Più volte ci siamo richiamati alla necessità di pensare un cosmo accogliente, uscendo dall’arcaico (ma perdurante) teatro concettuale che ci descrive un universo freddo, statico, indifferente a noi. Constatata la necessità, dobbiamo ammettere al contempo che non ci viene facile: c’è come una resistenza, una forza di inerzia, che viene esercitata in senso contrario a questo nostro desiderato e fondamentale percorso di liberazione psico-cosmico.
Senza girarci troppo attorno, credo sia lo stesso assetto della società in cui viviamo, che esercita questa resistenza. Il sistema neoliberista (efficacemente definito da Marco Guzzi come “estremizzazione del pensiero economico-liberale che porta alla cancellazione di ogni limite per il mercato e, quindi, di ogni controllo da parte degli stati nazionali nei confronti di entità multinazionali e delle corporations”) – che si espande ormai in uno spazio vuoto, non incontrando più la pressione contrastante di visioni differenti – ha assoluto bisogno di persone che non lo contestino, che si accontentino, che non sia accorgano, soprattutto, di essere re o regine.
Scoprire la propria natura regale, innegabilmente, inceppa disarticola l’ingranaggio, confuta le visioni ed i piani delle Happy Betty di ogni tempo che ci vorrebbero ridurre, appunto, soltanto a docili consumatori.
Scrive Federico Faggin nel recente testo “Oltre l’invisibile. Dove scienza e spiritualità si uniscono” (Mondadori Editore, 2024), che
La società moderna, così come è strutturata, ha bisogno di gente efficiente, burocratizzata, robotizzata, puntuale, logica, obbediente e senza cuore. Perché la gente con il cuore riserva strane sorprese…
Per far funzionare bene la società del consumo io devo cercare la mia soddisfazione producendo e consumando continuamente. Devo essere rilanciato continuamente verso nuovi acquisti, con un meccanismo implacabile che non consente vero riposo. Devo ritenere reali solo le cose materiali (in sfregio perfino alla fisica moderna che assegna invece un primato ontologico alle relazioni), facendo mio il pensiero ormai datato, di un materialismo ampiamente superato dal punto di vista filosofico, ma del tutto funzionale allo status quo.
Se traggo soddisfazione contemplando un cielo stellato, da un certo punto di vista, non sono produttivo. Non produco, non consumo. Se inizio a fidarmi di un universo che in qualche modo, mi considera, inizio a svincolarmi dal ruolo di ingranaggio al quale mi hanno destinato, mi collego a qualcosa di grande, che mi ridona sovranità detronizzando al contempo i finti sovrani, scoprendo il loro gioco.
Pensare l’universo come accogliente, pensare il cosmo come incantato, non è dunque un pio esercizio, ma un atto sovversivo e intrinsecamente antisistema. Per questo ci viene faticoso, perché è un lavoro intrinsecamente scoraggiato – quando non attivamente osteggiato – dal potere.
Pensare che siamo importanti nel cosmo è sempre un inizio importante di liberazione perché la nostra consistenza non riposa più nel prossimo acquisto o consumo, o almeno non vi riposta più totalmente. Lo schiavo è efficiente e disciplinato all’interno della catena di produzione e consumo solo se si rassegna al ruolo e non lo mette in discussione. Deve essere convinto (e quotidianamente ri-convinto dai vari telegiornale e talk show) che non esiste alternativa, terrena o cosmica (che poi è la stessa cosa). Deve giungere a guardare alla sua condizione non tanto con un carattere di inevitabilità, ma addirittura di unicità.
Insomma, non ci sono altri universi, oppure non ce ne sono più. Tanto sul piano cosmologico quanto su quello politico. Contro un cosmo potenzialmente multipolare, l’odio avvampa, la violenza si scatena, la guerra è vista cinicamente come soluzione necessaria (oltre che come volano per l’industria bellica).
Ecco perché la rivoluzione possibile, l’unica ancora possibile, è irriducibilmente spirituale (che non vuol dire religiosa, né intende essere meno radicale di quelle consumatesi nella violenza) e cosmologica insieme. La strada verso un mondo nuovo passa per una inedita amicizia con il cosmo. Una amicizia che va coltivata e propagata. Come scrive Gianluigi Gugliermetto nella prefazione al volume La spiritualità del creato di Matthew Fox (Gabrielli Editori, 2016)
… rimane compito essenziale di coloro che sono colpiti dalla semplicità e profondità della spiritualità del creato la diffusione di questa modalità viva e creativa di stare al mondo.
E’ giunto il tempo, questo tempo, in cui studiare il cielo e raccontarlo, si spoglierà di ogni residuo orpello estetico o consolatorio palesandosi piuttosto per quel che è, ossia un necessario, impegnativo e gratificante lavoro di ripensamento e di modifica dell’esistente.
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