Tornato ieri a sera, dalla piccola tournée di due giorni, due incontri con tante persone, per raccontare le novità del cielo. Due incontri per declinare il titolo che mi era stato assegnato, suggestivo ed impegnativo al medesimo tempo: L’universo elegante mostra la sua danza di futuro.
Come per anni precedenti, ho raccolto l’invito cordiale di Gianluigi Nicola, presidente della Associazione Italiana Teihard de Chardin, a venire a raccontare, la sera di sabato 21 a Diano Marina e la mattina del 22 presso il Monastero di San Biagio, a Mondovì.
Sono state due occasioni per fare il punto sulle scoperte astronomiche degli ultimi cinque anni, comprendendo così come l’indagine del cielo – come il cielo stesso, del resto – è in fase di espansione accelerata, così che perfino durante gli anni del COVID si sono susseguite una serie di scoperte straordinarie, come di esplorazioni mai tentate prima.
In una manciatina di mesi, infatti, siamo andati a prender sassi sugli asteroidi, abbiamo lanciato nello spazio un telescopio gigante, abbiamo forse capito perché l’universo non si è azzerato subito dopo la sua nascita in un megascontro tra materia e antimateria, abbiamo indagato il sottosuolo di Marte ma ci abbiamo anche svolazzato sopra, con il primo drone planetario, abbiamo ascoltato il mormorio del tappeto di onde gravitazionali che pervade lo spazio, abbiamo trovato acido ribonucleico aggrappato stretto sopra un asteroide, abbiamo riallacciato i contatti con una sonda lontana ventiquattro miliardi di chilometri alla quale si era guastato il computer … e si potrebbe continuare. Ma avete compreso già.
L’attenzione del pubblico in entrambe le occasioni è stata davvero gratificante. Ma quello che mi porto a casa e che conservo nel cuore, sono state le persone che mi hanno detto che riesco a spiegare chiaramente anche le cose difficili. E non tanto per rallegrarmi di una abilità mia (che non avrebbe senso, perché non me la sono data) ma perché mi rallegro per la felicità stessa di queste persone, perché tramite il mio imperfettissimo tentativo, sono arrivate a contatto con la bellezza e la maestà del cosmo (e di studiarlo, di ammirarlo), e si sono ravvivate per questo. Perché uno, non c’è niente da fare, davanti alla bellezza del cosmo istintivamente uno si ravviva. Quasi si illumina. E subito.
Lo dice anche Rovelli, in fondo la ricerca stessa è una danza, che si fa per un senso estetico, per un senso quasi di benessere. Come quando capì, con un collega, che la faccenda dei buchi bianchi poteva avere un senso, era comunque un campo interessante da investigare (esistessero, o meno: che poi questa cosa dell’esistere è talvolta sopravvalutata, a mio avviso).
E mi porto a casa degli incontri, perché una danza è una storia di relazioni. Quella con carissime amiche ed amici, che finalmente posso ritrovare e soprattutto abbracciare. Iside, Lidia, Giuseppina… nuove relazioni insieme a solide e docili fraternità che resistono agli anni, anzi con gli anni, crescono. Quello con il teologo (nonché prete motociclista) Claudio Margarìa, i dialoghi e anche le sfide – in compagnia di Gianluigi – che ci siamo rilanciati durante le pause, perché se la religione (non la spiritualità) è in un momento di crisi, ogni occasione è buona per capire, per fare luce, per investigare il tema senza preconcetti, ma con curiosità.
E quando incontro una persona che ragiona in profondità, sia un prete o un anarchico (se ce ne sono ancora) o un buddista o tanto per dire, un marxista (se ce ne sono ancora) osservante… insomma, a me non importa quasi nulla di cosa sostenga di credere. Mi interessa piuttosto il dialogo che si instaura, il nutrimento che mi porta. E in questa occasione il dialogo c’è stato. Bello e profondo. Ieri, davanti ad una piadina e una birra (per me e Gianluigi) e un chinotto (per don Claudio) si è parlato di Genesi, di Carlo Rovelli, di eresie (vere o presunte), ma soprattutto del bisogno umano. E anche di una persona vissuta un paio di millenni fa di cui (stranamente) ancora si parla, che le cronache dicono esser finita piuttosto male, cioè inchiodata su una croce perché scomodo ai poteri religiosi e civili del tempo, una specie di rivoluzionario tendenzialmente non violento (ma di carattere), che da lì sopra non ammoniva o insegnava, ma gridava soltanto (umanissimamente) ho sete.
Tutto intorno, la calma assoluta di un primo pomeriggio di Mondovì, con il tempo incerto, nuvole barocche quali cornici di un azzurro insolitamente ampio. Tutto intorno, un cielo di stelle e galassie in fantastica silenziosa evoluzione. Un universo impegnato nella sua danza cosmica, che apre quel futuro che nemmeno lui conosce. Camminando si apre cammino, dice il poeta Antonio Machado. Così fa il cosmo e così siamo cordialmente invitati a fare anche noi.
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