Il cosmo e la poesia (VI)
Sono tempi interessanti per il nostro viaggio nel cosmo. Mentre si riprendono i contatti con sonde ormai giunte agli estremi confini del Sistema Solare – come abbiamo visto il mese scorso – dei nuovi strumenti come la sonda Euclid ci aprono delle finestre su un universo che si dimostra sempre nuovo (vedi bit.ly/sonda-euclid), che aspetta proprio che noi lo si guardi più attentamente per rivelarci nuove meraviglie.
In questo senso è una avventura sempre in corso, come la poesia. Come questa, niente è già stabilito, nessuna certezza è data prima della partenza. Poesia e cosmo esigono un atto di fiducia, pena il rientrare nei nostri territori senza alcun cambiamento di stato (che invece è il vero fine dell’avventura) nella nostra coscienza. Dobbiamo fare nostro il grande salto di cui parla Etty Hillesum nel suo Diario.
La vita è così curiosa e sorprendente e infinitamente piena di sfumature, a ogni curva del suo cammino si apre una vista del tutto diversa. La maggior parte delle persone ha nella propria testa delle idee stereotipate su questa vita, dobbiamo nel nostro intimo liberarci di tutto, di ogni idea esistente, parola d’ordine, sicurezza; dobbiamo avere il coraggio di abbandonare tutto, ogni norma e appiglio convenzionale, dobbiamo osare il gran salto nel cosmo, e allora, allora sì che la vita diventa infinitamente ricca e abbondante, anche nei suoi più profondi dolori.
Etty è una ragazza olandese di origini ebraiche, morta nel 1943 ad Auschwiz. Il suo Diario (pubblicato in Italia da Adelphi) rappresenta – anche per la sua carica poetica – uno dei testi fondamentali che ci portiamo appresso dal Novecento. Quel secolo dove si è giunti ad un cielo che è raccontabile non più (o non solo) in forma mitologica, ma attraverso quella straordinaria forma di racconto del mondo naturale che è la scienza, sempre rivedibile e sempre perfettibile.
Dalla metà del secolo scorso siamo infatti posti davanti ad un cosmo nuovo, al quale non ci siamo ancora abituati. Un cosmo in incredibile accelerazione, dove le galassie ed i quasar più distanti diventano, ogni giorno, miliardi di chilometri ancora più lontani dai noi.
Ci alziamo, facciamo colazione, organizziamo la giornata, raramente pensando a quanto è cambiato là fuori dalla mattina precedente. Se a volte il mondo ci sembra troppo uguale, è perché non ci rendiamo conto di quanto tutto sia in movimento, fuori di noi, per cui ogni cosa e situazione può cambiare, intorno e dentro di noi. Il grande salto di cui parla Etty è innanzitutto interiore ma non per questo meno vero o meno reale di un salto con l’asta olimpionico. E non meno difficile, anche.
Il cielo è presente in tantissime pagine del suo corposo Diario. E se il cielo è pieno di stelle, le stelle, ormai in movimento come noi, sono parte essenziale del viaggio. Vivendo davvero non si può evitare di parlare alle stelle, ovvero – fuori metafora – di avvertire questo nuovo cosmo, così vivo, come parte integrante della propria esistenza. Etty appunta nel suo diario, nel dicembre del 1941,
Ieri sera alle undici c’erano tre stelle nella cornice nera della mia finestra. Adesso c’è un sottile quarto di luna (…) Che cosa non ho detto a quelle tre stelle! E da quale posto del mondo e attraverso quale finestra parlerò di nuovo a quelle stelle, pensando alla sera di ieri?
