Questa è una foto – sempre bella ma già molto vista, a dire il vero – di un campo profondo di galassie vista con il Telescopio Spaziale James Webb. Vanta un bel primato, perché è la prima immagine in assoluto che è stata mostrata al grande pubblico, per questo strabiliante telescopio spaziale.
Nel dettaglio, ritrae l’ammasso di galassie Smacs 0723 ed è l’immagine dell’universo nell’infrarosso alla risoluzione più elevata di sempre. Colpisce, prima di tutto, la varietà estrema di galassie, quasi straripante da questa immagine. Il messaggio che ci tocca è straordinariamente chiaro: per l’universo moderno, la varietà è la norma, non c’è più niente di uniforme, omologato. Non esiste galassia, o addirittura stella – a guardarla bene – che sia davvero uguale ad un’altra.
Io mi convinco sempre di più, del fatto che i messaggi che riceviamo dal cosmo, vadano poi applicati a largo spettro. Ovunque possiamo, in pratica. Il cosmo ci parla, ci invita costantemente a superare le nostre vedute ristrette. Però sta sempre a noi ricordarci di quanto ci dice, invece di far finta di nulla.
Anche navigando in rete. La varietà di modi di usufruire del web, secondo me, deve essere un corrispettivo di come l’universo ci dice che dobbiamo, o meglio, possiamo essere oggi, con la consapevolezza nuova che abbia maturato, e che dunque ci dobbiamo giocare in ogni cosa, in ogni situazione (o almeno, ci dobbiamo provare).
Già non usare di default Chrome o Edge o Safari solo perché sono quelli già pronti sul computer, ma farlo dopo una scelta, o magari azzardarsi a cambiare, a mio avviso è un segno di consapevolezza. Non voglio che altri decidano per me, voglio esercitare il mio diritto di scelta, per fare una cosa ponderata. Per esempio, perché invece di Chrome non provo Waterfox? Oppure Arc Browser? O Vivaldi, magari?
Insomma c’è un mondo, da navigare e per navigare, per scoprire non tanto il browser migliore (questione probabilmente, mal posta), ma quello che fa al caso mio. Perché è anche e sopratutto una questione di flusso di lavoro. E ancor più di questo, una questione di gusto.
A me (nessun mistero, qui) piace molto Vivaldi. Proprio il team di Vivaldi due anni fa ha lanciato una istanza Mastodon alla quale mi sono subito iscritto per il mio account in lingua inglese (quello italiano è invece su poliversity). Ora, Vivaldi è anche un partner di lancio della neonata Social Web Fondation, una organizzazione noprofit dedicata all’avanzamento del social web (di cui un po’ si parlò qui tempo addietro, riguardo principalmente al fediverso).
Nel post dal blog di Vivaldi, uscito per l’occasione, c’è una frase che mi ha particolarmente colpito (la riporto direttamente in italiano, nella mia opinabile traduzione)
Il fediverso ci ricorda i primi giorni del Web. Siamo in competizione contro i sistemi e gli interessi aziendali, utilizzando uno standard aperto basato sul W3C e una soluzione distribuita. È fantastico che le società di social networking stiano supportando il fediverso e Vivaldi è lieta di supportare la Social Web Foundation, in modo da poter avere ancora una volta una piazza cittadina priva di algoritmi e controllo aziendale.
Mi colpisce perché… è proprio così. E posso senz’altro dire, io me lo ricordo. I primi giorni, mesi ed anni di web furono qualcosa di cui probabilmente non rivedremo facilmente l’analogo. Era un territorio dove, davvero, la creatività umana poteva esercitarsi senza quasi confini. Proprio come la foto che accompagna questo articolo. Diecimila progetti si affacciavano sul web, molti dei quali, assolutamente geniali e pieni di fantasia. Questa cosa nuova di Internet aveva colto più o meno tutti di sorpresa, quindi in quel momento – in cui ancora si tratteneva il fiato – c’era molto posto per la bellezza della sperimentazione (quasi) senza fini di lucro. Si cercava di capire con cosa si aveva a che fare, quali erano le caratteristiche e i limiti del nuovo strumento. Era un po’ come le prime radio private, in pratica.
Poi, sappiamo bene come è andata, molti progetti sono affondati e sono rimasti a galla quelli più determinati, se vogliamo più cinici, ovvero più orientati alla monetizzazione. Ben presto la varietà si è contratta, a vantaggio di pochi, a scapito di moltissimi.
Così ammonisce Shoshana Zuboff, nel suo libro ormai famosissimo Il capitalismo della sorveglianza
L’esperienza umana è ormai materia prima gratuita che viene trasformata in dati comportamentali… e poi venduta come ‘prodotti di previsione’ in un nuovo mercato quello dei ‘mercati comportamentali a termine’ …. dove operano imprese desiderose solo di conoscere il nostro comportamento futuro.
Questo lavoro che indica la Zuboff, è svolto egregiamente e (fin troppo) alacremente dai social commerciali, dalle grandi aziende sul web, dalle multinazionali della rete.
Specifica ulteriormente Francesco Marabotti, in un post che è apparso due anni fa sul blog Darsi Pace, che
il pericolo che stiamo correndo nella versione 2.0 del capitalismo della sorveglianza è quello di ridurre gli esseri umani a un flusso di informazioni, guidate da intelligenze artificiali impersonali, al servizio di una ristrettissima oligarchia tecnocratica (…) La pratica di governo neoliberale, per dirla con Foucault, diviene capace di fornire al soggetto gli strumenti del suo stesso asservimento, (inteso quest’ultimo come pericolo crescente di non poter disporre liberamente di sé, in quanto incapace di tutelare la sfera della propria libertà psichica). Gli apparati operativi del marketing digitale e delle grandi piattaforme di “rete sociale” sfruttano il sapere fornito dai Big Data per conoscere i desideri del soggetto nel loro evolversi, indirizzando così i prodotti e le offerte con una capacità predittiva “scientifica”. Viene così a profilarsi un tipo di sapere che coincide con il potere di schedare ogni individuo nei suoi comportamenti e di seguirlo per tutta la vita.
Ecco perché alcuni vedono adesso una possibilità di una ripartenza, che appunto possiede il sapore del web di una volta (e chi c’era, vi assicuro che se lo ricorda). Una possibilità davvero interessante e, come io sostengo, pienamente in linea con le indicazioni cosmologiche. Se questo basti, non posso dirlo. Probabilmente, non basta, ci vuole anche altro: una educazione del popolo, secondo cammini di consapevolezza condivisi. Ma è certamente una buona premessa: il web non può essere solo l’ennesima modalità con cui pochi soggetti – già debitamente arricchiti – ci studiano e ci osservano solo per convogliare le nostre spese dentro le loro tasche.
Il web è nato libero come l’universo, e forse ora può tornarci.
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