Complice la calura estiva, questo mese ci teniamo leggeri: evitiamo di affrontare l’analisi di poderosi volumi di alta letteratura, ritornando piuttosto ad occuparci di parole per la musica, che pure – come già abbiamo sperimentato – spesso e volentieri trattengono fermenti astronomici degni di essere analizzati con più attenzione.
Ordunque, correva l’ormai lontano 1977 e un certo Alan Sorrenti, sempre più distante dalle ardite sperimentazioni di album quali Come un vecchio incensiere all’alba in un villaggio deserto di qualche anno indietro, pubblica il suo quinto lavoro, decisamente più agile, titolato Figli delle stelle. Il brano omonimo diventa subitaneamente (e prevedibilmente) famosissimo, complice un incedere melodico decisamente orecchiabile, felicemente radiofonico. Il successo commerciale è immediato, tanto che in breve riesce a scalzare dalla prima posizione in classifica un assoluto gigante come Un’emozione da poco di Anna Oxa (che più di qualcuno ricorda oggi nella esplosiva interpretazione dello zingaro nel film Lo chiamavano Jeeg Robot).
Qui ne parlo, però, per il suo testo, innegabilmente astronomico, come lo stesso Sorrenti riconosce nell’intervista concessa ad Angelo Adamo.
Noi siamo figli delle stelle
Figli della notte che ci gira intorno
Noi siamo figli delle stelle
E non ci fermeremo mai per niente al mondo
Noi siamo figli delle stelle
Senza storia e senza età, eroi di un sogno
Noi stanotte figli delle stelle
C’incontriamo per poi perderci nel tempo
Sorrenti si dimostra esperto comunicatore, inserendo in pochi versi accenni ad acquisizioni astrofisiche moderne senza svellerle dal contesto cosmologico più antico, più consolidato… [Continua a leggere sul portale EduINAF]
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