Non è appena una percezione estetica, pur rispettabile. No, è proprio un contatto, che si instaura con le stelle. Un contatto che fa sentire a casa, superando ogni distanza cosmica. Dovunque si vedono le stelle è possibile: ovvero, dappertutto è possibile. Infatti nell’aprile del 1942, Etty scrive
… ho tolto il cartone di oscuramento dalla finestra e improvvisamente sono apparse alcune stelle all’altro capo del letto. Non erano le stesse stelle che vedo davanti alla mia finestra, ma ho avuto comunque un contatto con loro e d’un tratto mi ha invasa la sensazione rassicurante che, in qualunque posto del mondo io mi trovi, mi sarà possibile osservare le stelle e lasciarmi cadere su un letto, o sul pavimento o chissà dove, e sentirmi a casa, dovunque.
“A casa nel cosmo”, generata mediante Copilot Designer di Microsoft
Sostengo che Etty è una vera poetessa, anche se non si esprime in versi. Lo è per il lavoro sulle parole, sulle singole parole, che sente di dover fare. Lo dice bene in un appunto del giugno dello stesso anno
Mi mancano tutti gli strumenti per completare il mio lavoro di cesello sulle parole, quel lavoro che molto spesso mi impegna la mente, ma nel quale rimango bloccata proprio perché mi mancano le parole. Non posso nominare nulla della terra con il suo nome: nessuna città, nessun fiore, nessun santo, nessun principe, nessuna stella, niente. Ho bisogno del cosmo intero come similitudine per dare un contesto a ciò che sta nascendo dal profondo della mia anima, con tanta potenza e colore. Devo imparare ancora molto: i nomi che le persone attraverso le epoche hanno dato alle loro città, ai loro fiori, alle loro stelle, per poi poterli aggiungere, come altrettanti colori, alla mia povera tavolozza di parole.
Ciò che esprime è questo bisogno del cosmo, un bisogno così struggente davanti al quale nessuno scienziato del cielo può tirarsene fuori, per la profondità ed anche la perentorietà con il quale questo bisogno viene formulato. Anche imparare i nomi delle stelle è fare amicizia con il cielo, desiderare una familiarità maggiore con il cosmo.
Certo, il cosmo non è più quello statico dei nostri nonni, un cosmo di stelle fisse dove nessun cambiamento è dato. Invece, è un cosmo dove tutto muta, spesso con una rapidità impressionante. Un cosmo anche senza certezze, un cosmo che non sappiamo – almeno adesso – come proseguirà la sua evoluzione nei prossimi miliardi di anni, verso che configurazione andrà a posizionarsi, se darà luogo a infiniti ritorni, a nuovi Big Bang.
Molto dipende dalla natura dell’energia oscura, natura che siamo ancora lontani dall’aver compreso. Noi astronomi siamo in una situazione paradossale: riconosciamo che circa tre quarti del cosmo è composto di energia oscura, ma non sappiamo ancora dire cosa sia. Questa energia è responsabile dell’espansione del cosmo, dell’allontanamento delle galassie: iniziamo a comprenderne le caratteristiche, però ci manca ancora la reale comprensione della sua natura. Ma dovremmo avere, per ciò che non si conosce, la stessa ingenua baldanza che è propria di Etty, che nel settembre del 1942 scrive
Dunque, con quell’unica camicia nello zaino me ne vado incontro a un «avvenire sconosciuto». Così si dice. Ma sotto i miei piedi girovaghi non c’è forse dappertutto la stessa terra? E lo stesso cielo – ora con la luna, ora col sole, per non parlare di tutte le stelle – non si stende forse sopra i miei occhi rapiti? Perché si dovrebbe parlare di un «avvenire sconosciuto»?
Proprio la sonda Euclid, menzionata in apertura, è stata inviata nello spazio con l’intento di capire qualcosa in più sui grandi temi di materia ed energia oscura, temi fondamentali di cui già si accennava in questa rubrica, nel numero di marzo. Perché le stelle di Etty sono le nostre stelle, capirne il destino equivale per certo a comprendere qualcosa di più, di noi stessi.
Contributo pubblicato sul numero di giugno 2024 di Frascati Poesia Magazine
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