Sempre più, quando vado in giro a raccontare le stelle mi capita di pensare che sto facendo il lavoro più bello del mondo. Proprio così. Un lavoro per cui è sicuramente valsa la pena studiare, è valsa la pena affrontare gli inevitabili momenti di aridità, le ineludibili frustrazioni.
Guardandomi indietro, perfino i mille ripensamenti – ma sarà per me questo lavoro? Mi corrisponde veramente? – e le pesanti, laceranti incertezze: tutto si ricompone. Tutto ha avuto la sua funzione, la sua importanza. Adesso lo capisco, tutto è stato necessario.
Le prime esperienze di pubblicazione di articoli scientifici e le borse di studio a Teramo, a Napoli. Il giro d’Italia per partecipare ai dottorati, presso le varie università. Cose ormai di molti, molti anni fa. Arrivavo il pomeriggio del giorno prima con il treno, cercavo gli alberghi più economici. La mattina di corsa alla prova scritta, dove trovavo tanti volti che avevo visto magari il giorno prima, in un altro luogo d’Italia. Bologna, Padova… città sfiorate per capire se avevano quello che cercavo. Se c’era strada per me. Quello a Roma afferrato infine in extremis, come ultimo tentativo prima di cercare un diverso lavoro. Il primo figlio (anzi, figlia) era già in arrivo: una ragazza che era anche lei alla prova scritta, saputo che mia moglie stava per partorire, mi chiese stupefatta e allora tu che ci fai qui?
Tanti momenti di fatica, anche. Tanti scontri con una materia affascinante ma che – per come sono fatto io – spesso mi lasciava in bocca il brutto sapore dell’aridità. Sì, le formule sono belle, sono utili, sono necessarie. Anche trattando di stelle o di galassie. D’accordo, abbiamo pubblicato questo bell’articolo sulle stelle di ramo orizzontale, dovrei essere felice che ci sia sopra il mio nome, insieme con quello di stimati colleghi, di amici. Tutto a posto, no?
Sì e no. Sì, per la cosa in sé, certamente. No, perché c’era qualcosa che non tornava, ancora. Non ero contento. Stavo sempre a misurarmi con i colleghi e i colleghi spesso – così mi pareva – avevano intuizioni che mi sorpassavano, avevano una dimestichezza con la materia che io non possedevo. Perché da un certo punto di vista, ero uno scienziato – certificato, possiamo dire – ma volevo anche altro. Volevo soprattutto, altro.
Ora – decadi dopo – lo capisco meglio. Io non volevo appena studiare queste cose, io queste cose volevo innanzitutto raccontarle. Farne motivo di stupore, di entusiasmo collettivo, anche di comunione tra le persone. Perché così divulgate tornavano oggetto di entusiasmo. Ovvero, tornano come sono veramente.
Io volevo scrivere, raccontare, volevo impastare in me tutte le nozioni e le scoperte, per farne materia di racconto. A volte non capivo che lo volevo, ma lo volevo. A volte era solo un disagio che mi prendeva, senza nome e senza volto. Però il disagio scompariva se mi mettevo a scrivere, o se queste cose le raccontavo. Anche su questo blog, quando non avevo nessuno davanti che mi ascoltava. Perché ogni volta che raccontavo, cambiava tutto. Sempre.
Se ha ragione (e ce l’ha sicuramente) la Rukeyser, quando afferma che l’universo è fatto di storie non di atomi, tutto questo mio disagio era soltanto per volgermi senza più esitazioni alla ricerca di punta, che gravita appunto sulle storie (il tessuto sottile del cosmo). Qualcosa dentro di me sapeva dove dovevo andare e non mi dava pace finché opponevo resistenza. Qualcosa dentro di noi sa sempre la direzione verso cui andare. L’approdo nel Gruppo Storie di INAF fu una prima bellissima novità, foriera di tanti bei progetti e di tante iniziative (come Destinazione Futuro dove mi trovai addosso il ruolo di coordinatore del progetto).
Ci ripenso ora, dopo che ieri sono stato al Liceo Cicerone di Frascati a parlare di astronomia e poesia (con la brava ed appassionata Giuseppina Nieddu e con la precisa e partecipata gestione di Rita Seccareccia, per Frascati Poesia). E pochi giorni fa al Tousheck, sempre a Frascati. Che bello.
E mi pare questo, quando fai una cosa che ti piace la gente se ne accorge, ed immediatamente risuona sulle tue frequenze. Se ti piace davvero, rischi di farla anche bene (senza perfezionismi, con tutti i limiti che hai, certo: ma la passione conta). Si creano occasioni, incontri, si risponde a domande, si osserva tanta splendida umanità, tanti multiversi in formazione – ragazze e ragazzi (spesso sapientemente accompagnati, da insegnanti che non si rassegnano al grigio apparente ma scavano, cercano il brillìo), persone in formazione che si affacciano alla vita adulta.
Sì, alla vita adulta, certo. Perché questo è il compito, questo è l’obiettivo. Affacciarsi (più possibile) consapevoli alla vita adulta.
Ma sempre con un brillìo – io spero – di cosmo dentro.
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Stelle e vita,la tua narrazione effettivamente e in modo del tutto convincente fa emergere ciò che nella tua mente era già scritto e che tu hai saputo mettere in chiaro e farlo diventare progetto di ricchezza per te e per gli altri.A questo percorso di vita siamo chiamati tutti,ma molti preferiscono non ascoltare,abdicando così al desiderio di sentirsi felici