Lo spazio è stato creato, io credo, per essere vissuto in libertà. La sua stessa espansione può essere letta come un rimando alla espansione della nostra consapevolezza. Credo valga lo stesso anche per il cyberspazio.

Internet agli inizi – per chi si ricorda, per chi come me l’ha vissuto – era una cosa eccitante, una cosa nuova e divertente, frizzante e piena di possibilità. Questo spazio si espandeva (anche lui) in modo accelerato, con l’allegria e l’entusiasmo di tecnici ed appassionati, affascinati dalle potenzialità di questo inedito strumento di comunicazione, che andava oltre i sogni dei più intrepidi scrittori di fantascienza. Ora non ci viene facile pensarlo, ma all’inizio degli anni Novanta, solo poter progettare una semplice pagina (quasi tutto testo, poche immagini perché si caricavano lentamente) in modo che potesse venire vista istantaneamente da ogni parte del mondo, tramite un computer collegato alla rete, era una cosa che spalancava la mente.

Ho assistito ad innumerevoli esperimenti, in questa fase. Prima che Internet diventasse una macchina per fare soldi, come è essenzialmente oggi. In mano a pochi grandi, che fanno più o meno quel che vogliono, occupando e consolidando posizioni di assoluto monopolio. Ad una fase espansiva è così subentrato un periodo di stasi, quasi di stagnazione. Mentre Internet diventava via via più essenziale per le persone, diventava anche via via più omologato. Con dentro meno sorprese, meno sperimentazione.

Certo, la tecnologia continua ad andare avanti, i social sono sempre più raffinati e ti permettono di fare sempre più cose, caricare più immagini, filmati. Tutto quel che serve (e non un pelo di più) purché tu rimanga nel recinto, nell’ambito – ristretto e prevedibile – di quel che ti permettono di fare. Gli algoritmi sono ormai estremamente raffinati, bastano un po’ di mi piace e ti ritrovi in una bolla di gente che la pensa come te, che ha le tue medesime opinioni sulla società e sulla politica. Non sei in una piazza dove ognuno dice liberamente la sua, sei in un giardino ben congegnato e accuratamente progettato intorno ai tuoi interessi (così sei gratificato da un bias di conferma, ti senti in squadra, ti disabitui ad un confronto reale). Sei dunque a contatto con un universo distorto, ma non sempre te ne rendi conto.

Anche qui, ciò che ci vogliono far credere è che non vi sia alternativa, non esistano (e non siano nemmeno pensabili) altre opzioni, oltre all’assetto dominante. Che sia dunque inutile cercare. Sì, puoi fare ricerche, ma attraverso i canali che ti vengono indicati.

Invece, alternative esistono. Nel modo di essere social, per esempio. Si può scegliere di non accettare le manipolazioni degli algoritmi, che decidono per noi cosa farci vedere, e di esplorare il fediverso, una realtà oggi decisamente interessante, un universo informatico governato da leggi differenti da quelle oggi dominanti, di cui qui si è già parlato.

Ed anche nel vero e proprio cercare, sussistono possibilità diverse da quella di ricadere nelle mani dei soliti Google o Bing o Facebook e dei loro traffici. Insomma esiste anche qui, a ben vedere, una irriducibile libertà di ricerca che non è esattamente ciò a cui pensiamo quando usiamo questi termini. Ma è ugualmente importante.

Piccolo inciso. Considero ultimamente velleitarie quelle proclamazioni drastiche come “liberarsi da Google”, o “dai social” eccetera. Sorrido e penso al passato. Tempi addietro, anni Settanta diciamo, esistevano famiglie alternative che decidevano di non avere la televisione a casa. Con il dovuto rispetto per simili decisioni, credo che il massimalismo non paghi, soprattutto non attrae abbastanza persone, non guadagna momento: rischia principalmente di spaventare. Paga più invitare drasticamente tutti a non mangiare più carne, o suggerire alle persone dei percorsi praticabili per ridurre gradatamente la quantità di carne nella loro alimentazione?

