Questione imbarazzante, in molti sensi. Questione scomoda, per noi che ci accontentiamo spesso di piccoli risultati, piccoli progetti, piccoli aggiustamenti nell’assetto complessivo dell’esistenza. Sembra davvero non essere questo, il tempo di grandi imprese, di grandi progetti, di grandi domande. Sembra in effetti, che non lo sia mai.
Eppure è sempre necessario ripartire, scuotersi di dosso la polvere sedimentata a forza di accumulare scelte volte al piccolo cabotaggio, all’aggiustamento della barca (ma sempre) in porto, a vele arrotolante in modo che non prenda vento, al piccolo respiro contratto, che insomma non si sa mai.
Bene. Lo dico innanzitutto a me stesso, in questa chiusura di anno. Davvero, è ora di ripartire, di prendere il largo, di sentire l’aria sulla faccia, respirare l’infinito di nuovo. Le questioni scomode – di ogni tipo – vanno dunque accolte, vanno accolte a braccia aperte, perché infrangono un assetto di universo statico, che si è venuto a (ri)formare nelle nostre vite, un assetto vecchio ma che fa fatica a liquefarsi definitivamente.
Un identico assetto spesso blocca tanto la nostra curiosità del mondo fisico quanto la nostra fame di senso del vivere (che possiamo chiamare il sacro), ferma la ricerca appassionata, facendoci rientrare, per paura, in schemi ormai vecchi, che non portano più nutrimento. Ebbene, questo assetto va scosso, perché nuovi equilibri, nuove visioni, si facciano spazio.
La domanda che ci siamo fatti venerdì sera, dove vanno il cielo e la terra? è una domanda che fino a qualche decennio fa, semplicemente non aveva senso. Almeno per quanto riguarda il cielo. Il cielo, in effetti, non andava da nessuna parte: era lì da sempre e sarebbe sempre rimasto così (al massimo, era stato creato così ad un certo punto). E questo lo pensava perfino un tipo di nome Einstein, fino a che le sue stesse equazioni, facendo esplodere il nuovo paradigma sotto il suo stesso naso, non l’hanno costretto a cedere, ad arrendersi ad un cosmo in evoluzione. Chiudendo con l’eterna stazionarietà ma aprendo le porte ad una storia meravigliosa e umanissima. Da riprendere ogni giorno, ogni momento.
Quanto più infatti ci somiglia questo cosmo che ha una sua storia, che nasce, si sviluppa e (forse) muore, che è diverso ogni giorno, che ogni giorno ci mostra nuove meraviglie? Che è ultimamente imprevedibile?
Così, nel mio intervento sono partito dalle principali notizie astronomiche di questi ultimi anni – in modo da far sentire come il flusso di cambiamento sia ormai inarrestabile – per arrivare presto alle grandi domande, del tipo dove andrà a finire il cosmo, oppure di cosa è fatto il tutto (domande intrecciate tra loro, come si può ben immaginare).
Dopo di me Paolo Gamberini, autore (tra le altre mille cose) del recente “poderoso” testo Deus 2.0, ha dipanato il filo lucido ed appassionato riprendendo (in mirabile e quasi spontanea continuità) diverse istanze dalla mia presentazione, portandole ad un luminoso compimento filosofico e spirituale, con accessibilità ma anche con precisione. Ma soprattutto (ed è la cosa che più mi avvince) con passione. Proprio la passione della ricerca è stato il suo punto di partenza. Una necessaria rivalutazione de, la dimensione erotica del conoscere. Se non c’è eros, non c’è phatos, non si può aprire non solo il cuore ma la mente.
Il dibattito è stato moderato da Nunzio Mastrolia, con una limpida e precisa introduzione di Gianluigi Nicola, presidente dell’Associazione Italiana Teilhard de Chardin. Associazione che ha collaborato con Stroncature per la realizzazione dell’evento e la cui attività quotidiana – di incontri periodici, di eventi in molte parti d’Italia – è molto in assetto (io direi, proprio recependo lo spirito di appassionata ricerca e di coraggiosa innovazione dello stesso Teilhard) con le idee e le istanze aperte intorno alle quali abbiamo tentato di riunirci in questa occasione.
Non mi resta che augurarvi buona visione, e che possiate far vostri i fermenti di nuovo pensiero che abbiamo tentato di far passare nel discorso, che si possano sposare ai vostri fermenti, per produrre la miscela unica preziosissima che nutre il cammino personale di ognuno, dentro questo mirabolante universo, irriducibilmente in perpetua trasformazione.
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