Ogni tanto ci torno anche io, a vedere i numeri. Più di tremila i miei post, dal lontano 1997, in questo sito. Molti parlano del cosmo. Ma di che parlavo, mi chiedo, quando parlavo del cosmo? Credo che in fondo, parlassi di me. Credo che, alla fine, non si possa che raccontare la propria storia. Anche se si parla del Sole, delle galassie, dei quasar. Anzi, soprattutto se si parla di loro.

Mi è sempre più difficile andare avanti trascinando il vecchio, logoro paradigma di un cosmo fuori di me drasticamente separato da un cosmo dentro di me, come se circa due metri quadri di sottile rivestimento, definissero un confine non permeabile, non valicabile. Quasi tale esilissimo epitelio separasse drasticamente il mondo in due, con dinamiche inconciliabili, da una parte e dall’altra. Fuori di me, dentro di me.

Una bella immagine della Serpens Nebula, acquisita dal Telescopio Spaziale James Webb (Crediti: NASA, ESA, CSA, STScI, K. Pontoppidan, J. Green)

Fuori dalla pelle, il cosmo. All’interno, il mio essere biologico e (da qualche parte) la coscienza. Mi piace così? Bene, al di là di ogni dissertazione accademica, se insisto a dimorare in questo modo di veder le cose, soffro. Se stacco il mio senso del vivere dalle galassie, se lo penso separato, sento subito che c’è qualcosa che non va. Da quando un oggetto cosmico – fosse anche un remotissimo quasar – entra nei radar della mia consapevolezza, mi dice di esistere, non posso più far finta di nulla. Ogni rimozione, lo so bene, mi fa diventare artificioso.

Azzardo un piccolo inciso, sulla coscienza. Se ha ragione Federico Faggin1, la coscienza è fondamentale ed irriducibile, ed esiste prima di ciò che chiamiamo materia. E già questo, preso alla lettera, mi farebbe scombinare tutto il quadro. Ma torno subito al mio ragionamento, per non mettere troppa carne al fuoco.

Dentro e fuori, mi domando, insistono le stesse priorità? Forse sì.

Se tento di trovare un senso per il mio vivere in un universo che immagino senza senso, mi accorgo che sono disorientato. Che fatica terribile cercare di fabbricare un senso, quando quel che faccio viene rapidamente smontato dalle cieche leggi della fisica, dall’aumento di entropia.

E’ davvero così? Questo universo non ha senso e sono qui per puro caso? Senza dircelo, un po’ viviamo tutti in questo brodo concettuale. Ma è una coltura povera, mal mescolata, maleodorante. Una pozione avvelenata, altro che brodo. Basta un po’ di accurata osservazione, per accorgersene. E desiderare urgentemente di cambiare paradigma. Il fisico britannico Freeman Dyson ha affermato2 significativamente che

Quanto più esamino in dettaglio l’Universo e la sua architettura, più trovo evidente che l’Universo in un certo modo deve aver saputo che eravamo in cammino.

Ecco. Poco per volta, va meglio (come dice il poeta). Mi piace assai quest’idea di universo che in un certo modo sa che io sono in cammino, che io sto arrivando. Che non rotola verso il futuro, o verso la sua fine, senza curarsi di me, ma innanzitutto tiene conto che io ci sono, che tu ci sei.

Inizio allora pian piano ad avvertire (con la mente, con il corpo, con i sensi) che le regole del dentro e del fuori non sono troppo diverse. Inizio a fare mio questo concetto, ad assimilarlo, a dargli spazio nei miei ritmi feriali. Anzi, se innalzo l’energia, se salgo in frequenza, posso quasi vedere lo scenario che si ricompone. Ritorna l’unità, profonda e rasserenante. Ci posso persino dimorare. Se tutto ha senso, ci posso dimorare. Se tutto ha senso, posso di nuovo rilassarmi. Questa è la verità, ciò che mi dice l’universo al di dentro.

Allora prendo coraggio, elaboro evasioni dall’appiccicoso materialismo neoliberistico e commerciale – di bassa caratura filosofica – che rimbalza da ogni notizia sociale, da ogni giornale nazionale. Forse, posso osare pensarlo: non sono qui per caso. Se abito oggi il pianeta Terra, forse tutto questa ha un senso. La Terra, l’Universo, non sono appena cose fuori da me, sono cose che vivono e si espandono anche dentro di me. Sono mie dimensioni. Thomas Berry, padre dell’ecologia nordamericana, afferma3

lo stesso essere umano, più che un essere che abita sulla Terra o nell’Universo, è una dimensione della Terra e di fatto dell’Universo stesso; la formazione del nostro modo di essere dipende dall’appoggio e dall’orientamento di quest’ordine universale; nell’Universo, ogni essere si proccupa per noi.

Indugiare ancora nel materialismo meccanicistico nichilista vuol dire, a conti fatti, resistere a questa bellezza (per un malinteso senso, non confermato da nulla, di aver capito come vanno le cose) e resistere, oltre ad essere inutile, è sempre fatica. Lasciarsi andare nel flusso, invece, potrebbe voler dire, ripartire per una avventura di scoperta: anche temeraria, ma un’avventura che rende la vita ed il pensiero più colorati e vivaci.

Provo a lasciarmi andare al flusso sempre maggiore di concordanze. Intanto, non sarà un caso quello per cui, proprio quando ci sentiamo in trasformazione, come nell’epoca attuale, scopriamo che tutto l’universo lo è.

L’universo, fin dalla sua irruzione, è dinamico; il suo stato naturale è il movimento e non la stabilità, la trasformazione e non l’immutabilità.4

Ancora, siamo esseri che prendiamo vita essenzialmente nella relazione con l’altro, ed anche in questo non facciamo che mappare la struttura profonda del cosmo.

L’universo, pertanto, non è la somma di tutti gli oggetti esistenti, ma l’articolazione di tutte le reti di relazioni e connessioni tra di loro.4

E come detto, siamo esseri in cerca di un significato. Di un senso per le nostre azioni, per le nostre giornate, per il nostro vivere. Forse perché non possiamo sottrarci anche qui, alle leggi profonde del Tutto.

Il Tutto rivela intenzione e significato. Perché l’Universo potesse raggiungere il punto toccato oggi, ha dovuto fare esattamente tutto ciò che ha fatto.4

Ecco. Intenzione e significato. Al posto del cieco turbinio di astri e pianeti, mi viene a galla oggi questa bellezza che era nascosta, era celata. Intenzione e significato. Se guardo il cielo stellato non dico appena che è bello, ma trovo che io sono lui e lui è me e insieme viaggiamo verso un significato.

Sembra un discorso più spirituale, che cosmologico, vero? Ma è lo stesso, in fondo. Sempre Faggin1 infatti mi assicura che

scienza e spiritualità sono una sola disciplina che mostra la ricchezza, la bellezza e il significato dell’universo che possiamo creare insieme.

Decisamente troppo bello, per non essere anche reale.


  1. Federico Faggin, “Oltre l’invisibile. Dove scienza e spiritualità si uniscono” (Mondandori, 2024) ↩︎
  2. Freeman Dyson, “Turbare l’Universo” (Bollati Boringhieri, 1981) ↩︎
  3. Tomas Berry, “O sonho de Terra” (1998) ↩︎
  4. Leonardo Boff, “Il Dio che sorge nel processo della cosmogenesi”, intervento all’interno del volume di AA.VV “Il cosmo come rivelazione” (Gabrielli Editori, 2018). Da questo intervento sono estrapolate anche le citazioni di F. Dyson e di T. Berry ↩︎

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