Credo insomma in percorsi progressivi di ampliamento del panorama, in allargamento della visuale rifuggendo – per quanto possibile – da decisioni drastiche. Imparare a vedere che c’è un mondo di nuove possibilità, accanto ai tre o quattro grandi nomi che spingono perché la geometria dello spazio di Internet si avvicini sempre più a quello delle loro aziende. Non c’è solo Google, Facebook, Instagram, WhatsApp. Nonostante tutta la standardizzazione imperante, esiste una pluralità di soggetti ed iniziative che possono aiutare ad allentare situazioni di monopolio, a tutto vantaggio della libertà di scelta ed ultimamente, del rilancio dell’innovazione.

Di Vivaldi ho già scritto molte volte, una possibilità tra diverse altre (Firefox, Brave…) di navigare fuori dalle rotte più comuni, evitando che la nostra cronologia di navigazione vada in pasto a chi ha interesse a profilarci per affinare le sue strategie di mercato. Evitando cioè, per quanto possibile, di divenire noi stessi merce.

Anche tra i motori di ricerca esiste la salubre possibilità di evadere dai soliti noti, ci sono nuovi panorami che si possono vedere. Le alternative, in effetti, sono moltissime. I motivi per esplorarle, ci sono. Citando il sito Kinsta.com appena linkato,

È noto che Google personalizza la vostra esperienza di navigazione a spese della condivisione dei vostri dati personali e consentendo a Google stesso di tracciarvi su Internet. Per alcuni, questa personalizzazione può diventare quantomeno fastidiosa.

Può legittimamente darci fastidio, che Google risucchi quietamente tutta la nostra cronologia di navigazione. Il senso di controllo è pressante. Come la famosa pubblicità, potremmo sentirci gli uccellacci neri appoggiati sulla spalla, mentre navighiamo.

La prima volta che sono venuto a contatto con l’esistenza di Ecosia è stato nel 2020, in piena pandemia, attraverso un interessante articolo di Lea Cassar, sul blog Darsi Pace.

… Ecosia, una impresa sociale nata in Germania che offre un motore di ricerca (che raccomando a tutti!) come quelli tradizionali. Come per qualsiasi altro motore di ricerca, mentre gli utenti cercano, l’impresa genera profitti dalle entrate pubblicitarie. La differenza rispetto alle altre imprese? Ecosia dedica l’80% o più dei propri profitti ad un “fondo alberi” o direttamente a progetti di piantagione di alberi in tutto il mondo. Utilizzando questo modello, Ecosia ha investito quasi 13 milioni di euro per piantare oltre 90 milioni di alberi, ed è cresciuta fino a diventare un business multimilionario senza aver raccolto un solo dollaro dagli investitori di venture capital. Questo è il potere dell’imprenditoria sociale.

Ecosia rende disponibile anche un suo browser, tuttavia è possibile in molti altri browser (tra cui appunto, Vivaldi) impostare Ecosia come motore di ricerca predefinito, in modo che ogni ricerca effettuata attraverso la barra degli indirizzi venga gestita da tale motore di ricerca. Perfino su Edge è possibile, anche se la procedura è un po’ più complessa (Ecosia non appare tra i motori disponibili ma bisogna aggiungerlo a mano inserendo la stringa adatta per le ricerche).

Dalla pagina principale del sito di Ecosia

Al momento in cui scrivo Ecosia sostiene di aver piantato 213.155.529 alberi e di aver devoluto 87.329.296 Euro per azioni dedicate al clima. Non è poi così trascurabile, dopotutto. Per una massima trasparenza, i report finanziari dell’impresa sono messi a disposizione di tutti.

Ecosia è solo un esempio, ovviamente. Ma anche al di là dei risultati (suoi o di altri soggetti), penso che la portata culturale di abituarsi a cercare alternative e, per chi è nella posizione di farlo, insegnare ai più giovani ad essere curiosi, a cercare, a pensare, invece che ricadere negli standard, sia qualcosa di difficilmente sottovalutabile.

L’estrema varietà di soggetti ed esperienze è la regola nell’universo fisico, deve urgentemente tornare ad esserlo anche nell’universo dell’informazione.

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