Che buffo però. Che strano, provare a gestire una risorsa che rimanga, nel mondo poliedrico e in rapido movimento di Internet. Dove è tutto centrato nel presente, ma così nel presente che – in realtà – non ci sei mai. Perché non ti puoi fermare, non puoi respirarlo questo presente. Muta troppo in fretta.
Tutto funzionale ad attirare l’attenzione, contenderti l’attenzione di un momento, magari due. Una gara per catturarti, dentro questo o quel social, in un sito, in un sistema di consultazione e di acquisto.
Anche questa idea che ora è in questo sito, idea che prese forma nel lontano 1997 come breve bollettino di notizie astronomiche, ospitato nello spazio web dell’Osservatorio di Roma (va detto, in un panorama di risorse divulgative enormemente più povero di adesso), ha cambiato varie forme, indirizzi. Ma sostanzialmente è rimasto. E ho cercato di preservare tutto quello che è stato scritto – da me e da altri – senza abbandonare mai nulla.
Nel frattempo, ho cambiato stato di vita, modalità di vivere e lavorare, ho mutato opinioni, lavorato sui miei limiti (dove era possibile), ho fatto esperienze, ho visto la mia famiglia e i rapporti, personali e professionali, evolversi e mutare. Per qualche motivo, però, non ho mai abbandonato per tanto questo spazio. Per alcuni tempi, sì. Ma poi sentivo sempre il bisogno di tornare.
Per raccontare lo spazio e sempre più, al contempo, per raccontarmi. E per scoprire che, almeno nel mio caso, le due cose vanno insieme. Camminano insieme, o non camminano affatto (e quando non camminano loro, non cammino nemmeno io).
Ora vado a rivedere indietro, ogni tanto. Anche perché sto curando una sintesi ragionata e approfondita di parte del materiale in questo sito (e non solo), che sta per uscire in due tomi, presso l’Associazione Teilhard de Chardin. Un bel progetto in stretta collaborazione con il presidente, Gianluigi Nicola. Del quale, presto, vi potrò dire di più.
Un progetto che mi ha fatto nuovamente immergere in articoli che scrissi molto tempo fa. Ed è curioso, è indicativo, accorgersi che tanti dei link che avevo inserito, che puntavano a risorse anche di importanti siti istituzionali, italiani ed esteri, non sono più attive. Sono state spostate, o semplicemente cancellate.
L’ultimo in cui mi sono imbattuto, proprio stamattina, è un pezzo del 2010 dell’Harward-Stithsonian Center for Astrophysics, a cui facevo riferimento in un articolo di quell’anno. Il contenuto, al link originale, non esiste più. E non sono riuscito a capire se è ancora presente nel sito, in qualche altra posizione.
Così, il passato della ricerca astronomica è spesso annullato e questo accade appunto, anche in siti “autorevoli”. E a me dispiace. Più vado avanti più infatti capisco che è solo la memoria che rende ricco il presente. Altrimenti, diventa senza spessore, si asciuga, diventa fragile. Mi viene in mente, quel ghiaccio sottile della vita moderna, che dicevano i Pink Floyd.
Da un po’ di tempo mi muovo in controtendenza. Se mi imbatto in un articolo del blog che contiene link a risorse svaporate, cerco sulla preziosissima WayBack Machine di Internet Archive: la memoria storica di qualcosa che non vuole averne, di memoria. Che si illude di non averne bisogno. E se lo trovo, modifico il link verso quest’ultima, in modo che la risorsa sia di nuovo fruibile, per chi ci arriva attraverso il mio articolo. Magari una cosa piccola, magari non ci va nessuno a riprendere un articolo del 2010. Però è una cosa importante, per me.
Lavorare ad una cosa che rimane, che rispetta il presente ma onora il passato (e poi in fondo il tempo che cos’è?). Questo mi risuona. Questo mi spinge a continuare, a sperimentare, a rifinire. L’opera non ha mai fine ed è sempre – luminosamente e dolorosamente – imperfetta. Ma risponde a quel mio profondo desiderio, di vivere per raccontarla, come diceva il grande Marquez.
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