Scrivere mi fa stare meglio. A volte non c’è altro, non c’è altro che posso fare. In certi momenti bassi dell’anima – che a volte mi giungono addosso così misteriosamente – l’unica cosa è scrivere.

Mettere in fila parole, una dopo l’altra, pensare alla prossima parola da inserire, ponderare l’uso di due parole simili… tutto questo mi fa assaggiare di nuovo un ordine bello, calmo, pacato, stabile. Entro in contatto con questo ordine superiore, scrivendo. Di qualsiasi cosa, di qualsiasi argomento. Come adesso. Scrivendo, semplicemente. Ed accade che mi calmo. Qualcosa nel mio cervello si placa, avverto nuovamente l’onda placida di una pienezza che mi lambisce, per cui non devo più agitarmi, non devo preoccuparmi, non serve più, è ormai inutile, si può finalmente riposare.

Perché poi riposare scrivendo, davvero non lo so. Dopotutto, non penso nemmeno sia una cosa che devo sapere. Penso sia una cosa così, una cosa che viene e che non posso e non devo dominare. Che ne voglio sapere io, in fondo? Chi ha una comprensione veramente chiara e limpida di sé stesso? Mi basta capire cosa mi faccia stare bene, poi il resto non mi compete.

Ora che ho aperto il laptop e iniziato a scrivere, l’ho fatto proprio per questo. Perché avevo bisogno di nuovo di avvertire questo regno di pienezza che io contatto solo scrivendo. E che appunto, mi calma. L’ha sempre fatto. Spero di continuare a farlo finché vivo, perché per me non c’è medicina migliore, per certe irrequietezze dell’anima.

Capita spesso di sbagliare, capita di voler fare di testa propria. Pericolosissimo, occorre invece fidarsi dei messaggi che arrivano dall’interno. Spesso ho confuso scrivere con pubblicare. Ho pensato, avrò pace e soddisfazione quando sarò un autore riconosciuto. Ho immaginato, se sarò negli scaffali delle librerie, se gente sconosciuta entrerà e chiederà un mio libro, allora sarò a posto, sarò arrivato, sarò realizzato nella vita.

Ho perso molto tempo ed energia, invidiando quelli (amici o sconosciuti) che erano arrivati a questo stadio. Immaginavo fossero giunti a livelli di vista quasi magica, certo tutta in discesa, una vita di gratificazione continua, una vita completamente risolta.

Come se la realizzazione fosse uno stato e non un processo, peraltro. Invece è proprio un processo. Le mie innegabilmente modeste esperienze di autore pubblicato mi hanno fatto capire quel che non volevo – e spesso non voglio – comprendere. La soddisfazione viene nello scrivere, non nell’essere pubblicato. Il secondo tipo di soddisfazione appunto è figlia di uno stato e pertanto non dura molto. Certo è forte, è come una vampata che però si smorza relativamente presto.

Ha ragione la mia analista quando mi dice che troppo facilmente aspetto una risoluzione magica di tutti i problemi che arrivi da fuori, che sia una condizione (scrittore pubblicato, conteso dai grandi editori) o un possesso di qualcosa, o una relazione (amicizia, amore, sesso, discepolanza…) con qualcuno. Lo so bene, sono un fedele abbonato alla serie (tanto illusoria quanto seducente) quando avrò questo, sarò finalmente felice, compiuto. Ho provato a disabbonarmi varie volte, ma non è facile. Ci vuole del lavoro. Parecchio lavoro, per come sono fatto.

Forse ho ricominciato con più assiduità a scrivere in questo blog perché è la cosa per me più simile alla fedeltà allo scrivere come processo. E perché è parte del lavoro psicologico di cui parlavo. Certo ho i miei progetti più ampi, su cui sto lavorando. E che spero con tutto il cuore, che vadano in porto. Progetti per volumi veri e propri. Ma disertare il blog non mi ha mai fatto bene, a pensarci. Come una specie di diario pubblico (accanto a quello privato, affidato a Journey, che da qualche mese sto provando a frequentare con regolarità), è una palestra che mi permette di riflettere su cosa accade in me. E lo fa benissimo anche se scrivo di galassie lontane, di quasar, di ammassi globulari, di panorami di Marte. Perché il cosmo è connesso con il cuore, in modo forse misterioso (per la ragione calcolante) ma estremamente solido.

Scrivere è anche concretezza. Anzi soprattutto. Ognuno ha i suoi strumenti. A me (da molto tempo ormai) piace scrivere al computer usando iA Writer, un software essenziale che mi dà il gusto – ruvido e luminoso – della scrittura. Nella visione a due pannelli, a sinistra scrivo e a destra vedo il risultato, elaborato in Markdown. Ho provato vari altri software ma alla fine torno sempre a questo. Un po’ mi fa pensare alla antiche macchine da scrivere. Alla Olivetti di papà che prendevo da piccolo per redigere il giornalino di famiglia, La Notizia. Infilavo un foglio di carta carbone tra due fogli A4 in modo che il giornale “uscisse” in due copie, tiratura più che sufficiente per la diffusione prevista (una abbonata automatica era la mamma, naturalmente).

Forse mi piace iA Writer perché mi riporta all’infanzia, non lo so. Comunque sia, mi ci trovo. A volte mi ci arrabbio anche, vorrei ad esempio che la versione Windows avesse le caratteristiche che per ora ha solo la versione per macOS. Vorrei pure che la versione di Android venisse finalmente portata al livello di quella di iOS. Ma non fa niente, comunque sono qui. Sono qui a fare propositi per il “nuovo anno” nel giorno di ferragosto. Come del resto, facevo quasi dieci anni fa.

Così proprio per l’esigenza di scrivere – fidando in quel meccanismo magico per cui, a volte, pescando nelle proprie privatissime sensazioni, si intercetta qualcosa che interessa anche altri – sono qui che pubblico un post anche nel giorno di Ferragosto (o se preferite, nel giorno dell’Assunzione), contrariamente a quanto mi ero ripromesso, all’idea che avevo accarezzato di concedermi una pausa anche dal blog.

Come che sia, non ne scappo: per me fare una pausa, rilassarsi, vuol dire prendere più sul serio la faccenda di scrivere. Per ritornare fedele a quel proposito, di provare a volermi un poco più bene. Che a mia memoria (sei decadi tonde tonde di stazionamento su questo straordinario pianeta) non è mai – e dico mai – avvenuto, senza trafficare in qualche modo con lo scrivere.

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