Come è forte l’evidenza, ormai, che tutto è in evoluzione. Come si allontana sul nostro orizzonte concettuale, l’idea di un universo statico, sempre uguale a sé stesso. Di un universo indifferente, placidamente autoevidente, senza una storia.

Sappiamo bene che non è (più) così, l’universo ha una sua storia, l’universo è in continua mutazione: niente di quello che era ieri è nella stessa posizione, oggi. Il cielo stellato, anche se non ce ne accorgiamo ad occhio nudo, è ogni notte differente. Sappiamo anche che siamo figli delle stelle, siamo davvero materia stellare.

Ciò ha una portata culturale immensa, che ancora fatichiamo a comprendere appieno. Quello a cui ci spinge la moderna cosmologia, l’astrofisica contemporanea, è ad un salto di pensiero che non ha precedenti nella storia umana. In qualche modo, è come se l’universo ci stia spingendo verso una nuova consapevolezza.

Tale nuova consapevolezza poi è proprio segno dei tempi, procede facendosi strada comunque, nonostante tutte le nostre resistenze. Più resistiamo, più ci tiriamo fuori dal mondo, per come lo possiamo e dobbiamo percepire oggi: in breve, più resistiamo, più soffriamo. Per questo è importante accogliere, per quanto possibile, la trasformazione cosmica che oggi ci investe.

Le scoperte che si susseguono a ritmo incalzante arrivano per smuoverci dalla nostra stasi, per fare piazza pulita di tutti gli universi statici che ancora albergano nella nostra mente. Queste scoperte smuovono tutto, dalle scienze umane alla teologia. Al proposito di quest’ultima, scrive Piero Benvenuti (tra l’altro, già direttore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica) nell’introduzione al volume Il cosmo come rivelazione. Una nuova storia sacra per l’umanità (Gabrielli Editori 2018) che

se la teologia non affronterà velocemente e con decisione il confronto dei dogmi cristiani con la cosmologia, essa rischia (e con essa il Magistero) di allontanarsi sempre più dalla realtà e di sprofondare in una obsolescenza dalla quale sarebbe difficile riemergere.

Tutto questo diventa, semplicemente, ogni giorno più vero. Gli strumenti del telescopio spaziale James Webb ci forniscono adesso immagini di quando l’universo era veramente nella sua infanzia. Sono gli oggetti più lontani mai visti: molte galassie si sono formate circa tre miliardi di anni dopo il Big Bang, ma alcune – come stiamo imparando in questi mesi – si sono sviluppate molto prima.

JADES-GS-Z14-0 ci racconta dell’infanzia del cosmo
Crediti: NASAESACSASTScIB. Robertson (UC Santa Cruz), B. Johnson (CfA), S. Tacchella (Cambridge), P. Cargile (CfA)

Nell’immagine è indicata precisamente la cosa più lontana in assoluto che conosciamo ora, la galassia JADES-GS-z14-0, che si è formata appena trecento milioni di anni dopo l’inizio di tutto. Tecnicamente, possiede un valore di redshift pari a z=14.32, il più alto mai misurato. E praticamente – a proposito di universo abbondante – tutti gli altri oggetti che si vedono nella foto, sono galassie.

Della storia del cosmo, quella storia che iniziamo finalmente a raccontarci e fare nostra, stiamo dunque man mano recuperando le parti che ancora non ci erano state dette, quelle che non potevamo ancora intendere. Stiamo recuperando proprio, esattamente, l’inizio della (nostra) storia.

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