Luigi Giussani mi piace, perché è spesso audace. Qualcosa che spesso ci manca in questo tempo liquido, in questo tempo di rivoluzioni morte, è proprio l’audacia: certo, proviamo a sopperire, talvolta, con la manifesta provocazione o la esibita trasgressione, ma è roba di seconda mano, materiale ormai a buon mercato, copia sbiadita di antichi e nobili aneliti al vero pensiero libero.
Sia nel percorrere quanto già detto, che nel cercare vie nuove, ci vuole audacia. Allora, il gioco è imparare da chi ha usato audacia a suo tempo, per ampliare ulteriormente l’orizzonte, allargare l’universo osservabile. In un cosmo ormai in espansione accelerata (perché nell’era moderna lo abbiamo ri-conosciuto così), le idee e i sistemi di pensiero, per sopravvivere, non possono più permettersi la staticità.
Trovo particolarmente interessante e meritevole di sviluppi (ora più che mai), quanto scrive Giussani a proposito dell’ideologia, nel suo testo più noto, Il senso religioso
L’ideologia è costruita su uno spunto che l’esperienza offre, così che l’esperienza stessa è presa come pretesto per una operazione determinata da preoccupazioni estranee o esorbitanti. Di fronte, per esempio, all’esistenza dell’uomo «povero», si teorizza sul problema del bisogno, ma l’uomo concreto col suo bisogno concreto diventa un pretesto; l’individuo nella sua concretezza viene emarginato una volta che ha dato spunto all’intellettuale per i suoi pareri, o al politico per giustificare e pubblicizzare una sua operazione. I pareri degli intellettuali, che il potere trova convenienti e che assume, diventano mentalità comune attraverso i mass-media, le scuole, la propaganda, così che quello che accusava Rosa Luxemburg con lucidità rivoluzionaria, «lo strisciare del teorico», morde alla radice e corrompe ogni autentico impeto di cambiamento.
Audace ma assolutamente pertinente, qui, l’aggancio di monsignor Giussani alla frase di Rosa Luxemburg (1871-1919), che non fu fine teologa quanto rivoluzionaria di manifesta fede marxista. Ma non c’è poi da stupirsi. Giussani è sempre stato un uomo libero e ha valorizzato anche posizioni molto diverse dalle sue. Resta celebre la sua valutazione della dignità dell’anarchico, al proposito. Che poi, a causa sua, ci furono illustri anarchici conquistati alla fede: penso con commozione, all’esempio chiaro della figura di Jesùs Carrascosa, del quale sono lieto ed onorato di essere stato amico.
Riprendo la frase citata. Giussani asserisce lucidamente che l’individuo nella sua concretezza viene emarginato, ovvero non serve più dopo che l’intellettuale ha preso spunto dalla sua situazione per elaborare le sue idee. Anzi, rischia di diventare addirittura un fastidio, con la sua scomoda concretezza.
Tornando alle mie intense frequentazioni cantautorali del periodo della giovinezza (e non solo), mi sovviene il ricordo di un bel brano di Roberto Vecchioni proprio centrato su questo, chiamato Le belle compagnie, presente nel magnifico album Elisir (del lontano 1976, il libro di Giussani sarà pubblicato nella prima edizione, esattamente dieci anni più tardi).
La quasi totalità delle rivoluzioni che conosciamo, purtroppo, hanno artificialmente gonfiato questo strato teorico, ideologico, fino a separarsi totalmente dalla prassi, operando una torsione innaturale del dato originario, piegato a forza in uno schema prefissato, astratto, tenuto in vita in modo forzato. Palesemente innaturale. Storia destinata a ripetersi, fatto salvo per le uniche rivoluzioni e contestazioni oggi possibili, quelle non violente (non per questo, meno radicali). Esempi in questo senso non ci mancano, a voler vedere, a volersi destare da uno strano e appiccicoso sonnambulismo.
Sganciati dal confronto con il reale e la sua (talvolta) ispida concretezza (Mai avevan visto un contadino, come denuncia ironicamente Vecchioni), liberi così di precipitare nel buco nero dell’ideologia, siamo fuori dal contatto con il cosmo, siamo fuori dal gioco dell’universo, siamo cioè persi in spazi mentali che – a differenza di quello reale – non si espandono più, ma ricircolano su loro stessi, cercando semmai di sopperire alla mancata espansione con una più decisa radicalizzazione (o appunto, con lo stordimento, il sonnambulismo). Sono spazi apparentemente illimitati (ti ci puoi rigirare dentro finché vuoi) ma certo non infiniti (niente di nuovo entra nel tuo orizzonte degli eventi, così ben presto subisci il ricircolo dello stesso materiale, ormai trito e ritrito).
Il teorico – stavolta inteso in senso scientifico, di persona che formula ipotesi interpretative del mondo fisico – è sempre obbligato ad un confronto serrato con il dato empirico. La tentazione onnipresente di strisciare viene dunque – in questo caso – ad incontrare un limite significativo, nel semplice dato di realtà. Posso costruire una teoria bellissima, ma finché rimane teoria, non è scienza (poi sarebbe più complicato di così, perché a mio avviso qualcosa di veramente bello possiede sempre un attributo di realtà, ma questo è un altro discorso).
“I fatti sono argomenti testardi, e qualsiasi sia la nostra volontà, le nostre inclinazioni o i dettami della nostra passione, non possono alterare lo stato dei fatti e delle prove” asseriva saggiamente John Adams, secondo presidente degli Stati Uniti.
Occuparsi di scienza è immettersi ipso facto in un percorso educativo, proprio perché vuol dire fare costantemente i conti con la realtà, sia quando piace sia quando non piace. E a fare i conti con la realtà si impara sempre qualcosa, proprio perché è un serbatoio inesauribile di novità.
Facile fuggire in altri universi (statici), riparando in fantasie tanto luminescenti quanto innocue. Facile e gradito al potere. Solo stare qui è rivoluzionario, perché solo stando qui, possiamo cambiare le cose. Per questo la vera scienza (a differenza della pseudoscienza ad esempio) è sempre rivoluzionaria, perché la vera scienza (sfidando i potenti, ignorando i loro poteri), insegna semplicemente – ma tenacemente – a stare qui.
Scopri di più da Stardust
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.