofico, come già ci avverte peraltro ogni esposizione equilibrata dell’argomento) è stata preceduta da una conversazione con la rettrice dell’Università, di Milano-Bicocca, Giovanna Iannantuoni, sull’importanza della scienza per la società. La conversazione e la lecture successiva (entrambi ovviamente in lingua inglese) si possono (ri)vedere su YouTube (qui per l’inizio del seminario)
Il seminario è stato – a mio avviso – davvero eccellente, una piccola gioia per la mente e il cuore. Frenk, come si diceva, è partito dalla evidenza più elementare (ma che spesso dimentichiamo), quello stupore per la possibilità di indagare il cosmo con le leggi fisiche che abbiamo scoperto valide nella nostra vita quotidiana.
Da questo punto fondamentale il relatore si è mosso, in modo insieme rigoroso e semplice, verso quei temi che segnano profondamente (lo si avverta o no) questo tempo, ovvero i primi istanti di vita dell’Universo, le anisotropie cosmiche, la nascita delle galassie, non eludendo le grandi questioni aperte come energia oscura e materia oscura. Ha racchiuso sapientemente – e con un pizzico di umorismo, che non guasta – in forma di racconto quello che abbiamo finora scoperto dell’Universo e della sua storia: un racconto che, come si diceva, può e deve essere comprensibile, in dialogo con l’uomo, i suoi desideri e le sue speranze.
Nella parte delle domande, Frenk non si è sottratto a fornire anche interpretazioni più filosofiche e di metodo su alcune teorie specifiche (come le teorie MOND) e sulla scienza in generale, rivelando ai miei occhi una reale passione per la bellezza e anche la robustezza del metodo scientifico propriamente inteso.
E penso dunque che di questo abbiamo grandissimo bisogno, soprattutto. Un grandissimo bisogno. Di persone che uniscano abilità e passione, e le possano convogliare entrambe in un racconto. Così ha fatto Carlos Frenk, e lo ha fatto molto bene.
Una ulteriore nota positiva, non marginale, è l’attenzione che il relatore ha posto per il luogo specifico in cui si trovava a parlare. Non sono mancati i riferimenti al contributo degli scienziati italiani in molti ambiti della ricerca cosmologica moderna (come ad esempio per le ricerche collegate al satellite Planck, ma non solo). Non è scontato che un famoso professore, che è chiamato a parlare in molte parti del pianeta, ponga questa cordiale e sincera premure verso il luogo che lo sta ospitando: un segno di rispetto e un omaggio insieme, cui è realmente un piacere potervi assistere, quando accade.
Naturalmente è importante e gratificante, avere l’occasione di toccare con mano quanto la ricerca italiana porti in effetti contributi fondamentali nel conoscere il nostro Universo. Siamo abituati, come attitudine mentale, a dare maggior peso alle cose che non vanno, dunque è necessaria una cordiale rieducazione del cuore e della mente per non perdere quanto di bello, ed anche di molto bello, stiamo facendo: nello specifico, quanto abbiamo contribuito ed ancora contribuiamo – come italiani – nella costruzione del racconto del Cosmo.
Un racconto davvero avvincente che, ora più che mai, attende chi lo sa esprimere, con rispetto e passione. Che ci lascia con la piacevole sensazione di aver capito un po’ di più, di aver fatto un poco di luce su quanto ci circonda.
Un racconto che – come è emerso stamattina – potrà anche cambiare in futuro, potrà abbracciare altri paradigmi in luogo del modello del Big Bang. Ma sempre – e questo è stato sottolineato in modo mirabile – nella sicurezza (e io direi anche, nella bellezza) di un procedere meditato e metodico: niente voli pindarici, ma la robustezza di un procedere nell’alveo certo dell’indagine scientifica, come si è sviluppata da Galileo in avanti, fino a noi.
Di nuovo, in sintesi, ci raggiunge la fulgida evidenza che siamo in un Universo raccontabile: che non siamo immersi in una tenebra inesprimibile ma stiamo camminando lentamente sopra un tappeto di connessioni e concatenazioni affascinanti che di fatto si possono raccontare, per una storia che svela ogni giorni dei particolari nuovi ed emozionanti. Perché ci troviamo dentro una meravigliosa immensità e il fatto che la possiamo capire, pian piano, è realmente emozionante. Alla fine, è un gioco sottile di nozioni ed emozioni, è una partecipazione del cervello e del cuore. Ma se non fosse qualcosa che prende tutta la persona, l’esplorazione del Cosmo alla fine ci interesserebbe ben poco.
Invece, è una autentica gioia esser condotti in un percorso, sapientemente guidato, di meraviglia e comprensione. Come è accaduto questa mattina, per questa bella iniziativa dell’Università di Milano-Bicocca.
Come può e deve accadere, ora ed ancora.
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