Certamente la ricerca di vita extraterrestre è oggi uno dei filoni di ricerca principali per quanto riguarda l’esplorazione dello spazio. Il fatto, tanto semplice quanto esplosivo, è che per la prima volta siamo in grado di intendere dei segni che prima ci erano inaccessibili. Segni che potrebbero indicare, finalmente in modo non ambiguo, che vita c’è – o c’è stata – in ambienti esterni alla Terra.
Ovviamente i primi posti dove cercare sono gli ambienti planetari del Sistema Solare. Tra questi, Marte è da sempre un candidato interessante. Non tanto per il suo stato attuale, quanto per come poteva essere in passato: si dice, caldo ed umido, con mari e fiumi simili alla Terra: tuttavia, la questione è ancora controversa.
L’immagine qui sotto è nuova e parecchio interessante in tal senso, poiché ci mostra una zona molto ristretta dalla superficie del pianeta con dei segni “a macchia di leopardo”.
Macchie di colore chiaro sulle rocce marziane, ognuna circondata da un bordo scuro, sono infatti state individuate proprio all’inizio di questo mese dal Perseverance Rover della NASA (il rover opera sul pianeta rosso dal febbraio del 2021). Soprannominate (con non troppa fantasia) macchie di leopardo a causa della loro apparente somiglianza con i segni caratteristici sul mantello del famosi predatore terrestri, questi curiose configurazioni sono attualmente in fase di studio, con la possibilità nemmeno troppo remota, che siano state create da antiche forme di vita marziane.
C’è da specificare che le macchie raffigurate misurano appena pochi millimetri di diametro. Sono state scoperte su una roccia chiamata Cheyava Falls. Lo scenario – plausibile ma ancora tutto da dimostrare – è che molto tempo fa, i microbi generassero energia attraverso reazioni chimiche che trasformavano la roccia da rossa a bianca lasciando un anello scuro, secondo meccanismi che ben conosciamo nel caso delle rocce terrestri. Sebbene alla fine possano prevalere altre spiegazioni non biologiche (che sono attualmente in fase di studio), la speculazione incentrata su questa potenziale origine biologica sta indubbiamente causando parecchia curiosità, anche ovviamente al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori.
Chiaro, che anche il fatto che via sia stata vita in passato, sarebbe una informazione dirompente, sarebbe la prima dimostrazione che la vita ci può essere (o essere stata, poco cambia) fuori dalla Terra (ormai da quasi tutti ritenuto plausibile, però ricordiamoci, ancora mai dimostrato).
Occorre certo andare piano. Allo scrivente torna subito alla memoria il caso emblematico della rilevazione di fosfina nell’atmosfera di Venere, annunciata in pompa magna come la prova della presenza di batteri all’opera, clamori poi drasticamente ridimensionati, tanto che oggi nessuno ne parla più. Gli scienziati ora dovranno eliminare in maniera convincente tutte le altre possibilità, per spiegare queste macchie come segni di attività biologica. Solo allora, potremo esaltarci davanti ad una grande notizia, per quanto riguarda la ricerca della vita.
Fermo restando che la vera notizia adesso è questa, già accennata. Ora siamo finalmente in grado di rilevare segni di vita in diversi ambienti e con una grande varietà di strumenti. In altri termini, siamo sempre più in grado di interrogare il cosmo riguardo a questo specifico argomento, esiste vita fuori dalla Terra? Tema, tra l’altro, che Gabriele Broglia ed io abbiamo di recente affrontato nella nostra quinta conversazione del progetto Darsi Spazio.
Dico spesso nelle conferenze, che ci possiamo aspettare grandi sorprese. E ne sono convinto, perché il momento è quello giusto. Qui come altrove, il momento giusto è quello in cui uno pone correttamente la domanda (che in questo caso, equivale a sviluppare la sensibilità giusta, ovvero indagare il cielo con gli strumenti giusti).
Perché poi la risposta, in qualche modo, arriva sempre.
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