Il cosmo e la poesia (X)
Dice Carlo Rovelli, già citato il mese scorso, che
Nulla ha esistenza in sé, tutto esiste solo in dipendenza da qualcosa d’altro, in relazione a qualcosa d’altro … le cose sono “vuote” nel senso che non hanno realtà autonoma, esistono a, in funzione di, rispetto a, dalla prospettiva di qualcosa d’altro.
Cosa mette in connessione stabile scienza e poesia? Le pone in condizione di mutua dipendenza, per dirla con Rovelli? Entrambe cercano di farci comprendere l’ambiente in cui viviamo, lo spazio che occupiamo. E rendercelo più abitabile. Tutto qui, se con ambiente intendiamo tanto quello esterno (lo spazio propriamente detto) quanto quello interno (sentimenti, emozioni). Le connessione tra i due spazi sono virtualmente innumerabili, tanto che secondo diverse correnti di pensiero, in realtà si tratta di un solo spazio: celebre la frase di Agostino, l’anima è in qualche modo, tutto.
Sostengo che la poesia esiste solo in funzione di qualcosa che gravita al suo esterno, così come la scienza. Ogni nuovo testo poetico, se riuscito, è anche e soprattutto una investigazione cosmologica. Ogni produzione poetica è anche un lavoro di ricerca, che estende e raffina le ricerche precedenti, smentisce alcune tesi, ne conferma altre.
Sui testi dei finalisti della 64° edizione del Premio Nazionale Frascati Poesia “Antonio Seccareccia”, si è lavorato, di recente con alcune classi scolastiche della zona dei Castelli Romani, alle Scuderie di Villa Aldobrandini. Un lavoro delicato e prezioso, dove la poesia esonda dai circoli accademici per proporsi felice risposta alla sete di vita di ragazze e ragazzi, universi in formazione.
Preparandomi a parlare alle Scuderie, mi sono avvicinato ai testi con l’obiettivo di curiosare su quale idea di spazio emerga dai testi dei finalisti. Perché è certo che un’idea di spazio debba emergere, è assodato che ogni sistema poetico coeso (arrivare in finale di un premio come questo ne è già buona garanzia) possieda e alimenti una particolare cosmologia, una visione del mondo in senso largo. Qui pongo il mio servizio di astrofisico votato alla letteratura, lasciando ad altri, il difficile ed emozionante incarico di valutarne la qualità poetica nel suo complesso.
Anche qui, avvicino questi nuovi testi a modo mio, con la cautela e l’emozione di chi si accosti a nuove teorie, nuovi concetti. Un’esplorazione che è appena un accenno, un appunto. Se volete, un invito al viaggio, da compierei poi in piena autonomia. Che universi si generano da questi autori?
Gian Mario Villalta (“Dove sono gli anni”, Garzanti) è sempre e subito quel non sapere, quasi montaliano, che qui diviene un manifesto di ampia libertà, di soave leggerezza
Non sei tu, ibisco, non sei tu,
ma prendi nella mia voce parola, nella mente,
come ogni cosa che vedo e sento. Ti importa
se non sappiamo che cosa siamo io
per te, tu per me, per tutto tu e io l’universo?
Ma è anche un cielo che guarda, quando lo spettacolo sulla Terra si fa interessante. E’ un cielo che partecipa al gioco, non è indifferente. Noi certo non sappiamo, ma lui si impiccia. Eccome.
Da dove sono venuti gli occhi per tutto questo giallo
acido della colza è venuto anche il cielo a guardare.
Rossella Frollà (“L’amico sconosciuto”, Interlinea) è un gioco di immedesimazione con il cielo e ciò che contiene, in un registro di partecipazione intima e calda, sovente più facile da riscontrare nei versi del femminile
Tu fosti il miracolo amore mio
l’altra metà del sole che nella
nebbia trova il cielo.
Del resto è proprio quel cielo che è davvero in contatto con la Terra, tanto che
Nel cielo si raccatta quel che viene.
Un cosmo consapevole, affettivo, che partecipa ad ogni umano moto d’amore, conosce le nostre presenze, vive i nostri stessi corpi quando, spogli d’ogni difesa, hanno come confine soltanto la notte
La bocca morta d’amore
sul corpo nudo è
intuizione mentre ti folgora.
L’universo sa la tua presenza
tra misure setacciate
il bandolo è l’atto
che fende lo spazio.
Ancora una notte
per carpirne il linguaggio.
Massimo Morasso (“Frammenti di nobili cose”, Passigli) gioca su una suadente ipotesi di sottrazione, nella libertà timida di un arretrare, vibrando sugli infiniti stati dell’essere che solo il cielo della luna può garantire. Lontano da ogni costringente coerenza cartesiana, aperti al gioco sottile delle contraddizioni, vive e in movimento, come particelle virtuali nell’inesausto ribollire del campo quantico
Potessi smettere di credere al mondo come si smette ogni cosa.
Potessi girarmi dall’altro lato del qui
e addormentarmi, fluttuando
nel centro buio della notte
in un’aria caduta, in una terra assente
con tutt’intorno il cielo della luna. Potessi…
Ed è ben consapevole della natura poliedrica e sfuggente dello spazio moderno, secondo gli scienziati avvolto in impalpabili dimensioni, anni luce distante da quelli spazi euclidei così rassicuranti ma artificiosi, così mortalmente noiosi
…in ogni parte dello spazio
c’è un’altra parte dello spazio,
e il nostro mondo, fra i pianeti,
è un poco-più-di-niente avvolto nel mistero.
Ritrova dunque il mistero che ci avvolge, quasi delicatamente, al quale ci possiamo arrendere, ci possiamo abbandonare al fatto semplice e liberante che conosciamo del mondo, appena una scheggia, un bruscolo, un accenno.
Daniela Attanasio (“Vivi al mondo”, Vallecchi), ritrova il punto di gravità di un rinnovato esser vivi esattamente tra cielo e terra, nella la contiguità incombente dei due, uno addosso all’altro senza spazio bianco, senza tempo di pausa
… pensai che quell’allontanarsi di uccelli e voci
fosse la ceralacca apposta sulle carte dei nostri viaggi sulla contiguità
fra nord e sud fra cielo e terra
o forse soltanto un modo di essere vivi al mondo
E proprio quest’esser vivi riverbera un inno alla creazione poetica
non morirà la creazione umana
la poesia sarà ancora e per sempre un
diffusore di fatti quotidiani dove la spinta della parola
conta più della ragione dove le pulsazioni del cuore
sono colpi di martello quando il fiato si fa corto per
la paura di non riuscire a dire il verso esatto che vada incontro
all’amore – amore per la terra per il mare per la natura astratta del cielo
amore che riscalda il corpo nella neve –
amore come pane
come le nostre parole lasciate a lievitare
in un’anta del corpo per un’altra stagione
un’altra sponda di vita dove sostare
C’è – in tutti e quattro in realtà – questo amore per la terra, per il mare, anche per la natura astratta del cielo: un’astrazione solo apparente che si dissipa in una concretezza felice, che unisce poesia e scienza, ferma l’uomo ai suoi passi sulla Terra, alla consistenza di un intimo assenso al tutto (da ogni fatto quotidiano ai lontani quasar), che grazie alla poesia, ritorna costantemente possibile.
Sapremo a fine novembre chi sarà il vincitore di questa edizione1. Il vero vincitore è comunque – fin d’ora – chiunque accolga l’invito a percorrere questi versi, un dono offerto come balsamo ai nostri autunni, interni ed esterni.
Contributo pubblicato sul numero di novembre 2024 di Frascati Poesia Magazine
- Il vincitore, ora si conosce, è Gian Mario Villalta
Scopri di più da Stardust
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.